Ti sei mai stupito di fronte alle forme e ai colori di un fiore tropicale, al volo degli uccelli in una sera d’estate, al profilo di una catena montuosa durante una passeggiata in montagna, alla quantità di stelle che ti offre un cielo oscuro, lontano dalle luci delle città, se mai hai avuto la fortuna di sperimentarlo? Se un amico con la passione dell’astronomia ti ha fatto vedere i crateri della luna o gli anelli del pianeta Saturno attraverso un telescopio amatoriale, non si dimentica facilmente lo stupore che si prova in queste prime osservazioni. A stupirci, a volte, sono i tratti del volto delle persone che amiamo, il loro sguardo. Ma ci stupisce anche quello che noi esseri umani siamo in grado di realizzare con tecnica e ingegno. Non può non sorprenderci che a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, si sia costruito un grattacielo di 163 piani, alto 828 metri, più alto del colle di Superga accanto a Torino; o che siamo in grado di teleguidare, dalla Terra, un rover sul suolo del pianeta Marte, ad oltre 100 milioni di kilometri di distanza. Chi non è capace di stupirsi forse non ha ancora imparato a guardarsi attorno.
L’effetto-sorpresa generato dallo stupore è il marchio della “inesauribilità” del reale, un reale che ci supera, suscitando in noi il desiderio di conoscere e di approfondire. Già Aristotele scriveva nella Metafisica che gli uomini «hanno iniziato a esercitare la filosofia attraverso la meraviglia»: lo stupore innesca il cammino di chi vuole sapere. Senza stupore non vi sarebbe scienza né conoscenza. A differenza di altre esperienze umane, lo stupore sembra non toccare mai il fondo. C’è sempre una particella subatomica più piccola, una galassia più lontana, un tramonto più bello, un risultato inaspettato. Lo stupore non è “dissolto” da nessuna conoscenza, ma apre sempre verso livelli più profondi. Non finiamo mai di stupirci. Non abbiamo mai la soddisfazione di aver scoperto il “trucco”, perché quando pensiamo di aver capito come qualcosa funziona, poco dopo ci accorgiamo che si aprono nuovi orizzonti, nuove possibilità, nuovi risultati. Un premio Nobel per la fisica, lo scienziato pakistano Subrahmanyan Chandrasekhar, diceva che la natura è molto più creativa di noi, ci spiazza sempre, ne sa sempre una di più. La realtà ci coglie alla sprovvista, lasciandoci perennemente insoddisfatti. Ma è proprio questo che ci pone in condizione di intraprendere nuovi percorsi di scoperta. Quasi fino a toccare i fondamenti.
Blaise Pascal parlava dell’essere umano come una creatura “sospesa fra due infiniti”: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Se la miracolosa bellezza e perfezione dell’infinitamente piccolo – pensiamo alla sequenza degli aminoacidi in una catena di DNA – desta la nostra ammirazione, l’infinitamente grande può incuterci un senso di timore e di spaesamento. Pensa alla vastità del cosmo, più di cento miliardi di galassie, alla posizione periferica del nostro sole, una fra cento miliardi di stelle della nostra Via Lattea. Ben prima dell’invenzione del telescopio, l’autore del Salmo 8 sapeva esprimere bene lo smarrimento che può coglierci davanti a questa vastità: «Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?» (Salmo 8,4-5). In certi momenti abbiamo la sensazione che la realtà ci domini, che la sua infinita potenza possa mettere in pericolo la nostra vita, e in questo modo avvertiamo la nostra fragilità, forse la nostra solitudine. Questa esperienza, se da un lato ci rivela l’incommensurabilità del mondo in cui ci troviamo come “gettati” – secondo l’espressione del filosofo Martin Heidegger –, dall’altro ci rivela qualcosa di essenziale di noi esseri umani, perché siamo l’unico animale in grado di rendersi conto della propria collocazione nell’universo. Pascal usava la nota immagine della “canna pensante”: «L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quando l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire, e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla» (Pensieri, n. 186).
Lo stupore è collegato all’esperienza della bellezza. Di fatto, anche allo stupore per l’esistenza del mondo segue subito un giudizio estetico: è bello esserci, esistere. A stupirci non sono tanto le dimensioni di qualcosa, ma la sua armonia, quasi il messaggio che essa trasmette. Di fronte a una cosa bella, di fronte a qualcosa che ci stupisce, restiamo a bocca aperta, cioè incapaci di pronunciare parole, perché le parole per indicare ciò che proviamo non esistono, non sono state ancora inventate. È l’esperienza della gratuità, qualcosa di non dovuto, non richiesto, non immaginato, forse non meritato, che ci viene incontro. Lo stupore ci aiuta ad essere umili. Non possiamo definire tutto e prevedere tutto: dobbiamo restare disponibili al nuovo, all’indeducibile. Fa bene ricordarci quello che ci dicono gli astronomi: l’universo osservabile, dal quale riceviamo radiazioni e i cui corpi conosciamo, equivale ad appena al 4% della materia e dell’energia che sappiamo esistere. Tutto il resto è materia di cui non conosciamo la natura ed energia di cui non conosciamo l’origine, sebbene di entrambe vediamo gli effetti indiretti.
Fra le cose che più sorprendono vi è la perfezione e la bellezza dell’essere umano. Più della materia, più delle vastità cosmiche, più degli altri esseri viventi che da centinaia di milioni di anni popolano la terra, l’essere umano, il suo organismo, la precisione del suo metabolismo, del suo sistema immunitario, il rapporto fra il suo corpo e la sua mente (ma potremmo anche dire tra il suo soma e la sua psiche), i delicati processi biologici che presiedono la sua riproduzione sessuale, sebbene risultato di una lunga e lenta evoluzione, rappresentano uno straordinario oggetto di stupore e di bellezza.
Provo ad andare più in là. L’essere umano non ci sorprende soltanto per la sua intelligenza, la sua capacità di progettare nella libertà la propria vita, ma anche, e soprattutto, per la sua capacità di amare e il suo desiderio di essere amato. Quando scopri la possibilità di stringere la tua vita con quella di un'altra persona, la capacità di donarti a qualcuno, di superare i confini – sempre troppo stretti – dei tuoi interessi o del tuo vantaggio personale per abbracciare e farti carico della vita di chi incontri sul tuo cammino: tutto questo ti rivela l’aspetto prodigioso dell’essere umano. Pensa allo stupore che ti ha colto la prima volta, quando hai percepito il tuo amore ricambiato, quando hai capito che quel sorriso, quello sguardo erano proprio per te… È la meraviglia di essere corrisposti nell’amore.
Anzi, possiamo dire che il nostro Io si struttura proprio a partire dall’esperienza dell’amore di un Tu che si manifesta nel volto dell’Altro. Prima ancora che possiamo prendere alcuna iniziativa, è proprio il volto dell’Altro che si rivolge a noi, ci chiama, ci interpella, e dirige su di noi uno sguardo d’amore. Ciò che ha destato il tuo stupore, la tua capacità di amare e di essere amato, proviene da questa prima, stupefacente chiamata: sei stato amato.
Ora, se ti ha stupito scoprirti capace di amare, se ti ha meravigliato che qualcuno potesse ricambiare il tuo amore, quanto più potrebbe sorprenderti scoprire che, alla base di queste esperienze esistenziali così entusiasmanti, c’è qualcosa di originario, gratuito e inspiegabile: esisti perché sei stato amato. È questa la notizia, la “buona novella”, antichissima e insieme sempre inattesa che il cristianesimo annuncia ad ogni essere umano. Sei stato creato per essere figlio di Dio, in Cristo, Figlio con la maiuscola, pensato e amato prima della fondazione del mondo. I contemporanei dei discepoli di Gesù di Nazaret, greci e romani, pagani ed ebrei, restavano stupiti di fronte all’annuncio che Dio è venuto incontro all’uomo al punto da farsi uomo Egli stesso, ha perdonato le infedeltà del suo popolo morendo su una croce, è risorto dai morti per mostrare come Egli sia la vita degli uomini.
Tutto era cominciato con lo stupore di una giovane donna, Maria di Nazaret. «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Luca 1,34), chiede Maria all’angelo che le annuncia l’evento inaudito capace di cambiare la sua (e la nostra) storia. Lo stupore è la nostra reazione davanti all’impossibile che diventa reale, ben più vero e definitivo delle possibilità limitate che siamo in grado di prevedere. «Nulla è impossibile a Dio», rilancia l’angelo: non fornisce una spiegazione ma si riferisce a ciò che è capitato a Elisabetta, l’anziana parente di Maria «che era detta sterile» e che pure ha concepito un figlio in tarda età. Ancora una volta, un evento reale che supera la nostra immaginazione. Lo stupore di Maria non viene dissolto da una spiegazione, ma attiva un percorso, ancora non del tutto chiaro, che parte con la manifestazione di una disponibilità incondizionata: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Luca 1,38). E tu, che risposta riesci a dare davanti allo stupore per la tua vita, per ciò che in essa, con la tua libertà, potrai costruire?