Tu sei qui

L'origine della nozione di Dio nel mondo antico

Marco Tullio Cicerone
77 a.C.

De Natura Deorum, II, 13-17 

    

Itaque inter omnis omnium gentium summa constat; omnibus enim innatum est et in animo quasi inscriptum esse deos. [13] Quales sint, varium est, esse nemo negat. Cleanthes quidem noster quattuor de causis dixit in animis hominum informatas deorum esse notiones, primam posuit eam, de qua modo dixi, quae orta esset ex praesensione rerum futurarum; alteram, quam ceperimus ex magnitudine commodorum, quae percipiuntur caeli temperatione, fecunditate terrarum aliarumque commoditatum complurium copia;
[14] tertiam quae terreret animos fulminibus, tempestatibusn, nimbis, nivibus, grandinibus, vastitate, pestilentia, terrae motibus et saepe fremitibus lapideisque imbribus et guttis imbrium quasi cruentis, tum labibus aut repentinis terrarum hiatibus, tum praeter naturam hominum pecudumque portentis, tum facibus visis caelestibus, tum stellis -- is quas Graeci “kometas”, nostri cincinnatas vocant, quae nuper bello Octaviano magnarum fuerunt calamitatum praenuntiae --, tum sole geminato, quod, ut e patre audivi, Tuditano et Aquilio consulibus evenerat, quo quidem anno P. Africanus, sol alter, extinctus est, quibus exterriti homines vim quandam esse caelestem et diviam suspicati sunt;
[15] quartam causam esse eamque vel maximam aequabilitatem motus [constantissimamque] conversionem caeli, solis lunae siderumque omnium distinctionem, utilitatem, pulchritudinem, ordinem, quarum rerum aspectus ipse satis indicaret non esse ea fortuita: ut, si quis in domum aliquam aut in gymnasium aut in forum venerit, cum videat omnium rerum rationem, modum, disciplinam, non possit ea sine causa fieri iudicare, sed esse aliquem intellegat, qui praesit et cui pareatur, multo magis in tantis motionibus tantisque vicissitudinibus, tam multarum rerum atque tantarum ordinibus, in quibus nihil umquam inmensa et infinita vetustas mentita sit, statuat necesse est ab aliqua mente tantos naturae motus gubernari.
[16] Chrysippus quidem, quamquam est acerrimo ingenio, tamen ea dicit, ut ab ipsa natura didicisse, non ut ipse repperisse videatur. "Si enim" inquit "est aliquid in rerum natura quod hominis mens, quod ratio, quod vis, quod potestas humana efficere non possit, est certe id, quod illud efficit, homine melius; atqui res caelestes omnesque eae, quarum est ordo sempiternus, ab homine confici non possunt; est igitur id, quo illa conficiuntur, homine melius. id autem quid potius dixeris quam deum? Etenim si di non sunt, quid esse potest in rerum natura homine melius; in eo enim solo est ratio, qua nihil potest esse praestantius; esse autem hominem, qui nihil in omni mundo melius esse quam se putet, desipientis adrogantiae est; ergo est aliquid melius. Est igitur profecto deus.
[17] An vero, si domum magnam pulchramque videris, non possis adduci ut, etiam si dominum non videas, muribus illam et mustelis aedificatam putes: tantum ergo ornatum mundi, tantam varietatem pulchritudinemque rerum caelestium, tantam vim et magnitudinem maris atque terrarum si tuum ac non deorum inmortalium domicilium putes, nonne plane desipere videare? 

 

C'è pertanto un sostanziale accordo fra gli uomini di tutte le nazioni, ché in tutti è innato e quasi scolpito nell'intimo il concetto che esistono gli dèi. Sulla loro natura c'è varietà di opinioni, ma nessuno ne nega l'esistenza. [13] Secondo il nostro Cleante quattro sarebbero le ragioni per le quali avrebbe preso forma nell'animo umano l'idea della divinità. La prima sarebbe quella di cui s'è detto or ora, quella, cioè, che scaturisce dalla precognizione degli eventi futuri. La seconda la ricaveremmo dall'intensità dei benefici che ci vengono forniti dalla mitezza dei clima, dalla fecondità dei terreni e da tutta una serie innumerevole di altre circostanze vantaggiose.
[14] La terza sarebbe determinata dal terrore che incutono nell'animo umano i fulmini, le tempeste, le bufere, la neve, la grandine, le devastazioni, la peste, i terremoti e, non di rado, i boati, la caduta di pietre, le piogge di color rossiccio simili a sangue e, occasionalmente, i franamenti, l'improvviso aprirsi di voragini nel terreno, la nascita di mostri umani e animaleschi in contrasto con l'ordine naturale, l'apparizione nel cielo di fuochi e di quelle stelle che i Greci dicono chiomate e noi caudate e che tante sventure preconizzarono nella recente guerra di Ottavio e, ancora, la comparsa di due soli, un fenomeno che, come udii da mio padre, avvenne sotto il consolato di Tuditano ed Aquilio, l'anno in cui morì Publio Africano, il secondo sole di Roma, onde gli uomini atterriti avvertirono la presenza di una forza divina operante nel cielo.
[15] La quarta ragione, la più importante di tutte, ce la fornirebbe la costante regolarità con cui il cielo, il sole, la luna compiono ciascuno il proprio moto di rivoluzione, la distribuzione degli astri tutti, nonché i benefici effetti che ne derivano, la bellezza dello spettacolo, l'ordine che vi regna: una visione che al solo contemplarla ci convince che non può trattarsi di fenomeni casuali. Prendiamo il caso di un uomo che entri in una casa, o in una scuola, o in un luogo di pubblica assemblea. Osservando l'ordine, la regolarità, la disciplina che vi regnano sarà impossibile per lui pensare che tutto ciò sia senza una ragione ma ne dedurrà subito che c'è qualcuno che dà ordini e cui si ubbidisce. A maggior ragione di fronte a movimenti così vasti e a vicende tanto imponenti che, per quanto ci si riporti nel remoto passato, non subirono mai la minima deroga, non potrò fare a meno dal riconoscere che c'è un principio intelligente che regola la grandiosa dinamica della natura.
[16] Crisippo poi, nonostante il suo acutissimo ingegno, parla come se quei principi gli fossero stati suggeriti dalla natura e non fosse stato lui stesso ad acquisirli. «Se esiste nel mondo qualcosa - sono sue parole - che né l'intelligenza dell'uomo, né la sua capacità razionale, né la sua forza, né la sua potenza sono in grado di realizzare, l'artefice di tale realizzazione è certamente un essere superiore all'uomo. Ma i fenomeni celesti e tutti quelli inseriti in un ordinamento valido per tutta l'eternità non possono essere opera dell'uomo. Il loro autore è dunque migliore dell'uomo. E come chiamare codesto essere se non dio? Infatti, ammesso che non esistano gli dèi, che v'è nel mondo di superiore all'uomo? Ché solo in lui v'è la ragione di cui nulla è più apprezzabile. D'altra parte il ritenere che nulla vi sia al mondo di superiore a se stessi è segno di stoltezza e di presunzione. Deve quindi esistere nel mondo un essere superiore all'uomo e quest'essere non può che identificarsi con la divinità.
[17] Sta di fatto che se tu entri in una casa grande e bella non puoi essere indotto a credere, pur non conoscendone il padrone, che siano stati i topi e le faine a costruirla. Perché allora non ti si dovrebbe considerare uno sciocco qualora tu ritenessi come tua dimora e non degli dèi questo mondo così splendidamente adorno, questa volta celeste di così varia ed intensa bellezza, queste sconfinate distese di mari e di terre?

 

Tr. it. Sulla natura degli dei, a cura di Ubaldo Pizzani, Arnoldo Mondadori, Milano, 1967, pp. 128-133.