Modalità della conoscenza umana e ricerca della verità fra fede e ragione

Stefano Oliva
Bocca della verità. Antico mascherone di marmo, collocato nel pronao della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Roma.
In pillole
  • Qualunque impresa conoscitiva tende alla verità, vale a dire a una comprensione stabile e certa della realtà.
  • Il pensiero occidentale ha identificato fede e ragione come i due assi principali lungo i quali si svolge la ricerca della verità.
  • Non tutto ciò che è vero è razionalmente dimostrabile: la scienza si fonda su alcuni presupposti, ovvero credenze di base non verificabili.
  • L’impresa conoscitiva non è individuale ma collettiva: la testimonianza credibile di altri fornisce elementi importanti per lo sviluppo del sapere.
  • Per il Cristianesimo la fede pone l’uomo in una cornice di senso ma la ragione, a sua volta, deve illuminare i contenuti della Rivelazione.
  • Fede e ragione sono implicate in ogni impresa conoscitiva che miri a un sapere stabile sulla realtà.

Come scrive Aristotele all’inizio della Metafisica, «tutti gli uomini per natura tendono al sapere»: ciò significa che nella vita umana è inscritta fin dal principio una inestinguibile sete di conoscenza, un desiderio che non è semplice curiosità ma che rappresenta una genuina aspirazione ad abbracciare e comprendere la realtà. Sarebbe però strano se questa tendenza naturale che spinge gli uomini a conoscere non potesse essere premiata da alcun successo: all’innata disposizione alla ricerca corrisponde la ragionevole attesa di una comprensibilità del reale e la speranza di poter prima o poi giungere alla verità.

Conoscenza e verità sono dunque due termini inseparabili: qualunque impresa conoscitiva, ne sia o meno consapevole, presuppone che i propri sforzi possano essere coronati dal successo e che le domande che essa si pone possano ricevere una risposta soddisfacente e stabile, corrispondente alla realtà e capace di fornire elementi per guidare l’azione.

Nonostante una recente stagione filosofica, che per certi versi oggi volge al termine, abbia affermato il primato della ricerca per la ricerca, bisogna riconoscere che chiunque voglia impegnarsi nel cammino della conoscenza ed essere preso sul serio dai suoi interlocutori presuppone il valore della verità, non di rado pretendendo di esserne il depositario. La verità, d’altra parte, costituisce la meta dello sforzo conoscitivo umano ma, come un bene inesauribile, non ammette di essere ridotta a mero possesso di qualcuno, fosse anche di una classe di specialisti.

Stabilito il nesso tra conoscenza e verità, bisogna poi riflettere sui diversi mezzi a disposizione dell’umanità per il conseguimento del sapere. Platone ammette una pluralità di livelli di conoscenza, distinguendo in primo luogo tra opinione e scienza e poi articolando queste ultime, rispettivamente, in immaginazione e credenza da un lato e in ragione discorsiva e intellezione dall’altro. La credenza (pistis) costituisce il grado più alto dell’opinione (doxa), connesso alla percezione sensoriale. Il termine pistis assume nell’ambito del pensiero cristiano il significato di “fede”, spostando l’ambito della credenza dalla percezione degli oggetti sensibili alla fiducia in Gesù Cristo, figlio di Dio, e nel suo messaggio di salvezza.

Il Medioevo conosce una sostanziale concordanza tra fede e ragione, vale a dire tra contenuto della Rivelazione e conoscenza del mondo, sebbene le riconosca come fonti diverse. La sfera mondana viene vista attraverso gli occhi della fede, atteggiamento che implica anche una fiducia nei confronti delle facoltà umane, considerate in grado di realizzare quella adaequatio rei et intellectus che secondo Tommaso d’Aquino garantisce la possibilità di una conoscenza vera. Inoltre, la ragione non resta fuori della fede, ma svolge in essa un lavoro profondo, generando così la teologia.

Il processo di secolarizzazione avviato nel Rinascimento e proseguito con l’Illuminismo determina una progressiva marginalizzazione della fede, almeno in ambito filosofico e scientifico, a vantaggio della ragione. Quella che Immanuel Kant ha definito «l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità», condensata nel motto «osa sapere», presuppone una presa di distanza dalle verità tramandate, così come una messa in discussione della validità della fede e una disamina critica delle stesse facoltà conoscitive.

La tarda modernità accoglie in buona parte la marginalizzazione della fede e il primato della ragione fino a professare una “fede nella ragione” e a creare – come nel caso del positivismo di Auguste Comte – una sorta di religione laica della scienza.

Sarà invece il Novecento, culminato nel post-modernismo, a mettere in discussione anche la fiducia nella ragione e, più in generale, nella possibilità di conseguire un sapere stabile e vero sulla realtà. Agli eccessi relativistici di alcune correnti decostruttiviste ed ermeneutiche, sostenitrici della posizione nietzschiana secondo cui «non ci sono fatti, solo interpretazioni», risponde all’inizio del XX secolo un rinnovato realismo che, in varie forme e con diversi accenti, pone nuovamente al centro del dibattito il carattere vincolante e irriducibile della realtà rispetto alle rappresentazioni che di essa ci facciamo.

Questa breve panoramica, che potrà essere sviluppata e approfondita nel lavoro in classe attraverso riferimenti mirati alla storia della scienza, alla filosofia, alla letteratura, alla storia dell’arte, pur nella varietà delle posizioni espresse, mostra un dato costante: fede e ragione sono due vie essenziali per il conseguimento della verità, e il loro rapporto, sebbene variabile lungo le epoche storiche, richiede sempre il raggiungimento di uno specifico equilibrio. In altri termini: nonostante le differenze, il pensiero occidentale ha costantemente inteso l’impresa conoscitiva secondo i due assi di fede e ragione, assegnando di volta in volta il primato all’una o all’altra ma senza mai elidere uno dei due termini.

La necessità di mantenere in ambito conoscitivo un riferimento alla credenza è stato avvertito in particolar modo nel Novecento, quando ci si è resi conto che l’edificio del sapere poggia su assunti fondamentali che non sono oggetto di conoscenza o dimostrazione ma che egualmente hanno carattere vincolante in quanto “creduti”, ammessi come validi dalla comunità di riferimento, pur non essendo verificati o verificabili. Come scrive Ludwig Wittgenstein «il dubbio viene dopo la credenza», ovvero la conoscenza scientifica, che deve essere sempre verificata alla prova dei fatti, presuppone uno sfondo pratico-affettivo di certezze non messe in dubbio e dunque non sottoposte a verifica ma semplicemente riconosciute come evidenti e dunque valide.

Nel fissarsi di queste credenze di base, un ruolo importante è quello del consenso tributato alla testimonianza affidabile di altri: sono molte infatti le informazioni che “prendiamo per buone” senza verificare in prima persona ma facendo affidamento – fidandoci – della testimonianza diretta di altri. Si pensi al valore della testimonianza, ad esempio, nell’ambito della ricerca storica. Ma anche al di fuori dell’ambito umanistico, la fiducia in una comunità scientifica che segue precisi protocolli e che pubblica risultati controllabili in maniera trasparente è un elemento essenziale per lo sviluppo delle conoscenze.

L’impresa conoscitiva non può ridursi a un compito individuale, essa è necessariamente un lavoro comune e, in quanto tale, implica un certo grado di affidamento reciproco, vale a dire di fiducia in testimoni credibili. Aiutare gli studenti a riconoscere la presenza della fede/fiducia nel vissuto quotidiano e l’esercizio della fede umana come segno di maturità psicologica può risultare un esercizio di grande interesse.

Queste riflessioni su credenza e verità trovano un corrispettivo a livello logico-matematico nel configurarsi delle scienze formali in modo assiomatico. Nei sistemi formali assiomatici (che rappresentano la struttura logica di teorie "contenutistiche" note), gli assunti di partenza "tenuti per veri" e non dimostrati sono, appunto, gli assiomi, da cui si deducono in maniera corretta e non contraddittoria i teoremi della teoria. Questi ultimi sono dunque le proposizioni vere che derivano coerentemente dalla verità "creduta" degli assiomi, i quali, invece non si dimostrano razionalmente (deduttivamente), pur essendo veri (essi, semmai, sono teoremi di altre teorie superiori, o di altre specie di teorie). Come si trovano/scoprono gli assiomi è una delle "questioni dei fondamenti" in un certo senso ancora aperta, perché vi sono ovviamente varie posizioni epistemologiche (e anche ontologiche) in gioco. 

Così come in campo scientifico, anche in ambito spirituale il rapporto tra fede e ragione deve realizzare un preciso equilibrio. Il cristianesimo ha dato su questo tema notevoli contributi e un impulso inedito all’armonizzazione delle diverse istanze. Secondo la celebre formula di Agostino d’Ippona, credo ut intelligam, intelligo ut credam, il credere e il comprendere mantengono una reciprocità che esclude ogni soluzione unilaterale. La fede pone l’uomo in una cornice di senso e di comprensibilità ma la ragione, a sua volta, deve illuminare il dato di fede: con le parole di Anselmo d’Aosta, fides quarens intellectum, la fede richiede l’intelletto. La riduzione all’uno o all’altro termine determina infatti forme di fideismo o, in maniera diametralmente opposta, forme di razionalismo che in ogni caso tendono a svilire e a impoverire la ricerca della verità, sempre eccedente rispetto alle risposte di volta in volta trovate.

Per concludere, in base al percorso svolto possiamo dire che né la ragione è unicamente ad appannaggio della scienza, né la fede è faccenda che riguardi soltanto la religione. Entrambe, fede e ragione, sono piuttosto implicate in ogni impresa conoscitiva che miri a un sapere stabile sulla realtà. Con le parole dell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, possiamo considerare ragione e fede «come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità», due ali egualmente necessarie – sebbene ognuna a suo modo – per “volare” verso la ricerca della conoscenza.

Tracce di lavoro: 

Laboratorio interdisciplinare: Attraverso una discussione comune gli insegnanti di diverse discipline commentino i significati che possono avere in diversi campi del sapere i concetti di conoscenza, fede, ragione, tradizione, verità, dubbio.

Discutiamone insieme: Il docente esponga in classe quali sono le differenze fra “pluralismo” e “relativismo”, in rapporto all’esistenza e alla conoscenza della verità.

Approfondisci e rifletti: Individua con l’aiuto del dizionario le differenze e le analogie tra le seguenti coppie di concetti: verità/certezza; errore/menzogna; fede/fiducia. Metti poi in comune i risultati di questa ricerca con i tuoi compagni mediante un dibattito in classe.

Per approfondire
Dal Dizionario Interdisciplinare: 
Vittorio Possenti, Verità

Paul Poupard, Fideism

voci tratte da DISF e INTERS
Opere influenti: 
Aristotele di Stagira, Metafisica (340 a. C. circa), a cura di Maurizio Schoepflin
Tommaso d´Aquino, Somma contro i gentili (1269-1273), a cura di Giuseppe Tanzella-Nitti
Blaise Pascal, Pensieri, Opuscoli e Lettere (1670), a cura di Tommaso Bernard Vinaty
John Henry Newman, Grammatica dell’assenso (1870), a cura di Giuseppe Tanzella-Nitti
Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo (1960), a cura di Francesco Russo
Francis S. Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell´armonia fra scienza e fede (2006), a cura di María Ángeles Vitoria
Indicazioni bibliografiche: 

Bibliografie tematiche:

Fede e ragione

Opere in rapporto con il Percorso:

A. Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede (1990)

S. Haack, Defending Science within Reason (2003)   

V. Possenti (a cura di),  Ragione e verità. L’alleanza socratico-mosaica (2005)

Altri documenti: 

E. Berti, Verità e filosofia (2005)