Morto a Cambridge John Barrow, il matematico e astrofisico che paragonava l’universo a una Basilica

26 settembre 2020

La comunità scientifica internazionale ha perso uno dei suoi esponenti più intelligenti e culturalmente più impegnati. John David Barrow è morto prematuramente, all’età di 67 anni nella sua casa di Cambridge, per un tumore. Chi vi scrive lo ha appreso con profonda commozione, avendolo conosciuto personalmente e coinciso con lui in diverse occasioni, e non esita ad affermare che si tratta della perdita di un autore davvero straordinario. È difficile trovare fra i contemporanei un uomo di scienza dagli interessi così ampi, capace di far emergere e affrontare le maggiori domande filosofiche legate alla cosmologia, all’astrofisica, alla matematica. Creativo al punto di ideare rappresentazioni teatrali e mostre sull’Infinito, controcorrente fino a proporre una visione della scienza che tornava finalmente a dialogare con l’arte, con l’antropologia, con la filosofia e con le grandi domande dell’esistenza. In un articolo raccolto da Repubblica alcuni anni fa non temette di spiegare come la fisica poteva benissimo convivere con la sua fede. Nel discorso pronunciato nel 2006 in occasione del conferimento del Templeton Prize non esitò a paragonare la bellezza del nostro universo a quella di una Basilica cristiana.

Se n’è andato in punta di piedi. Uomo discreto e geniale, capace di mantenere per ore l’attenzione di platee numerose senza mai annoiare. Basterebbe rileggere i titoli di alcuni dei suoi più famosi libri di alta divulgazione per cogliere la profondità delle questioni con cui amava confrontarsi e l’intelligenza con cui sapeva far dialogare fra loro diverse branche del sapere: Il mondo dentro il mondo (Adelphi, 1991); Teorie del tutto (Adelphi, 1992); Perché il mondo è matematico? (Laterza, 1992); L'universo come opera d'arte (Rizzoli, 1997); Impossibilità. limiti della scienza e la scienza dei limiti (Rizzoli, 1998); Dall'io al cosmo. Scienza, arte, filosofia (Raffaello Cortina, 2000); Da zero a infinito, la grande storia del nulla (Mondadori, 2002); I numeri dell'universo (Mondadori, 2003); L'infinito (Mondadori, 2005); Le immagini della scienza. Cinquemila anni di scoperte: una storia visiva (Mondadori, 2009); 100 cose essenziali che non sapevate di non sapere (Mondadori, 2011); Il libro degli universi (Mondadori, 2012).

Particolarmente influente era stato il suo Il Principio Cosmologico Antropico, scritto a 4 mani con Frank Tipler nel 1986 prima che quest’ultimo si spostasse su posizioni eclettiche e bizzarre, tradotto in italiano da Adelphi nel 2002. Barrow ebbe il merito di riunire tutti i risultati e le suggestioni che a partire dalle prime intuizioni di Dirac degli anni 30’ del secolo scorso fino a Bradon Carter e Martin Rees nei decenni passati, sottolineavano la inusuale e accurata sintonia (fine tuning) delle costanti di natura, quasi “scelte” in modo opportuno per dare origine ad ambienti adatti ad ospitare la vita. Un’osservazione esposta con rigore, che separava con intelligenza quanto apparteneva al “Principio antropico debole”, basato su dati scientifici, da quanto apparteneva invece a speculazioni filosofiche, fuori della portata della scienza, da Barrow e Tipler denominate “Principio antropico forte”.

Le biografie e i necrologi battuti in queste ore dalle più note agenzie elencano i premi ricevuti, i numerosi riconoscimenti, i ruoli internazionali ricoperti. Fra questi il Premio Templeton, che Barrow aveva vinto nel 2006 e il Premio Faraday della Royal Society nel 2008, la nomina a membro della Pontificia Accademia delle Scienze nel febbraio del 2020. Invitiamo i nostri lettori a prendere visione del necrologio preparato dalla Fondazione Templeton. John Barrow lascia un grande vuoto. Ma anche una grande eredità. Seguendo il suo esempio, ricercatori profondi e rigorosi si sentiranno più incoraggiati a porre la cosmologia in dialogo con le domande ultime, quelle che aprono anche verso il Fondamento e il senso del tutto, senza temere di uscire dal seminato o di essere giudicati come metafisici improvvisati. John ha mostrato queste aperture con rigore, con intelligenza, con senso estetico. Gliene siamo grati e faremo tesoro delle sue lezioni che, certamente, ci mancheranno.

Giuseppe Tanzella-Nitti

 

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