I. Un profilo biografico - II. La posizione e l'opera di Pierre Duhem: una visione d'insieme - III. Dalla fisica all'epistemologia - IV.- La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura - V.- Duhem, storico della scienza - VI.- Scienza, metafisica e religione: "la fisica di un credente".
I. Un profilo biografico
Pierre Duhem era di discendenza fiamminga. Suo padre, Pierre-Joseph, originario di Roubaix, città delle Fiandre francesi, lavorava dal 1852 a Parigi come rappresentante di una fabbrica di tessuti. Sua madre Marie-Alexandrine Fabre, era nata a Cabrespine, un piccolo paese nell'Aude, prossimo a Carcassone: la famiglia della madre, di condizione agiata, aveva deciso di stabilire una residenza anche a Parigi. Pierre-Joseph e Marie-Alexandrine si sposarono nel 1859. Pierre Duhem nacque il 10 giugno 1861, primogenito di quattro fratelli; purtroppo suo fratello e una delle sorelle morirono nel 1872, vittime di una epidemia di laringite.
Ricevuta la prima formazione nella fede cattolica, all'età di 11 anni Pierre cominciò a studiare nel noto collège parigino Stanislas. Fu uno dei professori di quel liceo, Jules Moutier, ad incoraggiare il giovane Duhem a proseguire gli studi di carattere scientifico, specificamente quelli di termodinamica, trasmettendogli una elevata concezione della fisica e contribuendo a far nascere in lui una grande passione per questo ramo del sapere. In questi anni Duhem studierà il latino e il greco, la conoscenza dei quali gli sarà molto utile nei suoi studi storici; del liceo Stanislas egli ricorderà anche il professore di storia Luigi Cons e l' abbé Pautonnier, suo direttore spirituale. Terminati gli studi liceali nel 1882, si iscrisse alla Scuola Normale Superiore, ove ottenne la laurea in scienze matematiche. Lì conobbe Jacques Salomon Hadamard (1865-1963), ebreo e liberale, preside della Lega internazionale dei diritti umani, col quale stabilì un'amicizia destinata a durare tutta la vita.
Nel 1884 formula l'idea di «potenziale termodinamico» e pubblica il suo primo articolo. La sua tesi dottorale, presentata nel giugno 1885 all'Università della Sorbonne per ottenere il dottorato in fisica, studiava l'applicazione dei potenziali termodinamici ai problemi fisici e chimici; conteneva però delle critiche alle teorie scientifiche di Berthelot (1827-1907), che già allora era membro dell'Accademia delle Scienze ed esercitava un grande influsso nei circoli scientifici ufficiali. La tesi fu respinta senza ulteriori spiegazioni dalla commissione, non sappiamo se per pressione diretta di Berthelot o per semplice timore, da parte della commissione, di volersi esporre contro il noto scienziato. Consapevole della correttezza del suo lavoro, Duhem decise di pubblicarlo nel 1886 con il titolo Le potentiel thermodynamique et ses applications à la mécanique chimique et à l'étude des phénomènes électriques. La pubblicazione ebbe grande successo e vide una riedizione nel 1897; allo stesso tempo ebbe il prevedibile effetto di compromettere i rapporti con Berthelot fino a provocarne l'inimicizia. Sembra provato che questi impedì a Duhem di diventare professore a Parigi, impiegando la sua forte influenza politico-accademica. Con una nuova tesi dottorale in scienze matematiche,De l'aimantation par influence , Duhem fu autorizzato a rimanere ancora due anni presso la Scuola Normale Superiore come preparatore di fisica. Nel 1887 viene nominato maître de conférences della Facoltà de Scienze di Lille.
Dopo la morte di suo padre, avvenuta il 7 aprile 1889, la madre e la sorella vennero ad abitare con lui a Lille. In quelle date conobbe Adèle Chayet e dal loro matrimonio nacque la figlia Hélène, che gli diverrà col tempo di grande aiuto per i suoi lavori storici. Gli anni di Lille costituiscono una tappa feconda per i lavori nel ramo della fisica: pubblica tre libri e cinquanta articoli. Allo stesso tempo, comincia a pubblicare alcuni articoli di metodologia della fisica, sia teorica che sperimentale, studiando anche le relazioni fra fisica e metafisica. Fu Paul Mansion, matematico dell'Università di Gant e redattore capo della Revue des questions scientifiques, della Società Scientifica di Bruxelles, a chiedere a Duhem di preparare alcuni articoli sulla natura ed il metodo della fisica, incoraggiandolo in questa area di lavoro nella quale avrebbe poi raccolto molteplici frutti.
Lasciata la città di Lille dopo la prematura morte della moglie ed alcune divergenze con il Decano della sua Facoltà, ottenne nel 1893 il trasferimento a Rennes. Insoddisfatto della nuova sede accademica e vistosi rifiutare un posto a Parigi a motivo di un veto di Berthelot, ottenne un posto a Bordeaux, dove si spostò nell'ottobre del 1894. Fra il 1897 e il 1899, pubblica il Traité élémentaire de mécanique chimique fondée sur la thermodynamique. A Bordeaux Duhem rimase fino al resto dei suoi giorni e in quella sede produsse i suoi successivi lavori scientifici e soprattutto storici. Fra i suoi discepoli più noti vi furono Lucien Marchis, Emile Jouret e Louis Roy, che insieme a Jacques Hadamard riconobbero pubblicamente, anni più tardi, l'importanza dell'influsso ricevuto da Duhem.
Le sue lezioni magistrali relative a tutti i rami della fisica, ed i lavori già pubblicati, gli valsero per essere nominato il 30 luglio 1900 membro corrispondente de l'Académie des Sciences. In occasione di questa nomina, chiederà di lasciare Bordeaux per andare a Parigi, richiesta che vide nuovamente respinta. A partire da quella data, Duhem si dedicherà a studiare come estendere i metodi della meccanica analitica classica ad un'ampia gamma di fenomeni dando così forma ad una disciplina che denominò énergétique (energetica). Dopo aver sistematizzato la termodinamica generale, estesa a tutti i cambi di stato dei corpi, ed aver formulato i princìpi generali che l'energetica avrebbe applicato agli equilibri di ogni specie e ad ogni tipo di moto, Duhem cercò di applicare questi princìpi ai diversi rami della fisica: meccanica dei fluidi e dei corpi elastici, fisica chimica, modifiche permanenti ed isteresi, galvanismo, elettrodinamica ed elettromagnetismo, fenomeni capillari, ecc.
Fra il 1893 ed 1906 Duhem rivolse una speciale attenzione alla filosofia della scienza, periodo che culminerà con la pubblicazione della Théorie physique, son objet et sa structure (1906). Lo studio della filosofia della scienza lo condusse a interessarsi, nel periodo 1904-1916, allo studio della storia della scienza, sebbene le sue prime pubblicazioni di carattere storico rimontassero già al 1895. Nel 1904 scopre alcuni scritti di un autore del XIII secolo, Giordano Nemorario, e successivamente quelli di Giovanni Buridano (1290-1358 ca.), Nicola di Oresme (1323-1382) e altri protagonisti della scienza medievale, scoperte che gli consentirono di criticare un'immagine preconcetta del medioevo - ed indirettamente della stessa cristianità - che vedeva in esso un'epoca essenzialmente ostile alla scienza.
Nel 1906 alcuni eventi familiari lo toccarono da vicino: la morte della madre, la scelta di sua sorella Maria di diventare religiosa e la decisione sua figlia Hélène di stabilirsi a Parigi. Duhem mantenne una stretta relazione epistolare con la figlia, scrivendole ogni settimana, con esemplare amore paterno. Una di queste lettere raccoglie l'impressione suscitata in Duhem dalla lettura del libro Storia di un'anima di s. Teresa di Lisieux. Scrive a sua figlia: «È meraviglioso vedere come ella vi mostra una via attraverso la quale... senza abbandonare la professione dove Dio vi ha posto, si può diventare un grande santo» (Jaki, 1990, p. 125). L'8 dicembre del 1913, Duhem fu nominato membro residente de l'Académie des Sciences. In quell'anno cominciò la pubblicazione della sua monumentale opera di storia della scienza: Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic , che prevedeva di proseguire a un ritmo di un volume ogni anno. Nell'estate del 1916, mentre si trovava a Cabrespine (Aude) soffrì una grave crisi cardiaca che, ripetutasi a distanza di pochi giorni, lo condusse a morte prematura il 14 settembre 1916, all'età di 55 anni. Sua figlia Hélène si farà carico di completare la pubblicazione di Le système du monde .
Alcuni autori hanno sottolineato di Duhem l'energia di alcuni suoi interventi, il tono infiammato di alcune sue lettere, o il suo carattere forte, come lamentato da M. Bizos, che fu Rettore dell'Università di Bordeaux. Ma altri testimoni, altrettanto numerosi, lo ricordano come un uomo assai gradevole, come G. H. Bryan, che diverrà Preside della London Mathematical Society e che nel 1901 andò a trovare Duhem a Bordeaux. Di Duhem serberanno uno speciale ricordo i ragazzi dell'Associazione di Studenti Cattolici dell'Università di Bordeaux, dove lo scienziato collaborò tenendo conferenze e colloqui sulla relazione fra fede e scienza. Ma la vita personale di Duhem è anche ricca di episodi significativi. Spesso, tornando a casa dal suo lavoro universitario, si tratteneva nell'ospedale delle suore francescane per fare compagnia ad anziani malati e senza famiglia. Quando, in un'altra circostanza, morì un impiegato del laboratorio della sua università e nessuno dei suoi familiari si presentò a riceverne le spoglie, Duhem si fece carico delle spese del funerale ed accompagnò la salma fino alla sepoltura. A Cabrespine, ove trascorreva di solito il periodo estivo, collaborava ogni domenica come catechista: i suoi alunni ricorderanno i disegni che preparava loro per illustrare i principali episodi della Redenzione, ma anche i cioccolatini che si preoccupava di distribuire. Nel 1908, durante un'escursione in montagna, si rese conto che la figlia di una famiglia di pastori presentava evidenti sintomi di tubercolosi e si preoccupò di farla curare in un ospedale vicino a Bordeaux, facendosi lui stesso carico delle spese e visitandola periodicamente. Marie-Louise Gabaud, era questo il nome della ragazza, una volta guarita della malattia, ormai dopo la morte di Duhem, diventò religiosa prendendo il nome di soeur Saint-Pierre in segno di gratitudine verso il suo benefattore.
Studioso infaticabile, metodico e ordinato, Duhem svolse il suo lavoro come pochi altri. Pubblicò attorno alle ventimila pagine, fra libri e articoli. Fra i suoi scritti, quelli più studiati e commentati riguardano la filosofia e la storia della fisica: quasi un'ironia della storia, perché Duhem avrebbe voluto essere principalmente riconosciuto come fisico. Ma anche nell'ambito della fisica egli si fece conoscere per i suoi importanti contributi alla termodinamica dei fenomeni irreversibili. I suoi scritti sul potenziale termodinamico e sulla fisica chimica hanno ricevuto le lodi di noti scienziati. Sono inoltre rimaste come patrimonio comune della termochimica le equazioni di Gibbs-Duhem e di Duhem-Margules, così come la disuguaglianza di Clasius-Duhem.
II. La posizione e l'opera di Pierre Duhem: una visione d'insieme
Una precisa collocazione di Pierre Duhem nel panorama scientifico ed epistemologico a cavallo fra i secoli XIX e XX non è cosa immediata. Costituisce senza dubbio un primo punto di riferimento il suo tentativo di unificazione, da lui chiamato énergétique, che fissava nella termodinamica un punto di convergenza per le altre parti della fisica; per questo, lo si associa frequentemente a Wilhelm Ostwald (1853-1932) e ad altri energetisti. Il progetto di Duhem comportava una critica al meccanicismo e uno studio approfondito del metodo scientifico della fisica. Sotto questo aspetto è conosciuto anche, insieme a Henri Poincaré (1854-1912), come iniziatore di una riflessione critica sulla scienza dell'epoca comunemente denominata «convenzionalismo francese», che attirò l'interesse di filosofi come G. Milhaud (1858-1918) ed E.L. Le Roy (1870-1954). Alcune tesi di questi autori poterono operare un certo influsso sui componenti del Circolo di Vienna e costituire una sorta di rettifica per l'empirismo di Ernst Mach (1838-1916).
Occorre tuttavia studiare fino a che punto sia esatto porre Duhem accanto a Poincaré e Le Roy, come principali rappresentanti del convenzionalismo francese, o quanto sia corretto associarlo al pensiero di Mach. Un accostamento di Duhem a questi pensatori potrebbe derivare da un'analisi soltanto parziale de La théorie physique (1906), limitata ad alcuni suoi capitoli, oppure da una conoscenza indiretta del nostro Autore, attraverso le opere dei componenti del Circolo di Vienna o quelle di Popper, o infine attraverso la formulazione della «tesi di Duhem-Quine». Il pensiero epistemologico di Duhem è tuttavia molto ricco e complesso, non disponibile a facili semplificazioni, ed offre non poche sorprese, ben messe in risalto da Maiocchi: «Come mai il convenzionalista Duhem non usa neppure una volta il termine "convenzione" e su tutti i problemi epistemologici fondamentali, nozione di esperienza, di legge, di teoria, polemizza fermamente e puntigliosamente con quelli che dovrebbero essere i suoi alleati, Mach, Poincaré e Le Roy?... Quale strumentalista è Duhem che conduce una furiosa battaglia, epica nella storia della scienza, contro la fisica anglosassone accusandola di essere una variante dello strumentalismo e, proprio in quanto strumentalista, inaccettabile? Non è un ben strano fenomenista, poi, e un allievo di Mach un po' degenere, chi scrive un libro ( La théorie physique ) per esaltare il ruolo delle ipotesi, intese come "libere creazioni", e esorta i fisici a trascurare l'esperienza nel processo di edificazione della teoria?... Come mai nel libro che viene considerato il più acuto e sistematico attacco alla fiducia, tipica del positivismo, nel valore conoscitivo della scienza, viene sistematicamente, ossessivamente rammentato che la scienza procede verso una "classificazione naturale", verso la costruzione di un ordinamento della natura che riflette, sia pure sempre in maniera imperfetta e migliorabile, un ordinamento oggettivo?» (Maiocchi, 1985, pp. 3-4).
Duhem vide l'attività scientifica come qualcosa che si poteva cogliere solo osservandola secondo due prospettive diverse e complementari, che così impiegò volutamente nell'approccio ai problemi: il punto di vista storico ed il punto di vista metodologico. Attraverso lo studio della storia e della filosofia della scienza, egli intendeva migliorare il suo lavoro come teorico della fisica. Interessato alla storia della scienza perché appassionato alla ricerca di un fondamento stabile per la teoria fisica, in circostanze in cui cominciava a regnare un grande scetticismo sul valore delle costruzioni teoriche, Duhem cercò di formulare una teoria fisica che non fosse preda di conformismi. Propose una fisica altamente matematizzata, facendo leva sull'importanza della teoria, ma avvertendo che una teoria fisica non è una spiegazione metafisica della realtà, bensì una rappresentazione astratta delle leggi sperimentali, tesa ad offrire una classificazione naturale di tali leggi. Il "compimento" della fisica non terminava con lo sviluppo della teoria fisica, ma ad essa si sarebbe dovuto aggiungere anche una filosofia della fisica. Con un invito a ritornare ad Aristotele, stabilì una analogia fra energetica e fisica aristotelica.
L'epistemologo e scienziato parigino sostenne che, come la fisica corroborava i suoi risultati mediante i fatti sperimentali, così anche la filosofia della scienza doveva corroborare le sue affermazioni con fatti storici. Si comprende allora perché Duhem volle dedicare una parte assai considerevole della sua attività alla raccolta e allo studio delle fonti storiche. Occupandosi approfonditamente di storia della scienza, ripercorse lo sviluppo dell'impresa scientifica dall'antichità fino all'epoca a lui contemporanea, enumerando minuziosamente i progressi della fisica, della chimica e della astronomia. Risulta evidente come egli non cercasse la mera erudizione: i suoi lavori storici rispondevano a preoccupazioni filosofiche, cercando in essi una conferma dei risultati metodologici necessari per strutturare una corretta teoria fisica. Fra i suoi risultati storici più notevoli vi è senza dubbio quello, databile attorno al 1904, della scoperta dell'importanza della scienza medievale, come conseguenza delle sue ricerche sulle origini della statica; fatto, questo, che rinforzava la sua tesi della «continuità storica», elemento chiave della sua epistemologia. È oggi ormai riconosciuto da tutti che Duhem fu il primo a compiere una ricerca sistematica sulla scienza medievale, inaugurando un percorso di studi che sarà proseguito solo alcuni anni più tardi da autori come Koyré, Dijksterhuis e Maier.
Duhem riteneva che la conoscenza della storia della scienza non servisse al lavoro del fisico solo per migliorare la sua attività didattica, ma essa aveva importanti ripercussioni anche sulla sua ricerca: tale conoscenza incideva sul proprio interrogarsi circa la natura e la portata della scienza. La rivalutazione del ruolo epistemologico della storia della scienza - tornata di grande attualità a partire dal movimento post-positivista - tocca uno dei punti centrali dell'opera di Duhem. Dopo che W. Quine ebbe riscoperto la tesi duhemiana secondo cui le ipotesi scientifiche sono sottoposte "collettivamente" al controllo sperimentale (cioè in quanto complesso teorico e non come semplice experimentum crucis ), il cosiddetto «problema di Duhem» viene riproposto continuamente; inoltre, sia questa tesi, sia l'impiego della prospettiva storica, forniranno gli elementi ante litteram per un certo superamento del pensiero di Kuhn, Lakatos, Feyerabend e Laudan. Tutti questi autori ripropongono in fondo le idee di Duhem, ma in un contesto diverso, quello di una concezione "non cumulativa" dello sviluppo scientifico, mentre lo scienziato francese ne difese la continuità storica. Col trascorrere del tempo, è cresciuta la consapevolezza circa l'importanza dei lavori di Duhem: questi mantengono ancor oggi il loro valore, dopo un succedersi di svariate scuole epistemologiche.
III. Dalla fisica all'epistemologia
Alla fine del secolo XIX la scuola newtoniana e quella cinetista erano in aperto dibattito circa la spiegazione da dare ai diversi fenomeni fisici. Duhem volle superare queste dispute elaborando una teoria fisica unitaria, secondo il sogno di Laplace, che non contenesse ipotesi sulla struttura della materia. Tale teoria intendeva lasciar da parte le forze molecolari e i movimenti delle particelle, che egli considerava un frutto prematuro proveniente da un'immagine meccanicista della materia. Il punto di vista che assunse Duhem fu macroscopico: fece astrazione della realtà molecolare e caratterizzò lo stato di un sistema per un certo numero di proprietà facilmente misurabili. Questa impostazione lo portò ad una presentazione volutamente assiomatica della termodinamica. Helmholtz e Gibbs avevano voluto sviluppare la termodinamica secondo una via formalmente identica a quella intrapresa da Lagrange per sviluppare la statica e la dinamica razionale. A loro volta, Clausius e Kirchoff proponevano una termodinamica indipendente da ogni rappresentazione meccanica. Duhem scelse una soluzione intermedia, secondo la via ideata di Rankine: la termodinamica, in luogo di diventare una scienza indipendente, avrebbe dovuto occuparsi sia dei cambi di stato che dei cambi di luogo, facendo così diventare la meccanica razionale un caso particolare di una termodinamica generalizzata.
Il punto di partenza epistemologico e lo sforzo iniziale di Duhem furono la ricerca di una "rivalorizzazione dell'astrazione scientifica" nella teoria fisica, di fronte a un ambiente di empirismo fenomenico o di sperimentalismo che era frutto del positivismo francese della fine del secolo XIX. Allo stesso tempo, Duhem entrava nel dibattito epistemologico da una prospettiva realista e con la chiara intenzione di contrastare l'influsso di carattere funzionalista di alcuni autori anglosassoni. A tale scopo, volle poggiarsi su una scienza salda, la termodinamica chimica, che in quel momento storico stava progredendo con passi scientificamente importanti. Egli non può essere dunque assimilato a quegli autori i quali, di fronte alla "crisi della scienza razionalistica", reagirono in modo strumentalistico contro ogni ontologismo. Duhem stesso protestò di fronte ad alcune interpretazioni strumentalistiche del suo pensiero, come quando le sue tesi giovanili furono valutate in senso scettico. La sua polemica verso le dottrine di Mach, Poincaré e Le Roy fu costante, nonostante una certa critica posteriore abbia tralasciato determinate pagine duhemiane che prendono posizione contro il convenzionalismo di taglio scettico.
Appare senza dubbio riduttiva la posizione di quanti ritengono che Duhem non abbia fatto altro che ripetere quanto affermato dal suo contemporaneo austriaco Mach, in modo particolare, circa l'economicismo epistemologico. Esistono, è vero, degli elogi che lo stesso Mach dedica a Duhem, giungendo a scrivere che la teoria fisica dello scienziato francese era un «complemento e un chiarimento» della propria. Ma fra i due pensatori esistono delle differenze sensibili. Basti pensare che Mach fu sempre ostile alla metafisica, mentre Duhem la apprezzava e ne coglieva i rapporti, ma anche le opportune distinzioni, con la fisica. Questi riteneva che la conoscenza scientifica si approssimava ad un ordine naturale, realmente esistente nelle cose, e che la prospettiva scientifica non esauriva la razionalità umana, ma rappresentava solo uno dei suoi diversi aspetti. Mach, invece, in merito alla validità della conoscenza umana ebbe un atteggiamento problematico, pervaso da una forma di psicologismo nel quale le sensazioni costituiscono l'ultimo punto di riferimento, criticando tutti quei tentativi di fondare una gnoseologia che non rispondesse ai suoi canoni empiristi. Pare chiarificante, in proposito, il commento al pensiero di Duhem che Louis de Broglie formulò nella sua Introduzione a La théorie physique e che troviamo nell'edizione italiana: la separazione fra fisica e metafisica sostenuta in quell'opera «lo spinge, come conseguenza logica ma curiosa, ad essere schierato, almeno rispetto alla interpretazione delle teorie fisiche, tra i positivisti con tendenze energetiste e fenomenologiche. Infatti egli riassume la sua opinione riguardo le teorie fisiche nella seguente conclusione: «Una teoria fisica non è una spiegazione; è un sistema di proposizioni matematiche il cui scopo è di rappresentare nel modo più semplice, completo ed esatto possibile un intero gruppo di leggi sperimentali». La teoria fisica sarebbe allora semplicemente un metodo di classificazione dei fenomeni fisici che ci impedisce di annegare nell'estrema complessità di questi fenomeni. E Duhem, giunto a questa concezione positivista e pragmatista della natura, confinante con il convenzionalismo (commodisme ) di Henri Poincaré, era completamente d'accordo con il positivista Mach nel proclamare che la teoria fisica è innanzi tutto una "economia di pensiero"» ( La teoria fisica , Bologna 1978, Introduzione, p. XII)
La distanza di Duhem dal positivismo può riconoscersi nel valore attribuito all'analisi metafisica. A differenza di quest'ultima, la fisica non cerca di raggiungere il "fondo della realtà", ma soltanto di costruire una classificazione delle sue leggi. La teoria fisica, per Duhem, è certamente un linguaggio comodo e non c'è differenza di valore fra le diverse teorie, ma differenza di comodità d'uso, insieme ad una maggiore o minore eleganza della forma. Ma Duhem non si fermava lì. Analizzando la teoria fisica ed i suoi elementi costitutivi, egli segnala che questa deve poter possedere anche un fondamento ontologico: «così la teoria fisica deve richiedere alla metafisica le ragioni della sua legittimità» ( La teoria fisica , p. 335). «Differenziandosi su questo punto dal puro fenomenismo - ammette de Broglie - affermò che le leggi matematiche della fisica teorica, senza informarci di quale sia la profonda realtà delle cose, ci rivelano comunque certi aspetti di una armonia che può essere solo di ordine ontologico». Tale impostazione si accorda sia con un sostanziale realismo conoscitivo, sia con l'apprezzamento di una dimensione estetica della scienza: poiché la costruzione della teoria fisica procede verso una "classificazione naturale" delle leggi sperimentali, di una teoria occorre mettere in luce la sua coerenza, il suo rigore, ma anche la sua bellezza, con tutto ciò che tali sostantivi significano. Se la scienza tende verso la verità, essa deve tendere verso la coerenza; se rinuncia alla coerenza, si può dire che rinuncia alla verità.
«Noi sosteniamo -afferma Duhem in un saggio del 1893 - che le scienze positive devono essere trattate con i metodi propri delle scienze positive; sosteniamo che questi metodi poggiano su dei princìpi evidenti per sé e possono funzionare indipendentemente da ogni ricerca metafisica; sosteniamo inoltre che tali metodi, efficaci nell'osservazione dei fenomeni e nella scoperta delle leggi, sono altresì incapaci di coglierne le cause e di raggiungerne le sostanze; ma tutto ciò non vuol dire essere un positivista. Essere positivista è invece affermare che non c'è alcun altro metodo logico se non quello delle scienze positive, e che ciò che non è conoscibile da queste scienze è in sé assolutamente inconoscibile» ( Physique et métaphysique , p. 70). Se da un punto di vista ontologico Duhem non era positivista, egli considerava la fisica come una scienza metodologicamente autonoma rispetto alla metafisica. La fisica cercherebbe soltanto di "salvare le apparenze". La finalità della teoria fisica sarebbe quella di approssimarsi sempre di più alla classificazione naturale delle leggi sperimentali, mostrando una coordinazione logica che sia immagine e riflesso di un ordine vero, un ordine che trascenderebbe però l'oggetto proprio della fisica. Certamente, l'autonomia della fisica rispetto della filosofia è un punto peculiare e discusso del pensiero di Duhem. Questo «positivismo strettamente metodologico» - come viene denominato da Brenner (1990) - permette di smascherare le visioni scientiste di taglio materialistico, che elaborano cosmologie filosofiche antimetafisiche volendosi indebitamente basare sui risultati della scienza.
Lo stesso Duhem ammetterà che tale autonomia, necessaria mentre si realizza lo sviluppo logico-matematico della teoria fisica, negli altri momenti della edificazione della teoria lascia la porta ben aperta a considerazioni che fanno riferimento al bons sens , cioè, all'intervento indiretto del senso comune, della filosofia prima, dell'etica, ecc., riconosciute quali spinte creatrici e guide storiche dello sviluppo della fisica. A tale sviluppo contribuiscono l'intuizione, la sagacità e perfino la fede. In modo particolare, davanti alla libertà che lo scienziato gode per poter scegliere le sue ipotesi prima di edificare la teoria, Duhem giungerà a consigliare di farsi guidare dalle "ragioni del cuore", cioè, in definitiva, da argomenti di senso comune e filosofico.
IV. La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura
L'ordine degli argomenti che Duhem segue nella sua opera principale, La théorie physique, son objet et sa structure (Paris 1906), consente di operare una sintesi ed un'ulteriore valutazione dell'epistemologia duhemiana. La formulazione dell'oggetto di una teoria fisica si realizza secondo passi successivi, cominciando da considerazioni elementari, come l'economia di pensiero ed il suo valore estetico, fino alla convinzione che la teoria fisica debba essere una classificazione naturale delle leggi scientifiche. Ci si muove qui in un ambito "rappresentativo", ma non funzionalista. Ci si vuole distanziare dalla posizione di chi intenda "spiegare" la realtà mediante la teoria stessa, posizione che Duhem associa al meccanicismo. Dopo averne definito l'oggetto, la metodologia di Duhem percorre la "struttura" che facilita lo sviluppo di una teoria fisica: la sperimentazione e l'impiego di opportune leggi fisiche, la scelta delle ipotesi, il costrutto logico-matematico della teoria e, finalmente, il confronto delle conclusioni della teoria con l'esperienza.
Duhem propone una precisa formulazione del lavoro scientifico, che giustifica sia mediante un ragionamento logico, sia ricorrendo all'esperienza storica. Egli inizia con un'analisi del trattamento dei fatti; i fatti comuni sono "tradotti" dal fisico in fatti scientifici, che si caratterizzano per esser costituiti da un "simbolo" accompagnato da una cifra che ne individua la dimensione quantitativa. Questa "traduzione" esige la mediazione delle teorie e la sua bontà incide sul grado di certezza di ogni esperienza scientifica. Successivamente alla distinzione fra "fatti comuni" e "fatti scientifici", occorre distinguere anche fra leggi del senso comune e leggi fisiche; queste ultime, in particolare, riceveranno l'impatto di tutto il corpo della teoria scientifica in cui si inseriscono, ma a differenza delle leggi del senso comune, le leggi fisiche sono simboliche, provvisorie e relative. La scienza sperimentale del suo tempo diffidava dalle grandi teorizzazioni ed utilizzava le sue ipotesi in maniera provvisoria; queste potevano essere verificate e trasformate, grazie ad "esperimenti cruciali", in verità stabili, oppure rigettate per sempre come false. Duhem operò una critica a tale induttivismo con una concezione della teoria come sistema deduttivo, cercando di mostrare, ad esempio, che la teoria della gravitazione universale non poteva essere frutto di induzione empirica a partire dalle leggi di Keplero.
Lo studio della storia della scienza deve fornire, per Duhem, la chiave per orientarsi nella scelta delle ipotesi. La costruzione della teoria, poi, deve essere metodologicamente astratta ed essere guidata soltanto dalle condizioni che detta la logica. Una volta terminato l'edificio teorico, dopo un costrutto logico-matematico giunge il momento del confronto con i fatti e le leggi sperimentali. Ma si tratta del confronto di tutta la teoria nel suo insieme: se si astraesse dal legame con il quadro teorico di insieme, sarebbe impossibile decidere, con un cosiddetto experimentum crucis fra due ipotesi fisiche, isolate e contraddittorie, quale di esse si debba ritenere. Tale visione è stata anche chiamata da alcuni «tesi olista»: non si possono presentare al controllo sperimentale ipotesi isolate, ma i dati sperimentali devono essere confrontati con tutto l'insieme dei risultati e delle ipotesi che hanno originato una teoria fisica; all'esame dell'esperienza vengono dunque vagliate tanto le conclusioni come le ipotesi della teoria, senza eccezione.
In ciò Duhem si distanzia dal convenzionalismo ed in particolare da Poincaré, che ammetteva invece princìpi generali convenzionali, che non rispondevano - direttamente o almeno indirettamente - a un fatto osservato, ma erano stabiliti come frutto di una convenzione, di un accordo libero della comunità scientifica. La teoria fisica di Duhem non è convenzionale in questo senso. Lo sarebbe se gli esperimenti non determinassero direttamente il valore di verità delle teorie, lasciando una scelta puramente arbitraria delle ipotesi. Può essere convenzionale una classificazione artificiale delle leggi fisiche, ma non quella "classificazione naturale" alla quale Duhem fa sempre riferimento: «Il fine che proponiamo alla teoria fisica è di trasformarsi in una classificazione naturale , di stabilire fra le diverse leggi sperimentali un coordinamento logico, immagine e riflesso dell'ordine vero secondo il quale sono organizzate le realtà che ci sfuggono; questa è la condizione perché la teoria diventi feconda, perché ispiri delle scoperte» ( La teoria fisica , p. 37)
Le conclusioni alle quali giunge una teoria coincideranno con le leggi sperimentali già note, ma, inoltre, vi saranno delle ulteriori conclusioni, nuove e inattese: «Se la teoria fosse un sistema puramente artificiale, se individuassimo nelle ipotesi su cui essa si fonda alcuni enunciati che, abilmente disposti, rappresentano leggi sperimentali già note, se non vi sospettassimo alcun riflesso dei veri rapporti esistenti nelle realtà celate ai nostri occhi, penseremmo che una teoria siffatta debba attendere da una nuova legge una smentita piuttosto che una conferma [.]. Se, al contrario, nella teoria riconoscessimo una classificazione naturale, se sentissimo che i suoi princìpi esprimono rapporti profondi e reali fra le cose, non ci meraviglieremmo di vedere che le conseguenze anticipano l'esperienza e provocano la scoperta di nuove leggi» ( ibidem , p. 33).
L'appello alla "storia della scienza", specie al momento di formulare una scelta fra le diverse possibili ipotesi, è un altro elemento che distanzia la concezione duhemiana della teoria fisica dallo strumentalismo e ne mette in luce il latente realismo. Duhem riteneva che vi fosse continuità nel progresso delle conoscenze ed adottava un "principio di massima conservazione" del patrimonio scientifico di coloro che ci hanno preceduto. Le "grandi rivoluzioni" restano per lui qualcosa di eccezionale, perché la regola abituale, nel lavoro dello scienziato, è la "continuità", cioè arricchire e completare col procedere del tempo la teoria formulata in partenza. La riflessione storica mette in salvo Duhem tanto dal dogmatismo scientista come dallo scetticismo. Questo progressivo adeguarsi della scienza alla realtà, assieme alla chiara accettazione di una conoscenza comune e dell'esistenza di una metafisica, mostrano una coerenza di fondo fra ciò che Duhem scriveva "sulla scienza" e il modo reale di lavorare "della scienza" nei dipartimenti universitari che frequentò.
Duhem impiegherà l'espressione «teoria fisica» sempre al singolare, per sottolineare l'esistenza di un progetto coerente e unitario, che egli orientava allo sviluppo della termodinamica generale o energetica (vedi supra , II). Col passare degli anni tale progetto si dimostrerà non più praticabile, così come la sua critica all'atomismo, che risentiva tuttavia della modellizzazione in voga all'inizio del XX secolo. Tuttavia, lo schema duhemiano indica un modo di procedere di valore generale, che può trovare applicazioni anche contemporanee nella teoria dei quanti, nella relatività, nella stessa termodinamica, vale a dire in quelle parti della fisica che parrebbero costituirsi come discipline scientifiche complete, le cui caratteristiche corrispondono da vicino a quanto Duhem intendeva dire quando si riferiva ad una «teoria fisica»: trattati astratti, coerenti, unitari, ecc. La sua epistemologia non voleva però attribuire alla teoria fisica un valore gnoseologicamente totalizzante: lontano da ogni dogmatismo ideologico, egli si muove all'interno di una comprensione contestuale e parziale della verità scientifica, che non vuol dire convenzionale, ma relativa all'ambito proprio dei problemi della fisica. Così lo esprimerà nell'Introduzione della sua opera: «Questo scritto vuole essere una semplice analisi logica del metodo con il quale progredisce la scienza fisica. Forse, alcuni dei nostri lettori vorranno estendere le riflessioni qui esposte a scienze diverse dalla fisica, forse desidereranno anche trarne conseguenze che trascendono l'oggetto proprio della logica. Da parte nostra ci siamo ben guardati dal fare l'una e l'altra generalizzazione e abbiamo imposto alle nostre ricerche limiti ristretti al fine di esplorare nel modo più completo il dominio chiuso che avevamo assegnato loro» ( La teoria fisica , p. 3).
V. Duhem, storico della scienza
In tutte le sue pubblicazioni Duhem amava fare riferimenti alla storia della fisica con numerosi esempi ed analogie. Se nei primi scritti egli si limitava a fornire tali esempi a titolo illustrativo o didattico, col tempo cominciò ad impiegare l'argomentazione storica in modo sempre più preciso, a sostegno della tesi della «continuità storica». La tesi verrà talvolta utilizzata anche con fini apologetici, sia per recuperare il valore della cultura scientifica nella cristianità medievale, sia per introdurre l'idea che una Provvidenza divina, Intelligenza che governa il mondo, guidi il progresso e lo sviluppo delle scienze nel corso della storia. Significativo, in proposito, quanto affermerà riguardo alla storia della statica: «Lo sviluppo della statica ci mostra, altrettanto e più ancora dello sviluppo di un essere vivente, l'influenza di un'idea direttrice. Attraverso i fatti complessi che compongono questo sviluppo noi percepiamo l'azione continua di una Saggezza che prevede la forma ideale verso cui la scienza deve tendere e di una Potenza che fa convergere verso questo fine gli sforzi di tutti i pensatori; in una parola, noi vi riconosciamo l'opera di una Provvidenza» ( Les origines de la statique , vol. II, pp. 289-290).
Fra le pubblicazioni di carattere storico vanno ricordati i volumi Sauver les phénomènes (1908) e Le mouvement absolu et le mouvement relatif (1909), dedicati in modo complementare allo studio del caso Galileo, rispettivamente dal punto di vista metodologico e da quello filosofico. Il primo di essi ebbe una grande diffusione e divenne noto quale esempio di difesa del metodo del "salvare le apparenze", sebbene, considerato isolatamente, non consentirebbe di cogliere correttamente l'impostazione di Duhem in merito alla nota vicenda dello scienziato pisano. I primi scritti storici incentrano la loro attenzione sullo sviluppo della scienza a partire da Cartesio e da Galileo, ma dopo il 1904 Duhem scoprirà, dedicandosi allo studio della storia della statica, l'importanza dei lavori di Giordano Nemorario (XIII secolo) e come questi erano poi passati a Niccolò Tartaglia (1500 ca.-1557), che li aveva assunti come propri. Attratto dalla insospettata ricchezza della meccanica medievale, egli decise di compiere uno studio sistematico dell'epoca. Tre anni più tardi, nel 1907, avrà raccolto elementi più che sufficienti per esporre l'evoluzione progressiva delle dottrine cosmologiche, da Platone fino a Copernico, evidenziando che l'astronomia fu la prima scienza ad acquisire una formulazione matematica, seguita dalla statica, dalla dinamica ed infine dall'ottica.
Furono questi studi a convincerlo del ruolo svolto dal cristianesimo nella genesi della scienza. Egli lo spiegherà così, con toni assai vivaci, in una lettera scritta a P. Bulliot: «Dalla sua nascita la scienza ellenica è tutta impregnata di teologia, ma di una teologia pagana. La teologia insegna che i cieli e gli astri sono degli dei, essa insegna che non possono avere altri movimenti all'infuori del moto circolare e uniforme che è il movimento perfetto; essa maledice l'empio che osa attribuire un movimento alla terra, luogo consacrato della divinità... Ora, questi ostacoli, chi li ha spezzati? Il Cristianesimo. Chi ha, in primo luogo, profittato della libertà così conquistata per lanciarsi alla scoperta di una scienza nuova? La Scolastica. Chi dunque, nel mezzo del XIV secolo, ha osato dichiarare che i cieli non erano per nulla mossi da intelligenze divine o angeliche, ma da un impulso indistruttibile ricevuto da Dio al momento della creazione, nello stesso modo in cui si muove una palla lanciata dal giocatore? Un maestro delle arti di Parigi: Giovanni Buridano. Chi ha, nel 1377, dichiarato il movimento diurno della terra più semplice e più soddisfacente per la mente del movimento diurno del cielo, chi ha nettamente rifiutato tutte le obiezioni sollevate contro il primo di questi movimenti? Un altro maestro di Parigi, divenuto arcivescovo di Lisieux: Nicola d'Oresme. Chi ha fondato la dinamica, scoperto la legge della caduta dei gravi, posto le fondamenta di una geologia? La Scolastica parigina in tempi in cui l'ortodossia cattolica della Sorbona era proverbiale nel mondo intero. Che ruolo hanno giocato nella formazione della scienza moderna quei liberi spiriti, tanto vantati, del Rinascimento? Nella loro superstiziosa e acritica ammirazione dell'antichità essi hanno misconosciuto e trascurato tutte le idee feconde che aveva prodotto la Scolastica del XIV secolo, per riprendere le teorie meno sostenibili della fisica platonica o peripatetica. Cosa fu, alla fine del XVI secolo e all'inizio del XVII secolo quel grande movimento intellettuale che ha prodotto le dottrine ormai ammesse? Un puro e semplice ritorno agli insegnamenti che dava, nel medioevo, la Scolastica di Parigi, in modo che Copernico e Galileo sono i continuatori e in un certo modo i discepoli di Nicola d'Oresme e di Giovanni Buridano. Se dunque questa scienza, di cui noi siamo cosi legittimamente fieri, ha potuto vedere la luce, e perché la Chiesa cattolica ne è stata la levatrice» (cit. in Maiocchi, 1985, pp. 267-268).
Alla pubblicazione degli Etudes sur Léonard de Vinci: ceux qu'il a lus et ceux qui l'ont lu (1906, 1909 e 1913), seguirà la sua maggiore e più famosa opera di questo genere, la monumentale Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, iniziata nel 1913 e lasciata poi incompiuta. In essa Duhem studia sistematicamente le dottrine antiche e medievali e la loro evoluzione, specie in relazione ai concetti di luogo, di spazio, di tempo, al valore delle ipotesi in astronomia, al concetto di massa e a quello diimpetus ; svolge uno studio dello sviluppo della nozione di infinito da Richard di Middleton fino a Gregorio da Rimini, a Buridano e Alberto di Sassonia, ed anche di quella di «vuoto» da Duns Scoto a Pierre Philarge, alla fine del secolo XIV. I testi che Duhem impiega per documentare le sue affermazioni sono numerosi e pertinenti. Così proverà che Duns Scoto (1265 ca.-1308), cercando di riformulare i concetti di luogo, di movimento e di tempo come varianti della concezione aristotelica, diede origine ad una nuova cosmologia filosofica. Il realismo di Duns Scoto verrà poi attaccato da Guglielmo di Ockham (1280-1349); più tardi Buridano, cercando una soluzione di compromesso fra Scoto e Ockham, arriverà a proporre un'analisi moderna del concetto di «luogo». Su questo medesimo concetto, ripreso poi da Alberto di Sassonia, i discepoli di Scoto, Jean le Chanoine e Nicola Bonet, svilupperanno altre teorie. In queste analisi, lo scienziato e storico francese rivolgerà un'attenzione privilegiata a quanto accadeva nella Scuola di Parigi rispetto a quella di Oxford.
Proprio in relazione al punto, assai dibattuto, circa la "nascita della scienza moderna", Duhem volle farla coincidere col momento del noto decreto di condanna delle 219 tesi aristotelico-averroiste promulgato il 7 marzo del 1277 dal vescovo di Parigi Étienne Tempier. Questo decreto, insieme con l'analogo provvedimento che l'arcivescovo di Canterbury, seguendo le raccomandazioni del papa Giovanni XXI, pubblicherà quasi contemporaneamente, determineranno nelle università di Oxford e di Parigi la nascita di un movimento che indirizza la ricerca universitaria verso nuove rotte. Secondo Duhem, sarà a partire dal decreto di Tempier che in tutti questi temi si profileranno due grandi scuole: il realismo di Scoto e il nominalismo di Ockham.
Un punto importante è rappresentato dalla «teoria dell' impetus », che Duhem scoprì essere stata sviluppata da Buridano verso la metà del XIV secolo, e poi ripresa da Alberto di Sassonia e da Nicola d'Oresme, grazie allo studio approfondito dei due manoscritti: Quaestiones totius libri physicorum di Buridano e il Traité du ciel et du monde di Oresme. Nel primo manoscritto appare specialmente significativa, in proposito, la questione 12 del libro VIII, dedicata al movimento dei proiettili, alla caduta accelerata dei gravi ed ai motori celesti. Per Duhem si trattava di una prova inconfutabile dell'esistenza di una scienza medievale, che poteva giungere fino all'intuizione del principio d'inerzia. Inoltre Buridano ebbe l'audacia d'affermare che i movimenti dei corpi terrestri ed i movimenti dei cieli erano sottomessi alle stesse leggi: vi sarebbe cioè un'unica meccanica che regge tutto il creato. La dinamica dei maestri parigini del secolo XIV sembrava essere un anticipo della dinamica del secolo XVI: questa dinamica giungerà a Galileo dopo essere passata attraverso Alberto di Sassonia, Leonardo da Vinci, Scaligero, Bernardino Baldi e Giambattista Benedetti, in uno sviluppo progressivo di idee che provocarono la nascita progressiva della scienza moderna, così come tradizionalmente intesa. In perfetto accordo con la sua «tesi della continuità», Duhem vide in Leonardo da Vinci il mediatore privilegiato di tale trasmissione, giacché questi lesse Alberto di Sassonia e Nicolò Cusano, ricevendo da loro gli studi sulla dinamica medievale, che poi trasmise nel secolo XVI a Baldi e Benedetti. I concetti cinematici e dinamici degli scolastici erano certamente imprecisi per mancanza di una traduzione matematica adeguata, ma tale mancanza, secondo Duhem, non fu tale da dover considerare quanto poi avverrà due o tre secoli più tardi con Galileo, e poi soprattutto con Newton, una vera e propria rottura rispetto al passato.
Nello studio delle ipotesi astronomiche, lo studioso francese dedica speciale attenzione all'evoluzione del "metodo di salvare le apparenze", che fa rimontare ai greci, Platone compreso; un metodo che giungerà fino a Tommaso d'Aquino tramite lo studio di Posidonius e di Simplicius, poi a Buridano, e che lo stesso Duhem riprese nella fisica moderna. Gli autori dei secoli XVIII e XIX daranno invece una fiducia eccessiva - secondo Duhem - alle "teorie esplicative" le quali, partendo dal successo interpretativo dell'ipotesi di attrazione universale, vollero spiegare tutta la scienza in chiave meccanicista, con un atomismo sottinteso. Nello sviluppo dell'ottica, mostrerà il succedersi delle diverse teorie: da quella a carattere ondulatorio di Huygens a quella corpuscolare di Newton; poi, con Fresnel, nuovamente ondulatoria, e finalmente con Maxwell la proposta di una sintesi elettromagnetica innovativa. Senza per questo negare la reale portata conoscitiva della scienza - il suo è, come abbiamo visto, un atteggiamento realista e non scetticista - Duhem si rifiutava di interpretare questo succedersi di teorie come una serie di visioni esplicative, preferendo invece l'idea di rappresentazioni che salvassero le apparenze e che, come già detto, si avvicinano sempre di più alla classificazione naturale delle leggi.
Occorre infine segnalare che Duhem non si limitò a fare della storia della scienza con metodo positivo, ma si interessò anche alle grandi idee cosmologiche e a tutti quei fattori filosofici e psicologici che intervengono nella nascita di un "nuovo sistema del mondo". Ciò lo condusse necessariamente ad uno studio delle origini metafisiche della scienza moderna, cosa alquanto inedita fra gli storici della scienza della sua epoca. Come sottolinea opportunamente Maiocchi, Duhem mostrò «come solo rompendo con l'epistemologia positivista e assumendo come guida alla ricerca storica una epistemologia differente si potesse scrivere una storia della scienza non positivista» (Maiocchi, 1985, p. 290).
VI. Scienza, metafisica e religione: "la fisica di un credente"
Nell'epistemologia e nella vita personale di Duhem la sua comprensione della teoria fisica, così come il rapporto fra fisica e metafisica, si intrecciano con la sua condizione di credente. Ci fu chi volle vedere nella proposta di una teoria energetista unitaria, contraria al meccanicismo, e nella sua visione continuista fra pensiero medievale e pensiero moderno, una presa di posizione confessionale in favore del cattolicesimo. Riferendosi alle sue convinzioni religiose, Abel Rey (1873-1940) volle qualificare la concezione duhemiana come «la filosofia scientifica di un credente». Per valutare la portata della questione basti ricordare che in quell'epoca vi era in Francia un aperto dibattito sulle relazioni fra cultura laica e cultura religiosa e l'articolo di Rey poteva indurre ad una squalifica dell'epistemologia duhemiana. La risposta dello scienziato non si fece attendere: «Certo, io credo pienamente nelle verità rivelateci da Dio e trasmesseci dalla sua Chiesa, non ho mai nascosto la mia fede e Colui nel quale la ripongo mi salvaguarderà, lo spero nel profondo del cuore, dall'arrossirne. In questo senso è lecito affermare che la fisica da me professata è quella di un credente» ( La teoria fisica , p. 308). Si trattava certamente della «fisica di un credente» (sarà questo il titolo di un articolo del 1905 pubblicato come Appendice a La théorie physique , nell'edizione del 1914), ma egli ci tenne a chiarire che la sua fede religiosa non limitava, contrariamente a quanto lasciava intendere Rey, il suo lavoro in quanto scienziato.
Per quanto riguarda la rivalutazione della scienza pre-moderna, Duhem ci terrà a precisare che le sue riflessioni non rispondono a ragioni religiose, ma dipendono da una serena analisi dei fatti. Dopo aver mostrato che, con una opportuna lettura storico-contestuale, è possibile perfino riconoscere nella teoria aristotelica del "luogo naturale degli elementi" delle tracce del pensiero scientifico moderno sull'equilibrio dei sistemi termodinamici, si chiederà in tono polemico: «Una fisica la cui analogia con la cosmologia di Aristotele e della Scuola si evidenzia così chiaramente, è la fisica del credente. Perché? Vi è qualcosa nella cosmologia di Aristotele o in quella della Scolastica, che implichi una necessaria adesione al dogma cattolico? Il non credente non può, così come il credente, adottare tale dottrina? E infatti non è stata forse insegnata da pagani, musulmani, ebrei, eretici così come da fedeli figli della Chiesa? Dove dunque si trova il carattere essenzialmente cattolico di cui la si dice improntata? È forse per il fatto che un gran numero di dottori cattolici, e dei più eminenti, hanno lavorato al suo progresso? O per il fatto che un papa [Leone XIII, Aeterni Patris , 1879], ancor poco fa, proclamava e i servizi resi un tempo alla scienza dalla filosofia di s. Tommaso d'Aquino, e quelli che in avvenire potrà renderle?» ( La teoria fisica , p. 348). Ma in modo particolare a Duhem interessava la convergenza fra l'aristotelismo e l'energetica, cioè la moderna termodinamica. Va detto che il suo aristotelismo non era un aristotelismo tomista: Duhem riconobbe il valore di s. Tommaso, ma non condivideva la sua sintesi aristotelico-platonica, che sempre trovò eterogenea. Certamente studiò con profondità la filosofia dell'Aquinate reagendo, non senza motivo, di fronte ad alcuni neotomisti del suo tempo i quali, secondo lui, non avevano pienamente compreso né s. Tommaso, né gli Scolastici che essi volevano difendere. Conservò tuttavia una buona amicizia con autori neotomisti che considerava a lui più vicini, come A. Gardeil (1859-1931) ed il giovane R. Garrigou-Lagrange (1877-1964), ed incrociò con loro un assiduo carteggio: Garrigou pubblicò come allegato al suo libro Dieu, son existence et sa nature (Paris, 1914) un'interessante lettera ricevuta da Duhem nel 1912.
Il pensiero scientifico di Duhem è certamente aperto alla trascendenza e la sua gnoseologia non limitata dalle apparenze sensibili della realtà. Egli stabilisce però un'originale demarcazione fra gli ambiti di studio propri alla fisica e quelli della filosofia. Vi era forse all'origine di questa netta separazione il desiderio di difendere la fede del credente dagli assalti dello scientismo e la scienza dell'accusa di materialismo ateo? Certo è che Duhem sfumò abbastanza la demarcazione fra fisica e filosofia, quando ammetteva una loro "convergenza progressiva" ed affermava l'esistenza di una analogia fra i due domini del sapere. Allo stesso tempo, denunciava le pretese delle filosofie meccaniciste e materialiste, che altro non facevano se non estrapolazioni illegittime dei risultati della fisica. Si riconosce alla metafisica l'ambito dei princìpi primi e di nozioni sulle quali la fisica si poggia, ma si lascia alla fisica la piena libertà di formulare i suoi modelli e le sue rappresentazioni. Queste ultime non hanno il compito di confermare o di negare le conclusioni della filosofia, ma non sono nemmeno del tutto arbitrarie, perché le leggi e le rappresentazioni della fisica avranno sempre la tendenza, col progresso della conoscenza scientifica, di individuare quella "classificazione naturale" delle leggi che meglio approssima la realtà delle cose.
In questo contesto è interessante ricordare l'importanza che Duhem dava, in sede gnoseologica, al senso comune, mediante il quale è possibile raggiungere, senza bisogno di un'elaborazione filosofica riflessa, alcuni princìpi evidenti di per sé che si trovano alla base di ogni sapere scientifico. Stanley Jaki ha studiato questo aspetto del pensiero di Duhem, indicando come il realismo dello scienziato francese si fonda, fra l'altro, sull'accettazione di quell'appoggio che il senso comune offre alla conoscenza scientifica propriamente detta: «Ho creduto mio dovere di studioso e di cristiano quello di essere un apostolo del senso comune, unico fondamento di ogni certezza scientifica, filosofica e religiosa» (cfr. Jaki, 1990, p. 89). Per essere più precisi, senso comune e conoscenza scientifica vengono edificati sugli stessi princìpi: «Le fondamenta di ciascuno di questi edifici sono formate da nozioni che si ha la pretesa di comprendere, benché non si possa definirle, di princìpi che si ritengono ben stabiliti, nonostante il fatto che non se ne possa offrire alcuna dimostrazione. Queste nozioni e questi princìpi sono formati dal senso comune. Senza questa base di senso comune, per nulla scientifica, nessuna scienza potrebbe reggere; da essa deriva tutta la sua solidità» (ibidem). La metafisica dà ragione dei fondamenti della fisica, ma la certezza dei risultati della scienza non dipende dalla consapevolezza che di questa articolazione lo scienziato possegga: «appartiene alla metafisica dar ragione dei fondamenti, evidenti per se stessi, sui quali riposa la fisica; ma lo studio di tali fondamenti non aggiunge nulla alla loro certezza e alla loro evidenza nel dominio della fisica» (Physique et métaphysique, p. 64).
Quasi inversamente a quanto farebbero i tomisti, Duhem concedeva una priorità temporale alla fisica rispetto alla metafisica, per consigliare poi a teologi e filosofi di studiare approfonditamente la fisica, allo scopo di potersene servire per sviluppare la metafisica, evitando però ogni tentazione di concordismo e mantenendo le due discipline opportunamente separate. Se si confondesse il dominio della fisica con quello della metafisica, si farebbe il gioco del positivismo: discutendo sulle teorie fisiche con ragioni metafisiche, un positivista non avrebbe alcuna difficoltà a mostrare che i metodi della fisica non giungono alle stesse conclusioni della metafisica, confutando così gli argomenti di quest'ultima. Duhem cercava, come si è detto, un punto di incontro fra fisica e metafisica, ma lo collocava piuttosto in un momento posteriore, riflesso, della conoscenza dello scienziato.
È in tale momento riflesso che il lavoro dello scienziato incontra un ordine di cose che trascende la scienza stessa, al punto da poter affermare che «sarebbe irragionevole lavorare al progresso della teoria fisica se essa non fosse il riflesso sempre più chiaro e preciso di una metafisica; la convinzione in un ordine trascendente la fisica rappresenta la sola ragion d'essere della teoria fisica» (La teoria fisica, p. 373). È a quest'ordine ontologico che competono le cause ultime e fondanti e compete la pertinenza di un discorso su Dio. La fisica, con i suoi metodi prettamente empirici, è incapace di dimostrare la presenza di tale fondamento ontologico, ma può offrirne indizi attraverso la coerenza e l'intelligibilità delle leggi naturali universali. Così la teoria fisica, «più si perfeziona, più avvertiamo che l'ordine logico nel quale essa dispone le leggi sperimentali è il riflesso di un assetto ontologico; più dubitiamo che i rapporti che stabilisce tra i dati dell'osservazione corrispondono a rapporti tra le cose, più scopriamo che essa tende ad essere una classificazione naturale» (ibidem, pp. 31-32). Si tratta di conclusioni che non appartengono al metodo scientifico, ma appartengono allo scienziato, come Duhem ricorda citando Pascal: «con una intuizione nella quale riconobbe una delle ragioni del cuore "sconosciute alla ragione" Pascal afferma la propria fede in un ordine reale di cui le sue teorie sono un'immagine sempre più chiara e fedele» (ibidem , p. 32).
Principali opere di Pierre Duhem in relazione ai temi trattati: Physique et métaphysique , "Revue des questions scientifiques" 34 (1893), pp. 55-83; Traité élémentaire de mécanique chimique fondée sur la thermodynamique , 4 voll., Hermann, Paris 1897-1899; Le mixte et la combinaison chimique: Essai sur l'évolution d'une idée , C. Naud, Paris 1902 (rist. Fayard, Paris 1985); Les théories électriques de J. Clerk Maxwell. Etude historique et critique , Hermann, Paris 1902; L'évolution de la mécanique , A. Joanin, Paris 1903 (rist. con int. di A. Brenner, Vrin, Paris 1992); Les origines de la statique , 2 voll., Hermann, Paris 1905-1906; La théorie physique, son objet et sa structure , Chevalier et Rivière, Paris 1906 e ristampa del 1914 (ristampa con int. di P. Brouzeng, Vrin, Paris 1981), [tr. it con int. di L. De Broglie La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura , Il Mulino, Bologna 1978];Etudes sur Léonard de Vinci: ceux qu'il a lus et ceux qui l'ont lu , Hermann, Paris 1906, 1909 e 1913 (ristampa Editiones des Archives Contemporaines, Paris 1984); Sauver les phénomènes. Essai sur la notion de théorie physique de Platon à Galilée (Sôzéin ta phainoména) , Hermann, Paris 1908 (rist. con int. di P. Brouzeng, Vrin, Paris 1990); Le mouvement absolu et le mouvement relatif , Imprimerie-librairie de Montligeon, Montligeon 1909; Thermodynamique et chimie: Leçons élémentaires à l'usage des chimistes , Hermann, Paris 1910; Traité d'énergétique ou thermodynamique générale , Gauthier-Villars, Paris 1911; Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic , 10 voll., Hermann, Paris: "La cosmologie ellénique" (1913-1914); "L'astronomie latine au Moyen Age - La crue de l'Aristotélisme" (1915-1917); "Le relfux de l'Aristotélisme. Les condemnations de 1277" (1954); "La physique parisienne au XIVe siècle" (1956-1958); "La cosmologie du XVe siècle. Ecoles et universités au XV e siècle" (1959); Essays in the history and philosophy of science (a cura di R. Ariew e P. Barker), Hackett Pub. Co., Cambridge 1996; L'aube du savoir. Épitomé du Système du monde , (a cura di A. Brenner), Collection Histoire de la Pensée , Hermann, Paris 1997.
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