Il naturalismo è la concezione filosofica contemporanea che rifiuta la trascendenza e riconduce tutta la realtà al dato naturale empiricamente osservabile, ritenuto conoscibile solo mediante il metodo delle scienze naturali. È pertanto appropriato utilizzare in filosofia il termine “naturalismo” soltanto per riferirsi alle correnti di pensiero che riconducono ogni forma di sapere al mondo naturale così come descritto dalla scienza moderna (in particolare dalla fisica, dalla biologia e dall’astronomia); mentre non rientrano in questa definizione altre forme filosofiche di pensiero sulla natura, come quelle dei filosofi presocratici, di alcuni teologi medioevali, dei pensatori dell’epoca rinascimentale, illuministica e romantica, nonché molte riflessioni filosofiche di uomini di scienza.
Ha senso distinguere un naturalismo scientifico da un naturalismo filosofico? Cosa indicano queste visioni della natura?
Parlare di naturalismo scientifico è pleonastico, perché le scienze della natura sono per statuto epistemologico “naturalistiche”, intendendo con ciò che il loro campo di indagine è metodologicamente circoscritto ai soli fenomeni naturali. Il naturalismo filosofico è invece una Weltanschauung, una “visione del mondo” di tipo speculativo, anche se i suoi esponenti presentano le proprie idee come una mera riproposizione o estensione delle teorie e dei metodi delle scienze della natura. All’interno del filone del naturalismo filosofico si possono effettuare almeno due tipi di distinzione: uno su base contenutistica e uno su base teoretica. Rispetto ai contenuti, distinguiamo due specie di naturalismo: quello ontologico e quello epistemico o gnoseologico. Il primo si concentra sugli enti presenti nel mondo e conclude che gli unici esseri reali sono quelli osservati e descritti dalle scienze naturali; essi hanno quindi carattere immanente ed empirico come ogni realtà presente in natura. Per il naturalismo ontologico tutto ciò che non può rientrare tra gli oggetti di indagine delle scienze naturali non può essere preso in considerazione come un qualcosa di effettivamente esistente, ma al massimo è una opinione soggettiva o del senso comune senza valore di autentico sapere. Tale costante riferimento alla scienza spiega i motivi per cui si tende a confondere il naturalismo implicito nelle scienze naturali con il naturalismo filosofico e genera altresì uno spontaneo collegamento con il naturalismo epistemico o gnoseologico. Quest’ultimo propone di “naturalizzare” qualsiasi indagine filosofica sulla conoscenza umana ovvero di ridurre i problemi della verità e del modo di conoscere il mondo esterno a fenomeni psicologici naturali, quindi a quanto ci possono dire di preciso sulla mente e sulla coscienza le neuroscienze o le scienze cognitive empiricamente fondate. Dal punto di vista teoretico si è invece soliti distinguere tra un naturalismo radicale e un naturalismo moderato. Per il naturalista radicale l’unica forma autentica di conoscenza è quella empirico-induttiva e pertanto qualsiasi evento che accade realmente nel mondo può essere ricondotto a un qualche fenomeno di ordine naturale; ne consegue che anche le questioni di senso e di valore, l’etica e le cosiddette attività dello spirito (opere d’arte, musica, religione, etc.) oppure il giudizio estetico vanno spiegati tramite processi fisiologici naturali scientificamente accertati. Il naturalismo moderato ammette invece che possano esistere realtà e fonti di conoscenza non soltanto di tipo empirico-induttivo, come sono per esempio le dimostrazioni assiomatiche o matematiche oppure gli stati introspettivi, ma tutto vada comunque circoscritto alle manifestazioni naturali e debba risultare sempre compatibile con quanto affermano le scienze della natura.
Che rapporti vi sono fra materialismo e naturalismo?
È oggetto di discussione tra gli studiosi se il naturalismo risulti una forma di materialismo. Chi sostiene il contrario afferma che da un lato il materialismo non è la sola ontologia compatibile col metodo scientifico moderno e dall’altro che il naturalista ammette alcuni fenomeni normalmente rifiutati dal materialista. L’impostazione più corretta sembra tuttavia essere quella che concepisce il naturalismo filosofico come un materialismo de facto, dal momento che esso proclama il primato ontologico della natura oggetto di studio delle scienze naturali, la quale a sua volta altro non è se non il prodotto delle diverse trasformazioni della materia. Il pensiero materialistico tuttavia non coincide e non si esaurisce nel naturalismo filosofico, avendo assunto nel corso della storia svariate vesti filosofiche anche piuttosto distanti da esso, come per esempio nelle metafisiche immanentistiche sul tipo del materialismo pneumatologico degli Stoici, di quello atomistico di Epicuro e Gassendi, di quello dialettico di Marx ed Engels, di quello ideologico di Bonnet e Cabanis e altri ancora. In definitiva, possiamo allora concludere che la nozione di materialismo include quella di naturalismo, ma non viceversa, poiché il pensiero materialistico presenta un’estensione concettuale ben più vasta e articolata di una filosofia che prenda come unico punto di riferimento le osservazioni empiriche e il metodo di ricerca della scienza.
L’affermazione che la natura sia autosufficiente e autofondata è un'affermazione filosoficamente consistente? Equivale alla negazione di un Dio creatore?
Il naturalismo nega recisamente l’esistenza di un Dio creatore trascendente e al massimo può approdare a una qualche forma di panteismo naturalistico. Tuttavia, l’autosufficienza ontologica della natura e quindi della materia (intesa come massenergia: E=mc2) che ne costituisce il fondamento appare oggi problematica a partire proprio dalle conoscenze scientifiche meglio corroborate. A rendere improbabile l’esistenza ontologicamente autofondata della natura sono da un lato il fatto che essa non sia eterna, ma abbia avuto inizio con lo spazio-tempo, e dall’altro il dato ormai certo che il cosmo attuale finirà o con una morte entropica (Big Freeze – “Grande Gelo”) o con la disintegrazione degli stessi atomi (Big Rip – “Grande Strappo”). Tanto la morte termica quanto la dissoluzione della struttura atomica della materia intaccano infatti l’elemento essenziale del mondo naturale ovvero il sistema dinamico degli esseri viventi e delle cose materiali che costituiscono l’attuale nostro universo e che chiamiamo solitamente “natura”. Questo quadro, fornito dalle stesse scienze punto di riferimento privilegiato e fondante del naturalismo filosofico, rende altamente improbabile che la natura possa giustificare la propria esistenza tramite cause o principi esclusivamente fisico-chimici e lascia pertanto aperta la possibilità di teorizzare la presenza di un Creatore inteso come causa “altra” rispetto al mondo fisico. Nessuno oggi può sostenere su basi scientifiche che “il cosmo è tutto ciò che esiste, che sia mai esistito e che esisterà sempre”, come aveva fatto nel 1980 un seguace del naturalismo filosofico come il celebre scienziato Carl Sagan; perciò l’astronomo agnostico Robert Jastrow ha correttamente ammesso che negli ultimi sviluppi scientifici si palesano“potenziali implicazioni teologiche”.
Visita anche il Percorso Tematico Visioni e concezioni della natura fra scienza, filosofia e teologia
• La critica al naturalismo materialista ottocentesco, di Søren Kierkegaard
• Le due anime del naturalismo scientifico, di Carlo Cirotto
• La filosofia materialista della natura di Friedrich Engels, di Roberto Timossi
• Liberarsi dalle ideologie ed essere fedeli alla natura, di Fiorenzo Facchini
• Naturalismo e natura, intervista a Mario De Caro e Cataldo Zuccaro
• Autosufficienza della natura? Il naturalismo “scientifico” e le origini di un fraintendimento, di Giuseppe Tanzella-Nitti
Termine di origine latina ed etimologicamente riferibile a “restare dentro”, viene utilizzato in filosofia con significati differenti, il principale dei quali corrisponde a quello di “mondano” (ovvero intrinseco al mondo) o comunque a ciò che non va oltre una condizione data. In campo teologico si usa anche per designare il panteismo.
Dottrina filosofica secondo cui la materia è la sola realtà e a essa si riconduce tutto quanto esiste. Il termine è stato usato forse per la prima volta da Pierre Bayle (1647-1706) per riferirsi a tutti coloro che negano l’esistenza di enti spirituali o immateriali.
(Dal greco pan-theos – “tutto [è] Dio”). Ogni concezione che identifica Dio con il mondo, che ritiene il divino compartecipe di tutte le cose e unifica così la causalità divina con quella mondana.
Teoria secondo cui ogni struttura complessa è la semplice somma delle sue parti e si può quindi spiegare riducendola ai suoi componenti fondamentali. Si distinguono due tipi di riduzionismo: ontologico e metodologico. Si ha riduzionismo ontologico quando un livello strutturale della realtà viene ridotto ad un altro, inferiore; si ha riduzionismo metodologico quando la spiegazione di fenomeni complessi viene fornita a partire dall’analisi dei processi osservabili sottostanti.
Con significato opposto a quello di immanenza/immanente, si riferisce a “ciò che sta al di là”, che sta oltre la realtà mondana. È un attributo di Dio inteso come ente distinto dall’universo e dalla materia.