Come è nata la nozione di Dio?

Andrea Aguti
Raffaello Sanzio (1483-1520), san Paolo all'Areopago di Atene predica sul "dio ignoto", tempera su cartone, 1515, Victoria and Albert Museum, Londra.

La nozione di Dio oggi presente nella cultura occidentale è il frutto della sintesi tra monoteismo ebraico-cristiano e filosofia greco-ellenistica, realizzatasi nei primi secoli dell’epoca cristiana. L’idea di Dio, come Essere supremo, è invece assai più antica, e appartiene al cammino culturale-religioso di tutto genere umano. Essa si riferisce a Dio come all’essere che detiene tutte le perfezioni, considerandolo onnipotente, onnisciente, perfettamente buono, eterno. A queste perfezioni, il monoteismo ebraico-cristiano affianca la santità morale. Una nozione di Dio, sebbene incompleta, non è assente nelle religioni primitive o arcaiche, in quanto molte di esse, accanto al culto di divinità minori, rivolgono la loro adorazione ad un Essere Supremo.

Quali sono le prime testimonianze del senso religioso nell’evoluzione culturale del genere umano?

Non si può escludere che il senso religioso sia sorto in un periodo antecedente all’avvento dell’Homo sapiens, per quanto le sue prime testimonianze siano tradizionalmente collegate a pratiche funerarie, risalenti al Paleolitico Superiore (circa 35.000 anni fa), che fanno presumere la credenza in una vita dopo la morte. In queste e altre pratiche, come la sepoltura dei crani e il cosiddetto cannibalismo rituale, il senso religioso appare strettamente collegato con quello magico. Anche alcune immagini di pitture rupestri, risalenti allo stesso periodo, sono interpretabili come attestazioni di “magia venatoria”. A partire dal Neolitico, emerge più chiaramente l’elemento religioso, dapprima collegato al culto della fertilità e della vegetazione, e poi, più in generale, alla percezione del fondo misterioso delle potenze naturali. Questo ha offerto la base per la credenza successiva, comune a ogni tipo di senso religioso, che la vita dell’essere umano, come il suo destino dopo la morte, dipenda da potenze sovraumane attive nella natura, ma non pienamente identificabili con essa.

Il fatto che l’essere umano sia stato in grado di formarsi l’idea di una o più potenze soprannaturali è riconducibile al possesso di peculiari caratteristiche biologiche e facoltà cognitive che lo distinguono da altre specie animali. Non casualmente l’essere umano è l’unico animal religiosum che conosciamo. Come ha messo in luce Max Scheler, nella sua opera La posizione dell’uomo nel cosmo (1928), l’essere umano, a differenza degli altri animali, è in grado di distinguere l’idea dalla realtà, l’essenza dall’esistenza, e quindi di immaginare e ideare un mondo diverso dall’ambiente in cui si trova. Egli è così anche in grado di elaborare, in forma mitica o logica, l’idea di qualcosa o qualcuno che sta al di là della natura, intesa come complesso degli enti e degli eventi visibili. Condotta al suo più alto grado di astrazione, l’idea di potenza soprannaturale coincide con quella di Dio, e ciò indica il legame strutturale esistente tra metafisica e religione.  

La trascendenza di Dio rispetto al mondo, elemento caratteristico della tradizione ebraica, specie nel profetismo, nella cosiddetta “epoca assiale” (culminante nel VI secolo a.C.), è divenuta più evidente in molti contesti culturali. Ciò ha avuto come conseguenza la piena distinzione, almeno di principio, tra magia e religione e il cosiddetto “disincanto del mondo” (Max Weber), che ha aperto la strada a un’indagine razionale, scientifica, di quest’ultimo.

Animismo, totemismo, sciamanesimo, miti arcaici, forme religiose del neolitico, religioni strutturate dell’epoca antica in India e Mesopotamia: tutte queste manifestazioni, così diverse, hanno qualcosa in comune?

Tutte queste manifestazioni sono accomunate dal riferimento a potenze sovraumane o soprannaturali, ovvero al sacro o al divino, che è essenziale per la definizione di religione. L’evidenza di questo riferimento non è immediata perché il totemismo, dove è stato presente, ha rappresentato un potente fattore di organizzazione sociale e a questa funzione è stato talora ridotto dagli studiosi, mentre le pratiche dell’animismo e dello sciamanesimo (così come del feticismo) sono più facilmente classificabili come magiche anziché come religiose. Tuttavia, anche la magia suppone l’esistenza di potenze misteriose con le quali l’essere umano sta in rapporto, ed è un dato di fatto che questo rapporto, nel corso della storia, ha assunto forme molto diverse.

I tentativi da parte degli storici della religione di individuare un’origine e una forma comune della credenza religiosa non hanno condotto a un risultato apprezzabile. Se è vero che il culto di un Essere Supremo è ben attestato in religioni primitive o arcaiche, e ha dato motivo agli studiosi per impiegare il termine “monoteismo” anche in questi contesti, è anche vero che all’interno nei monoteismi veri e propri persistono tendenze politeistiche. Esse, come ha messo in evidenza Geo Widengren nella sua Fenomenologia della religione (1969), riflettono la perenne inclinazione umana a rendere autonome le proprietà dell’unico Dio, facendone altrettante divinità. Il problema, molto dibattuto dagli storici della religione all’inizio del Novecento, di un’antecedenza storica del monoteismo rispetto al politeismo, o del suo contrario, ha quindi perso di interesse ed è stato trasferito, come ha indicato Raffaele Pettazzoni, su un piano ideale, nel quale questi due concetti appaiono dialetticamente correlati.

Connessa alla questione della differenza tra monoteismo e politeismo vi è quella della trascendenza di Dio rispetto al mondo, richiamata in precedenza. Il monoteismo, nella sua forma pura, distingue completamente Dio dal mondo. Questo significa che Dio perde il tratto naturalistico che ancora possiede nel culto dell’Essere supremo. In quest’ultimo, almeno nelle sue versioni uraniche, Dio non abita soltanto la volta celeste, ma tende a confondersi con essa. Nondimeno, per non rendere questo Dio un deus otiotus, i monoteismi veri e propri, accanto alla trascendenza di Dio, sottolineano anche la sua immanenza, ovvero la sua efficacia causale nel mondo. Questo rende di non facile decifrazione il rapporto tra la Causa prima e le cause seconde. Queste ultime, infatti, possono essere assorbite dalla prima, concependo Dio come causa esclusiva di tutto ciò che accade, con il rischio del panteismo, oppure autonomizzate rispetto a essa, con il rischio di allontanare Dio dal mondo e replicare anche in ambito secolare e scientifico la logica del politeismo.

Quale è l’etimologia del termine Dio nelle principali lingue classiche e moderne e cosa esso indica?

Il termine latino deus (da cui l’italiano Dio, il francese Dieu, lo spagnolo Dios) risale probabilmente all’indoeuropeo *deiwos, a sua volta derivante dal termine *djēws, che significa “cielo”. Quest’ultimo trae origine dalla radice verbale *djēw-, che significa risplendere. Il termine greco theós è di etimologia incerta: fra quelle proposte ve ne è una che lo fa derivare dal verbo týein, che significa sacrificare. Una etimologia simile è stata indicata anche per il termine tedesco Gott (così come per l’inglese God), che deriverebbe dalla radice verbale indoeuropea *gheu-, che significa versare, effondere (come appunto il tedesco giessen). Secondo questa etimologia, il termine sarebbe connesso alla pratica sacrificale della libagione, volta a calmare la collera divina. Una diversa etimologia è invece quella che fa risalire Gott all’indoeuropeo *ghuto-m, a sua volta derivante dalla radice verbale *gheu-, che significa chiamare o appellare. In questo caso, la divinità sarebbe una realtà da evocare mediante una chiamata. Originariamente concepito come un neutro, esso è divenuto un termine maschile dopo la cristianizzazione dei popoli germanici.

L’etimologia del termine deus conferma il significato religioso che, sin dai primordi della storia umana, è stato attribuito alla luminosità del cielo. Il cielo possiede infatti gli stessi attributi di Dio: alto, infinito, eterno… In diverse religioni primitive e arcaiche esso giunge a identificarsi con Dio, ma in molte altre il cielo indica il luogo di Dio, perché questi trascende anche il cielo. I culti astrali, come l’adorazione del sole o di altri corpi celesti, nasceranno in popoli a noi storicamente più vicini. Nel suo Vocabolario delle istituzioni indo-europee (1969), Emile Benveniste ha osservato che la realtà “celeste” di Dio è considerare in antitesi alla realtà “terrestre” dell’uomo (secondo il significato etimologico del latino homo). Le altre etimologie del termine Dio indicano il legame con pratiche cultuali e suggeriscono perfino una possibile derivazione da pratiche magiche.

Una questione significativa legata al termine “Dio” è se esso sia da intendere come un termine descrittivo, ovvero come un nome comune, o come un nome proprio. Pare più giusto considerarlo come un termine descrittivo, ovvero un nome comune, perché è traducibile in diverse lingue, mentre un nome proprio può essere soltanto trascritto o traslitterato (come nel caso di YHWH). Alcuni, tuttavia, osservano che quando è usato come termine descrittivo, esso risulta ambiguo e che, se si specificano le proprietà che appartengono alla realtà designata, esso viene di fatto utilizzato come nome proprio. Un’altra questione significativa è se il termine, usato sia come nome comune che come nome proprio, indichi una realtà personale o meno. Per i monoteismi, così come per il teismo filosofico, Dio è un termine che indica una realtà personale, ma ciò non esclude il suo utilizzo con un significato impersonale, come spesso accade nel linguaggio filosofico e scientifico.

Che rapporto vi è fra l’origine della nozione di Dio e l’origine della domanda umana su Dio?

Fra le grandi domande che l’essere umano può sollevare vi è quella sull’esistenza di Dio. Non si tratta di una domanda astratta o oziosa. Nella storia del pensiero filosofico e scientifico occidentale si è fatto spesso ricorso a Dio come fattore esplicativo di molti fenomeni naturali. L’ordine del cosmo si spiega meglio con l’esistenza di un Ordinatore anziché con il caso, la crescente complessità dell’evoluzione biologica con l’esistenza di un Progettista anziché con il meccanismo della selezione naturale, l’oggettività della legge morale con l’esistenza di un Legislatore anziché con convenzioni o contratti umani. In tutti questi casi, la nozione di Dio offre una risposta a domande che muovono dall’esperienza, ma portano a oltrepassare l’esperienza.

Alla scienza moderna è connaturale una “presunzione di naturalismo”, cioè un’attitudine epistemica che non considera entità soprannaturali di qualsiasi tipo come fattori esplicativi di fenomeni naturali. Le spiegazioni della scienza non sono però spiegazioni ultime, che giungono cioè alle risposte sulla causa dell’essere di tutte le cose, né pretendono di esserlo. La domanda su Dio che si collega a questioni scientifiche è quindi espressione della ricerca di spiegazioni ultime, che non sostituiscono quelle della scienza, né necessariamente entrano in competizione con esse. Essa è piuttosto parte dell’interrogazione metafisica che rimane al fondo di ogni spiegazione scientifica ed esprime il desiderio umano di conoscere la totalità e l’essenza della realtà.

Una lunga tradizione di pensiero filosofica e teologica ha strettamente collegato l’origine della domanda su Dio a una nozione di Dio posseduta dall’essere umano a priori, cioè in modo indipendente all’esperienza. Tale nozione è universale e non figura come la conclusione di un ragionamento, bensì come la premessa di ogni ragionamento che mira alla verità. Per il pensiero filosofico, essa si sovrappone e si confonde con nozioni più generali, come quelle di Essere, Infinito, Incondizionato, che sono intuitivamente presenti alla ragione umana o alle quali quest’ultima arriva per via astrattiva. Per il pensiero teologico, a dispetto della sua eventuale vaghezza e oscurità, la nozione di Dio è da intendere come una vera e propria auto-comunicazione del Dio personale allo spirito umano. In questa prospettiva, la domanda su Dio e la nozione di Dio presentano una medesima origine che si trova in Dio stesso, ovvero nel legame creaturale tra Dio e l’essere umano.

   

Visita anche il Percorso Tematico Il senso religioso dell’essere umano: antropologia, filosofia e cultura

   

Per saperne di più

La causa dell’origine del mondo è il Bene, dal Timeo di Platone

L’origine della nozione di Dio nel mondo antico, di Marco Tullio Cicerone

Il vero Dio e i falsi dèi: le risposte della ragione, di Quinto Settimio Tertulliano

Le tre forme di teologia: mitica, fisica e civile, di Agostino di Ippona

L’origine della nozione di theós, brani di Sesto Empirico e Teofilo di Antiochia

Noi non abbiamo nessuna nozione adeguata della Divinità, di Voltaire

Il Dio del Big Bang, in dialogo con gli scienziati

Glossario

Il termine indica genericamente la divinità ed è sinonimo dell’altro termine latino più noto deus. La sua radice etimologica, che allude a un cenno espressivo della testa, fa ritenere che il termine sia stato utilizzato prevalentemente, almeno fino all’età augustea, per indicare divinità personali (per esempio, numen Iovis). Esso è stato ripreso dal teologo e storico delle religioni Rudolf Otto, nella sua classica opera Il Sacro (1917), per coniare il neologismo “numinoso”. Con esso, Otto indica l’oggetto dell’esperienza religiosa, ovvero il Sacro, percepito in modo immediato come realtà che sta fuori del soggetto e non piuttosto inferito per mezzo di una deduzione logica.

Il termine è stato introdotto nella scienza delle religioni novecentesca dallo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986). Esso significa, letteralmente, manifestazione del sacro. L’essenza del fenomeno religioso consiste, secondo questo autore, nella distinzione tra sacro e profano, cioè fra una dimensione dotata di perfezione ontologica, sovratemporale, e il mondo empirico, storico. La storia delle religioni sarebbe equiparabile a una successione di ierofanie, che rappresentano altrettante occasioni da parte dell’essere umano per fare esperienza del sacro. Tali manifestazioni sono molteplici, ma presentano la caratteristica comune di aver luogo per mezzo di oggetti naturali che si caricano della potenza del sacro, pur determinando una limitazione di quest’ultimo.

Derivato dal termine siberiano shaman, lo sciamanesimo è un fenomeno cultuale, dai tratti magico-religiosi, tipico delle popolazioni della regione siberiana. È tuttavia presente anche in alcune religioni tribali dell’Africa e nei culti delle popolazioni native del Nord America, così come, trasversalmente, in altri contesti geografico-religiosi. Lo sciamano è considerato un mediatore tra gli esseri umani e il mondo ultraterreno, e per questo dotato di capacità taumaturgiche e profetiche. Caratteristica dello sciamano è il conseguimento di una condizione estatica, nel corso della quale, si ritiene, egli intraprende il viaggio nell’al di là volto all’acquisizione di benefici o allo scongiuro di malefici per il gruppo sociale di riferimento.

Il termine, in senso ampio, raggruppa tutte quelle forme religiose caratterizzate dalla credenza che oggetti, luoghi, esseri materiali siano dotati di proprietà spirituali. Per esse, la sfera del sacro o del divino non trascende la natura bensì, almeno fino a un certo grado, si identifica con essa. In senso stretto, l’animismo indica una teoria sull’origine della religione formulata dall’antropologo Edward Burnett Tylor, al quale si deve l’introduzione del termine nella scienza delle religioni. Secondo Tylor, l’origine della religione consisterebbe nel trasferimento agli oggetti naturali dell’esperienza del sé non corporeo (anima), compiuta dall’essere umano in particolari situazioni, e nella sua successiva spiritualizzazione che starebbe alla base della formazione del concetto di divinità.