Giustizia

  Ti hanno mai rubato il portafogli, oppure la bicicletta? È un’esperienza assai sgradevole della quale, purtroppo, qualche volta siamo stati protagonisti. Non abbiamo dubbi di aver ricevuto un torto. Sentiamo che qualcosa ci è stato ingiustamente sottratto: è stato leso qualcosa che tutti chiamiamo “giustizia”.

  Questa considerazione ci permette di introdurre il tema che stiamo affrontando e che ci porta al fondamento stesso sia della nostra società, sia della nostra condizione umana. Chiunque, non serve essere laureati in legge, ha una percezione di ciò che è giusto o sbagliato. Secondo alcuni studi, sembra che anche un bambino di soli tre anni sia in grado di protestare di fronte a una chiara ingiustizia. Si tratta di un fatto molto interessante perché ci fa pensare che il senso di giustizia è praticamente innato e che la giustizia forse è già iscritta nella natura umana.

  Spesso usiamo le parole “giustizia” e “legge” in modo intercambiabile, ma le due cose non coincidono perfettamente. La giustizia può esistere anche laddove non ci sono leggi scritte, ma delle tradizioni orali o delle consuetudini molto radicate. Quando parliamo di giustizia, allora, parliamo di una realtà comune a tutte le culture e a tutti gli uomini: è dunque universale. I sistemi giuridici non fanno altro che proteggere e mettere in pratica l’idea di giustizia attraverso delle leggi. Ti sarà facile collegare quanto hai già studiato in storia e filosofia a proposito della nascita degli Stati moderni, la teoria della separazione dei poteri che li caratterizza (legislativo, esecutivo, giudiziario) e il nostro vivere in uno Stato di diritto che ha la forma di una repubblica parlamentare nella quale i diritti e le libertà dei suoi cittadini sono disciplinati da una Costituzione e da delle leggi. Insomma, è uno dei modi possibili con cui i cittadini scelgono di darsi un governo per custodire e attuare la giustizia. In questo ordinamento, se qualcuno ruba un portafogli a un incauto turista, non è ammessa la vendetta: lo Stato fa intervenire dei poliziotti che prenderanno il ladro, ci sarà un giudice che farà un giusto processo che tutelerà il diritto di proprietà del malcapitato ecc. Altri sistemi giuridici, per il furto, possono prevedere conseguenze diverse ma la sostanza non cambia.

  Ma la giustizia cos’è? Un famoso adagio latino afferma che l’uomo ha bisogno del diritto per vivere in società, tanto che dove c’è l’uomo noi troviamo il diritto (Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi jus. Ergo ubi homo, ibi jus). Non sappiamo se questo adagio risalga davvero al tempo dei romani. Sappiamo invece che proprio un famoso giurista latino del III secolo, Ulpiano, definisce cosa sia la giustizia in tre precetti: vivere onestamente (honeste vivere), non far del male a nessuno (neminem leadere), dare a ciascuno il suo (cuique suum tribuere).

  Ti sorprenderà forse sapere che le parole “dare a ciascuno il suo” erano scritte in tedesco (jedem das Seine) sul cancello d’ingresso del campo di concentramento di Buchenwald. Se non viene ancorato a un principio di giustizia superiore, l’uomo ha il potere di distorcere e impiegare per fini disumani anche le parole più sacre e importanti. A questa giustizia di carattere universale, potremmo dire iscritta nel cuore di ogni uomo, va ricondotto il fondamento dei diritti umani: diritti inalienabili dell’uomo, ossia i diritti che devono essere riconosciuti a ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano, indipendentemente dall’origine, appartenenza religiosa, sesso, lingua, cultura o paese in cui egli abiti. È proprio ricordando le atrocità della Seconda guerra mondiale che gli Stati membri delle Nazioni Unite scrissero la Dichiarazione universale dei diritti umani (10 dicembre 1948): in questa carta sono contenuti 30 articoli che tutelano la libertà e la dignità di tutti gli esseri umani, e che possono essere ricondotti a un’ideale di giustizia universale. Se non l’hai letta, te lo consiglio. Nel 1950 i 13 Stati al tempo membri del Consiglio d’Europa approvarono la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e istituirono a Strasburgo un tribunale incaricato della tutela di questi diritti e queste libertà. Si tratta di un altro documento molto importante.

  Certo, già l’esempio dello studio condotto sui bambini di tre anni può farci pensare a un concetto forse legato alla nostra natura umana, come cercarono di spiegare per molto tempo i giusnaturalisti (Grozio, Hobbes, Pufendorf e Thomasius), per certi versi i contrattualisti, come Locke e Rousseau, e il razionalismo kantiano. L’appello a un ideale di giustizia superiore alle norme poste dagli uomini è però testimoniato già nella tragedia greca antica, ad esempio nell’Antigone di Sofocle, o nella stessa Apologia di Socrate scritta da Platone. Antigone e Socrate muoiono condannati dalla legge umana per aver obbedito a una giustizia non scritta, più “giusta” e più vera, di origine divina.

  Dalla nostra esperienza di vita e da quanto prima visto insieme, ci rendiamo subito conto che tra giustizia e verità esiste una relazione essenziale. Nel cristianesimo, è Dio a offrire all’uomo la verità, ma l’uomo ritrova già in sé i semi di questa verità perché è già inscritta nel suo cuore di creatura.

  Anche per la cultura ebraica in cui crebbe Gesù, la giustizia era pensabile solo in rapporto alla verità, e quindi proveniva da Dio. Il ragionamento che c’è dietro è molto affascinante: fin dall’antichità, per gli ebrei la verità era iscritta già nella creazione. I “giusti” dell’Antico Testamento erano infatti coloro che vivevano in modo conforme a questa verità. La stessa parola usata dagli ebrei per “giustizia” ricorre spesso insieme ai medesimi attributi usati per Dio: misericordia, bontà, generosità, gloria. Secondo la mentalità biblica, la giustizia è un dono di Dio all’uomo, perché solo Dio è giusto. E se Dio è non solo “giustizia” ma anche “bontà”, allora la giustizia, provenendo da Dio, non può esistere se non nella logica di quella bontà con cui Dio ha creato il mondo. Con la stessa bontà Dio ha creato anche l’uomo perché – come leggiamo nel secondo capitolo della Genesi – egli “coltivasse e custodisse” il mondo creando delle società “giuste”. Bello, vero?

  Il cristianesimo propone una risposta intrigante per l’innata sete di giustizia dell’uomo. Paolo di Tarso, cresciuto nell’ambiente ebraico e divenuto apostolo di Gesù, nella Lettera ai Romani scrive: «La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo» (cfr Lettera ai Romani 3,21-22). Potremmo allora chiederci: quale è allora la giustizia di Cristo di cui parla il Nuovo Testamento? Giovanni nel suo Vangelo spiega in modo molto profondo che la giustizia di Cristo consiste nello sconfinato amore di Dio per il mondo. Questo amore giunge fino alla consegna nelle mani degli uomini del suo Figlio unigenito, perché egli possa dare a tutti la propria vita, una vita di eterna comunione con lui. Dio invia il proprio Figlio «non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Giovanni 3,16-17).

  In una occasione Benedetto XVI disse che Dio ha mandato Gesù, suo Figlio, per aiutare l’uomo a uscire dall’illusione di poter bastare a sé stesso. La conversione consiste nel riconoscere una verità: che l’uomo non è mai autosufficiente, e ha sempre bisogno degli altri e di Dio, del suo perdono e della sua amicizia. Grazie alla venuta di Gesù Cristo l’uomo entra in un ideale di giustizia “più grande”, quella dell’amore (cfr. Lettera ai Romani 13,8-10). Nell’amore che Dio ha manifestato all’uomo attraverso Gesù, l’uomo scopre che esiste una giustizia che non si può comprare perché egli ha ricevuto più di quanto egli potesse aspettarsi o pagare. Ed è forse a partire dall’esperienza di questo amore gratuito e sovrabbondante, continua Benedetto XVI, che il cristiano dovrebbe essere spinto a dare il suo contributo per formare società giuste, dove tutti sono trattati secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è resa viva dall’amore (cfr. Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2010, 30 ottobre 2009).