Tra le più influenti opere della filosofia del linguaggio contemporanea, Come fare cose con le parole è in realtà una raccolta di lezioni tenute da Austin nel 1955 all’Università di Harvard, e di questa origine orale conserva lo stile discorsivo e l’andamento didattico. Nelle dodici lezioni che compongono il ciclo, l’autore presenta gradualmente la propria teoria partendo da una intuizione che, declinata in modi diversi nel corso dell’esposizione, rimane il punto centrale dell’opera: dire è sempre anche fare qualcosa. Il privilegio attribuito dalla tradizione filosofica all’asserzione riduce il linguaggio a una sola delle sue diverse possibili funzioni, quella di descrivere – in maniera corrispondente o meno alla realtà, e dunque in modo vero o falso – i fatti del mondo. Ma nel linguaggio, come già aveva osservato il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche (1953), vi è posto per molte attività diverse, in cui il significato è strettamente dipendente dall’uso in un determinato contesto. In questo panorama teorico si inserisce la riflessione di Austin sul performativo, un tipo di enunciato in cui «il proferimento […] costituisce l’esecuzione di una azione» e non la descrizione di uno stato di cose: il «sì» degli sposi, esempio tra i più emblematici, non asserisce né descrive ma compie ciò che dice, unendo i due in matrimonio. Né vero né falso, il performativo può essere «felice» o «infelice», può cioè “funzionare” o meno, in rapporto alle circostanze e al tipo di azione che ci si propone di compiere pronunciando determinate parole. Nel corso delle lezioni la riflessione sul performativo si modifica fino a dar luogo a una teoria degli atti linguistici (speech acts): non solo nel performativo, infatti, ma in ogni tipo di proferimento si compie qualche tipo di atto, sia esso locutorio (l’atto di dire, di usare il linguaggio), illocutorio (l’atto compiuto nel dire: domandare, rispondere, avvertire, pregare, descrivere, promettere…) o perlocutorio (l’atto prodotto col dire, ovvero gli effetti sui sentimenti, sui pensieri e sulle azioni di coloro a cui ci rivolgiamo). Emerge da questa tripartizione il concetto di forza illocutoria, articolato da Austin in diverse classi (verdettivi, esercitivi, commissivi, comportativi, espositivi). Il nucleo però, al di là delle distinzioni, è l’introduzione del concetto di forza, accanto a quello più tradizionale di significato: per comprendere un enunciato non basta cogliere il pensiero che esso trasmette ma bisogna sapere quale azione in esso si compie.
S.O.