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Pensieri scelti sull’evoluzione da "Inno dell’Universo"

Pierre Teilhard de Chardin
1924-1955

Inno dell’Universo

Proponiamo la lettura di pensieri scelti sull’evoluzione fra quelli raccolti da F. Tardivel con il titolo Inno dell’Universo, pubblicata postuma nel 1961. I brani si sviluppano lungo un arco temporale che va dal 1924 fino alla morte dell'autore, avvenuta nel 1955. Riportiamo in parentesi tonde, per ogni brano, la data della loro redazione originaria o della loro prima pubblicazione in stampa.

Teilhard vi si rivela soprattutto come mistico, un mistico capace di pregare e innalzarsi fino a Dio partendo dalle conoscenze scientifiche, dalla storia del mondo, dall’evoluzione della vita, dalla lunga ascesa del camino dell’uomo. I numeri si riferiscono all’edizione pubblicata da Editions du Seuil (Parigi, 1961) tradotti in italiano dalla Queriniana (Brescia, 1992).

2. Le prodigiose durate che precedono il primo Natale non sono prive del Cristo ma penetrate dal suo potente influsso. L’agitazione del suo concepimento smuove le masse cosmiche e dirige le prime correnti della biosfera. La preparazione della sua nascita accelera i processi dell’istinto e lo sboccio del pensiero sulla Terra. Non scandalizziamoci più, scioccamente, per le interminabili attese imposteci dal Messia. Spaventose ed anonime fatiche dell’Uomo primitivo, lunga bellezza dell’Egitto, ed attesa inquieta d’Israele, e profumo lentamente distillato dalle mistiche orientali, e saggezza cento volte raffinata dei Greci: nulla meno di tutto quello ci voleva onde sull’Albero di Jesse e dell’Umanità il Fiore potesse aprirsi. Tutte quelle preparazioni erano cosmicamente, biologicamente necessarie perché il Cristo potesse affacciarsi sul palcoscenico umano. E tutto quel lavoro era mosso dal risveglio attivo e creatore della sua anima in quanto quest’anima umana era eletta per animare l’Universo. Quando il Cristo apparve tra le braccia di Maria, Egli, proprio allora, aveva sollevato il Mondo.

Mon Univers (1924), in Inno dell’Universo, a cura di N.M. Wildiers, Queriniana, Brescia 1992, p. 54.
 

3. Simile al fiume che, poco a poco, si impoverisce e poi sparisce, in un pantano allorché se ne raggiunge la sorgente, l’essere si attenua poi svanisce quando tentiamo di frazionarlo sempre più minutamente nello spazio, oppure (ed è lo stesso) di respingerlo sempre più lontano nel tempo. Non già alla sorgente, bensì all’estuario si intende la grandezza del fiume. Parimenti, il segreto dell’Uomo non va ricercato negli stadi passati della sua vita embrionale (ontogenetica o filogenetica), bensì nella natura spirituale dell’anima. Ora, quest’anima, la cui attività è tutta di sintesi, sfugge alla Scienza la cui essenza sta nell’analizzare le cose nei loro elementi e nei loro antecedenti materiali. Possono solo scoprirla il senso intimo e la riflessione filosofica. Errano dunque in modo assoluto coloro che credono di materializzare l’Uomo trovandogli nella Terra radici sempre più numerose e più profonde. Lungi dall’eliminare lo Spirito, non fanno altro che mescolarlo al Mondo come un fermento. Non facciamo, noi, il gioco di costoro, credendo, come fanno, che perché un essere venga dai cieli sia necessario ignorare le condizioni temporali della sua origine.

L’Apparition de l’Homme (1956), in ibidem, pp. 54-55.
 

6. Come il biologo materialista si illude di sopprimere l’anima col decomporre i meccanismi fisiochimici della cellula vivente, così certi naturalisti si sono immaginati d’aver resa inutile la Causa Prima scoprendo un po’ meglio la struttura generale della sua opera. È ora di lasciar definitivamente da parte un problema impostato così male. No, a rigor di termini, il trasformismo scientifico non dimostra nulla pro o contro Dio. Semplicemente, constata l’esistenza di una concatenazione in seno al Reale. Ci presenta un’anatomia della vita e per nulla una ragione ultima di quella. Afferma: “Qualche cosa si è organizzato, qualche cosa si è sviluppato”. Ma non è in grado di distinguere le condizioni finali di tale crescita. Decidere se il moto evolutivo sia intelligibile in sé o esiga dalla parte di un primo Motore una creazione progressiva e continua è un problema che riguarda la metafisica. Bisogna ripetere instancabilmente che il trasformismo [la trasformazione delle specie, ndr] non impone nessuna filosofia. Vorrebbe forse dire che non ne suggerisca qualcuna? Certamente no. Ma, proprio qui, diventa curioso osservare che i sistemi di pensiero che meglio gli si addicono sono forse precisamente quelli che si sono creduti più direttamente minacciati. Per esempio, il Cristianesimo è fondato essenzialmente su queste due convinzioni: che l’uomo, cioè, sia un oggetto specialmente voluto dalla potenza divina mediante la creazione, e che il Cristo sia il termine assegnato, in modo sovrannaturale ma fisico, alla consumazione dell’Umanità. Si potrebbe forse desiderare una prospettiva sperimentale delle cose più consona a questi dogmi d’unità di quella in cui scopriamo gli esseri viventi, non già artificiosamente giustapposti gli uni agli altri per un fine contestabile d’utilità o di piacere, ma legati tra di loro, in quanto alle condizioni fisiche, nella realtà d’un medesimo sforzo verso il “più essere?”.

La vision du passé (1957), in ibidem, pp. 56-57.
 

27. Sembra a molte persone che la superiorità dello Spirito non sarebbe salva se la sua prima manifestazione non fosse accompagnata da qualche interruzione nell’andamento ordinario del Mondo. Si dovrebbe piuttosto dire che, proprio perché è spirito, il suo apparire avrà assunto l’aspetto di un coronamento o d’uno sboccio. Ma lasciamo da parte ogni considerazione sistematica. Non è forse vero che, quotidianamente, una moltitudine di anime umane sono “create” nel corso d’una embriogenesi durante la quale nessuna osservazione scientifica sarà in grado di cogliere la benché minima rottura nella concatenazione dei fenomeni biologici? Così abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi l’esempio d’una creazione assolutamente impercettibile, inafferrabile, per la pura scienza. Perché sollevare tante difficoltà quando si tratta del primo uomo? È certamente più difficile rappresentarci l’apparizione del “pensiero riflesso” lungo un phylum costituito da individui diversi che non in una serie di stati successivamente assunti dal medesimo embrione. Ma, rispetto all’azione creatrice considerata nei suoi rapporti con i fenomeni, il caso dell’ontogenesi è identico a quello della filogenesi. Perché, per esempio, non accettare che l’atto assolutamente libero e specifico col quale il Creatore ha voluto l’Umanità come coronamento della sua opera abbia influenzato, preorganizzato, il corso del Mondo prima dell’Uomo ed in modo così perfetto da farcelo apparire adesso (in conseguenza della sua scelta) come il frutto naturalmente atteso dagli sviluppi della Vita? “Omnia propter Hominem”.

Le Phénomène humain (1948), in ibidem , pp. 71-72.
 

28. Se, sull’Albero della Vita, i Mammiferi rappresentano un ramo maestro, il Ramo maestro, i Primati, a loro volta, cioè i cerebromanuali, sono la freccia di questo Ramo, gli Antropoidi la gemma stessa alla punta della freccia. Pertanto, aggiungeremo, è facile decidere dove fermare gli occhi sulla Biosfera nell’attesa di quel che deve accadere. Sapevamo già che, al vertice, le stirpi filetiche attive si scaldano di coscienza. Ma, in una ben determinata regione, al centro dei Mammiferi, ove si formano i più potenti cervelli mai costruiti dalla Natura, arrossiscono. E persino, nel cuore di questa zona, già s’accende un punto d’incandescenza. Non perdere di vista questa linea imporporata d’aurora. Salendo da millenni sotto l’orizzonte, in un punto strettamente localizzato, una fiamma sta per divampare. Ecco il pensiero!

Le Phénomène humain, in ibidem, p. 72.
 

29. L’essere riflessivo, in virtù del suo avvolgimento su di sé, diventa ad un tratto suscettibile di svilupparsi in una sfera nuova. In realtà, nasce un altro mondo. Astrazione, logica, scelta ed invenzioni ragionate, matematica, arte, percezione calcolata dello spazio e della durata, ansie e sogni dell’amore… Tutte queste attività della vita interiore non sono altro che l’effervescenza del centro nuovamente formato esplodendo su di sé. Definito questo, chiedo allora: se, come consegue da tali premesse, ciò che definisce l’essere veramente “intelligente” è il fatto di essere “riflessivo”, possiamo forse dubitare seriamente che l’intelligenza non sia l’appannaggio evolutivo solo dell’Uomo? E, di conseguenza, possiamo forse esitare a riconoscere, per una non so quale falsa umiltà, che il possesso di questa prerogativa rappresenti per l’Uomo un progresso radicale rispetto a tutta la Vita prima di lui? L’animale sa; non v’è dubbio. Ma certamente non sa di sapere: altrimenti avrebbe da tempo moltiplicato le invenzioni e sviluppato un sistema di costruzioni interne che non saprebbero sfuggire alla nostra osservazione. Di conseguenza, gli rimane chiusa una sfera del Reale, in cui ci muoviamo noi, ma in cui esso non saprebbe entrare. Un fosso, od una soglia, insuperabile per l’animale, ci separa. Nei suoi confronti, in quanto riflessivi, non siamo soltanto diversi ma altri. Non già un semplice cambiamento di grado, ma un cambiamento di natura che risulta da un cambiamento di stato.

Le Phénomène humain, in ibidem, pp. 72-73.
 

20. Il mondo si sta costruendo. È questa la verità fondamentale che bisogna, dapprima, intendere, ed intendere così bene da renderla una forma abituale e come naturale del nostro pensiero. A prima vista, gli esseri ed il loro destino rischiano di apparirci come distribuiti a caso, o per lo meno arbitrariamente, sulla Terra. Quasi quasi, penseremmo che ciascuno di noi sarebbe potuto nascere indifferentemente o più presto o più tardi, o qua o là, più felice o meno fortunato, come se l’Universo, dal principio alla fine della sua storia, costituisse, nel Tempo e nello Spazio, una specie di ampia aiuola i cui fiori fossero interscambiabili a piacere del giardiniere. Tale idea non sembra giusta. Più si riflette, con l’ausilio di quanto c’insegnano, ognuna nella sua sfera, scienza, filosofia e religione, e più ci si avvede che il Mondo dev’essere paragonato non già ad un fascio di elementi artificialmente giustapposti ma piuttosto ad un qualche sistema organizzato, animato da un ampio moto di sviluppo che gli è specifico. Nel corso dei secoli, si rivela un piano d’insieme che sembra davvero in via di realizzarsi attorno a noi. Nell’universo v’è un’impresa in corso, un risultato in posta, che non sapremmo paragonare meglio che ad una gestazione, ad una nascita: la nascita della realtà spirituale costituita dalle anime e dal quanto di materia che trascinano con sé. Laboriosamente, attraverso e mediante l’attività umana, la nuova Terra si raccoglie, si decanta, e si epura. No, non siamo paragonabili agli elementi di un mazzo, bensì alle foglie ed ai fiori d’un grande albero, sul quale ogni cosa appare al suo momento ed al suo posto, su misura ed a richiesta della Totalità.

La Signification et la Valeur constructrices de la Souffrance (1933), in ibidem, p. 66.

             

Pierre Teilhard de Chardin, Inno dell’Universo, a cura di N.M. Wildiers, Queriniana, Brescia 1992.