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Educazione e pensiero complesso

Edgar Morin
2014

Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione

Le pagine di cui vi proponiamo la lettura sono tratte da un saggio della trilogia che Edgar Morin ha dedicato all'educazione: Insegnare a vivere, La testa ben fatta e I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Nel brano seguente Morin si sofferma ad analizzare il metodo educativo, ormai in crisi ed incapace di insegnare a vivere, per proporre poi una riforma del pensiero, il cosiddetto "pensiero complesso". Questa riforma dovrebbe coinvolgere tutto l'assetto formativo dalle scuole primarie fino alle università, auspicando che divengano un luogo trans-disciplinare in cui riduzionismo, disgiunzione ed eccessiva gerarchizzazione dei saperi siano superati.

Il pensiero complesso

In certo modo, noi siamo, nel senso antico, specchi del cosmo, microcosmi identici al macrocosmo; è proprio restando singolari che portiamo la totalità dell'universo in noi, situandoci nella più grande relianza che possa essere allacciata.

La riforma di pensiero è quella che permette di integrare queste modalità di relianza. Questa è ciò che definisco "pensiero complesso", ma mi affretto a dire che c'è un malinteso su questa parola: alcuni, sentendo continuamente il termine "complesso" intorno a loro, mi dicono: "Vede come le sue idee progrediscono!". Io rispondo lo­ro che si sbagliano, poiché, come lo si impiega o come crediamo di comprenderlo, il termine serve a indicare la confusione, la complicazione e l'incapacità a descrivere. Mentre quello che chiamo pensiero complesso è il pensiero che vuole superare la confusione, la complicazione e la difficoltà di pensare, con l'aiuto di un pensiero organizzatore: separatore e reliante.

La riforma di pensiero incontra condizioni favorevoli e condizioni sfavorevoli. Le condizioni favorevoli sono due grandi rivoluzioni scientifiche.

La prima, molto avanzata, ma lungi dall'essere compiuta, è quella che è cominciata all'inizio del ventesimo secolo con la fisica quantistica e che ha completamente sconvolto la nostra nozione del reale, abolendo totalmente la concezione puramente meccanicistica dell'universo. Essa è continuata con la cosmofisica, che ha soppresso un universo statico per inscriverlo in una storia che compor­ta un inizio e forse una fine.

La seconda rivoluzione, che e ai suoi inizi, si è manifestata in alcune scienze che si possono definire scienze sistemiche, ove vediamo in effetti crearsi approcci com­plessi, polidisciplinari, come nelle scienze della Terra, nell'ecologia o nella cosmologia. In ecologia, l'ecologo e come il direttore d'orchestra che tiene canto dei disequi­libri, delle regolazioni, delle irregolarità degli ecosistemi, e che fa appello alle competenze specifiche dello zoolo­go, del botanico, del biologo, del fisico, del geologo ecc. L'oggetto sistemico non è un oggetto tagliato alla trancia di discipline divenute schizoidi.

Queste due rivoluzioni in corso, ma sia l'una sia l'altra ancora incompiute, rappresentano dunque le condizioni favorevoli per la riforma di pensiero.

Nell'antica concezione, non c'e alcun dialogo possibi­le fra scienze che eliminano l'idea di natura, di cosmo, e l'idea di uomo. A partire dal pensiero complesso noi ritroviamo la possibilità di collegare l'essere umano con la natura e il cosmo, e nel contempo di separarli. A partire dal pensiero complesso possiamo ristabilire il dialogo fra le due culture, scientifica e umanistica, e situarci nell'uni verso in cui il locale e il globale sono collegati.

Le condizioni sfavorevoli dipendono dalle strutture mentali, dalle strutture istituzionali  e dal paradigma  di disgiunzione e di riduzione che funziona all'interno  del­le menti, anche quando queste sono arrivate a concezioni che hanno superato sia la disgiunzione che la riduzione. Vediamo per esempio sussistere in Rene Thorn la credenza determinista, mentre ogni suo pensiero ha saputo andare oltre. Siamo di nuovo nell'anello delle causalità: la riforma di pensiero richiede una riforma delle istituzioni che richiede a sua volta una riforma di pensiero. Si tratta di trasformare questo circolo vizioso in circuito produttivo. La condizione è che da qualche parte possa apparire una devianza fruttuosa che possa disseminarsi e diventare una tendenza. Altrove ho fatto l'esempio dell'università mo­derna istituita da Humboldt in un piccolo paese periferico del tempo, la Prussia, all'inizio del diciannovesimo secolo.

 

Riforma di pensiero e educazione

Credo che la riforma, per essere portatrice di un vero cambiamento di paradigma, debba  essere pensata  non solo a livello dell'università, ma già a livello della scuola primaria. La difficoltà sta nell'educare gli educatori, che e il grande problema che Marx poneva in una delle sue famose tesi su Feuerbach: "Chi educherà gli educatori?". C'è una risposta: è che essi si autoeduchino con l'aiuto degli educati.

Se l'interesse e la passione (l'Eros) sono svegli in molti insegnanti di filosofia, storia, sociologia, questi insegnanti potrebbero da se ampliare la loro cultura e stabilire lega ­ mi organici per insegnamenti comuni con insegnanti di altre discipline.

D' altra parte, il rinnovamento delle istituzioni di for­mazione dei maestri potrà permettere loro di introdurre e sviluppare i nuovi saperi nei loro insegnamenti.

Infine, da alcuni decenni esistono opere di ricercatori e di professori che alimentano le possibilità e gli abbozzi di un'autentica cultura nella quale siano stabilite le relianze fra le conoscenze cosmologiche, fisiche, biologiche e la cul­tura umanistica. Segnaliamo per esempio: per riconoscerci nell'universo, i libri di Michel Casse, Hubert Reeves, Trinh Thuan; in materia di relazione cervello/mente, quelli di Jean-Didier Vincent, Antonio Damasio; in materia di com plessita, llya Prigogine, Isabelle Stengers, lamia introduzione al pensiero complesso; in materia di pensiero transdi­sciplinare, Michel Serres, Basarab Nicolescu. Sono solo alcuni esempi di questa ricca bibliografia che potrà nutrire le intelligenze e le buone volontà. I libri aprono le strade!

 

Un programma interrogativo

Lo spirito dell'attuale programmazione distrugge colle curiosità naturali che sono quelle di ogni coscienza che si apre sull'umano, sulla vita, sulla società, sul mondo. Questa considerazione ci porta a cercare il punto di partenza dell'insegnamento nei primi interrogativi e a elaborare a partire dalla scuola primaria un programma interroga­tivo. Interrogare l'uomo, scoprire la sua triplice natura_, biologica, psicologica (individuale), sociale. Interrogate la biologia, scoprire che tutti gli esseri viventi sono della stessa materia degli altri corpi fisico-chimici e differenti per la loro organizzazione. Da qui l'interrogazione dellafisica e della chimica e l'interrogazione specifica dell'organizzazione biologica.

Per comprendere ciò che inscrive l'umanità nel mondo fisico e vivente e ciò che la differenzia, propongo  di raccontare l'avventura cosmica come la si può rappresenta re attualmente, indicando ciò che è ipotetico, ciò che è ignoto, ciò che è misterioso; la formazione delle particelle, l'agglomerazione della materia in protogalassie, poi la formazione delle stelle e delle galassie, la formazione de­ gli atomi di carbonio all'interno  dei soli anteriori  al no­stro, in seguito la costituzione delle macromolecole sulla Terra, forse con il concorso di materiali provenienti  da meteoriti; e propongo  di porre il problema della nascita della vita, il quale fa sorgere quello della natura  dell'organizzazione vivente.

Allora fisica, chimica, biologia, pur diventando materie distinte, non saranno più isolate.

A partire dallo scenario dell'ominizzazione sarà posto il problema  dell'emergenza di Homo sapiens, della cul­tura, del linguaggio, del pensiero, cosa che permetterà di far emergere la psicologia e la sociologia. Dovranno  es­sere fornite lezioni di connessioni bio-antropologiche, al fine di far comprendere che l'uomo  e al cento per cento biologico e nello stesso tempo al cento per cento cultura­ le, che il cervello studiato in biologia e la mente studiata in psicologia sono le due facce di una stessa realtà, e che, affinché la mente possa emergere, bisogna che ci sia linguaggio, cioé cultura.

Sono convinto che e dalla scuola primaria che si può cercare di mettere  in opera il pensiero reliante, poiché esso e presente allo stato selvaggio, spontaneo, in ogni bambino. Ciò si può fare a partire dalle grandi interro­azioni, in modo particolare dalla grande interrogazio­ne antropologica: "Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? ". è evidente che se si pone questa domanda si può rispondere  al bambino, attraverso una pedagogia adeguata e progressiva, spiegando in cosa e come noi sia­mo esseri biologici, e in cosa questi esseri biologici sono nello stesso tempo esseri fisico-chimici, esseri psichici, esseri sociali, esseri storici, esseri in una società vivente in economia di scambi ecc. Da qui, possiamo deviare, sfo­ciare e ramificare verso scienze separate, pur mostrando i loro legami. A partire da queste basi possiamo far sco­prire il modo sistemico, ologrammatico, dialogico della conoscenza complessa.

Alla scuola primaria, partendo per esempio dal Sole, si potrà mostrarne la sua sorprendente organizzazione, con incessanti esplosioni che sollevano problemi di ordi­ne e di disordine; si sottolineerà il suo ruolo in rapporto alla Terra, e il ruolo dei fotoni, indispensabile alla vita: si potranno così considerare gravitazione, movimento, lu­ce, idrosfera, litosfera, atmosfera , fotosintesi. Lo si collegherà al suo ruolo nelle società umane: istituzione dei calendari, dei grandi miti solari...

La tappa  delle scuole secondarie dovrebbe essere quella del collegamento  delle conoscenze,  della fecondazione della cultura generale, dell'incontro fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, della fecondazione reciproca dello spirito scientifico e dello spirito filosofi­co; il tempo della riflessività sulla scienza, sulla sua con­ dizione nel mondo  contemporaneo. La letteratura, da parte sua, deve assumere  un ruolo eminente,  perché è una scuola di vita. E' lì dove noi apprendiamo a conosce­re noi stessi, a riconoscerci,  a riconoscere le nostre pas­sioni. E nel romanzo che vediamo gli esseri umani nella loro soggettività e nella loro complessità. La Rochefoucauld diceva che senza romanzo d'amore non ci sarebbe amore; certo esagerava, ma i romanzi d'amore ci fanno riconoscere  il nostro  modo d 'amare, il nostro  bisogno d'amare,  le nostre tendenze,  i nostri desideri. è fondamentale dare alla letteratura il suo statuto  esistenziale, psicologico e sociale, mentre si ha invece la tendenza a ridurla allo studio dei modi di espressione. Nello stesso tempo, a partire da grandi opere di introspezione come gli Essais di Montaigne, si dovrebbe incitare ognuno al­la necessità dell'autoconoscenza; si dovrebbe  riflettere sui problemi e sulle difficoltà che questa pone, a cominciare dalla presenza in ognuno di una tendenza permanente all'autogiustificazione e all'automitizzazione, alla self-deception o menzogna a se stessi. 

Si tratta anche di affermare e complessificare l'insegna­mento della storia. La storia si è già complessificata diventando storia dei processi economici, delle concezioni della vita, della morte, dei costumi. Bisogna chela storia diventi sempre più multidimensionale  e reintroduca  gli eventi che per molto tempo ha volute scacciare. La storia ci riallaccia al passato: passato della nazione, dei conti nenti, dell'umanità e, attraverso questi passati, alla nostra poli-identita  naturale, europea, umana. Come abbiamo indicato, per esempio, la storia della Francia deve essere rivista dal punto di vista della francesizzazione.

E l'università? Ho già detto che dobbiamo  superare l'alternativa: l'università  deve adattarsi alla modernità  o adattare la modernità a sé. Essa deve fare l'uno e l'altro, mentre è violentemente spinta verso il primo polo. Adat­tare la modernità all'università significa controbilanciare la tendenza verso la professionalizzazione, la tecnicizzazione, la redditività economica. La sovra-adattivita è un pericolo ben individuato da Humboldt, che sosteneva che l'università ha come missione quella di fornire le ba­si di conoscenze della cultura e che l'insegnamento  pro­fessionale deve essere di competenza di scuole specializzate. L'università è innanzitutto il luogo di trasmissione e di rinnovamento  dell'insieme dei saperi, delle idee, dei valori, della cultura. A partire dal momento in cui si pensa che l'università abbia principalmente questo ruolo, es­sa appare nella sua dimensione trans-secolare; porta in sé un'eredita culturale, collettiva, che none solo quella del­ la nazione, ma dell'umanità, e trans-nazionale. Si tratta ora di renderla trans-disciplinare. Per fare ciò bisognerà introdurvi i principi e gli operatori  della riforma di pen­siero che ho evocate. Sono questi principi e questi ope­ratori che permetteranno di collegare le discipline aura­ verso una relazione organica, sistemica, pur lasciandole sviluppare liberamente.

 

L'anello delle scienze

Ogni università potrebbe dedicare un decimo dei suoi corsi a insegnamenti trans-disciplinari. Questi vertereb­bero, per esempio, sulla relazione cosmo-fisico-bio-an­tropologica  e sull'anello delle scienze descritto da Piaget. Cosa significa questo anello? Significa sfuggire alla gerarchia o piramide  delle scienze, dove alla base c'e la fisica, al di sopra la biologia e al di sopra ancora le scienzeumane. E' evidente che siamo primariamente esseri fisici in un mondo fisico, secondariamente esseri biologici in un mondo biologico, e infine esseri umani in una società e in una storia. L'idea dell'anello viene dal fatto che la fisica stessa si e sviluppata nel corso della storia delle società, in modo particolare nel diciannovesimo secolo, cioè che la fisica non e la base prima della conoscenza; e essa stessa un prodotto storico-antropologico-sociale, cosa chela ri­posiziona nell'anello. Le scienze umane dipendono dalle scienze naturali, le quali dipendono  dalle scienze umane.

E' un'idea chiave che permette di superare riduzione, di­sgiunzione e gerarchia.

 

E. MORIN, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione, tr. it. di Susanna Lazzari, R. Cortina, Milano 2014, pp. 78-85.