Il linguaggio umano e la complessità del reale: tra natura, pensiero e cultura

Ivan Colagè
Stefano Oliva
Il linguaggio è strettamente connesso con aspetti sociali e culturali dell’essere umano.
In pillole
  • La tradizione filosofica occidentale ha spesso indicato il linguaggio come la facoltà specifica dell’essere umano.
  • Tutte le diverse forme di linguaggio sono necessarie per esprimere la complessità dell’umano e per conoscere le molteplici sfaccettature del reale.
  • Lo studio dell’origine e dell’evoluzione del linguaggio mettono in luce aspetti che sembrano eccedere le necessità biologiche, suggerendo piuttosto che le facoltà linguistiche siano progredite con il crescere della dimensione genuinamente culturale umana.
  • Nella contemporaneità, lo studio analitico del linguaggio ha avuto l’obiettivo di liberarsi dai limiti di ambiguità e imprecisione delle lingue naturali, proponendo linguaggi formali a tal fine costruiti.
  • Nell’ambito della “svolta linguistica” del Novecento, la filosofia del linguaggio ordinario sottolinea come il linguaggio serva a compiere una pluralità di azioni oltre a descrivere la realtà.
  • La riflessione sul linguaggio pone la questione della verità, del carattere vincolante dei fatti rispetto alle nostre narrazioni e del modo in cui rendiamo conto linguisticamente della realtà.

Il linguaggio è parte fondamentale della vita umana, della sua evoluzione culturale e del suo sviluppo storico. La sua forte dimensione antropologica, legata alla variabilità delle culture e delle epoche, ne fa quasi un organismo vivo e in continua evoluzione. Solitamente nel contesto scolastico il linguaggio viene affrontato “dal di dentro”, vale a dire attraverso lo studio della grammatica, della sintassi, della letteratura, in sostanza dell’uso della propria lingua e delle lingue straniere. Ma vi è anche un modo di riflettere su di esso “dal di fuori”, considerandolo come uno specifico oggetto d’indagine (e non soltanto come se fosse un “medium” tra gli altri), apprezzandone così l’influenza reale sul pensiero, sulla vita personale e sociale, sulla storia e sulla cultura. Questa ricchezza di contenuto giustifica un percorso espressamente dedicato al linguaggio, fruibile in un contesto scolastico e da approfondire secondo i punti di vista di diverse materie d’insegnamento.

La tradizione filosofica occidentale ha spesso indicato il linguaggio come la facoltà specifica dell’essere umano. Già Aristotele, nella Politica, definisce l’uomo come l’animale dotato di linguaggio (zoon logon echon). Solo a partire dalla natura linguistica dell’umano si può comprendere l’altra celebre definizione aristotelica, secondo cui l’uomo è zoon politikon, animale politico, coinvolto in una rete di legami sociali resa possibile proprio dall’esercizio del linguaggio.

La rivelazione ebraico-cristiana ha poi assegnato alla parola un ruolo privilegiato nel rapporto tra Dio e l’umanità: basti pensare al Prologo del Vangelo di Giovanni, in cui Cristo viene identificato come Logos, pensiero incarnato nella parola. Lungo i secoli, numerosi pensatori si sono interrogati sul rapporto tra linguaggio e vita umana. Nel Novecento, ad esempio, il filosofo tedesco Martin Heidegger ha parlato del linguaggio come “casa dell’essere” e “abitazione dell’essere umano”, vale a dire come luogo proprio entro cui si svolge e acquista senso la vita dell’uomo.

Ma che cos’è il linguaggio? È difficile fornire una risposta sintetica e unitaria. Molte infatti sono le discipline che se ne occupano (dalla linguistica alle neuroscienze, passando per la filosofia del linguaggio e la psicologia), diversi gli approcci e i metodi, svariati gli aspetti presi in considerazione nelle singole indagini. Si pensi soltanto alle varietà di forme e di usi cui si presta il linguaggio: formale, simbolico, poetico, mistico. Tutte le diverse forme di linguaggio sono necessarie per esprimere la complessità dell’umano e per conoscere le molteplici sfaccettature del reale. Il gergo proprio a ogni disciplina esprime un aspetto specifico della realtà ma allo stesso tempo contribuisce a una comprensione globale di ciò che ci circonda.

Questa pluralità suggerisce un approccio ispirato alle teorie di un altro importante filosofo del Novecento, Ludwig Wittgenstein, il quale usa l’espressione “giochi linguistici” per indicare la rete di attività, tra di loro variamente connesse, che compiamo all’interno e per mezzo del linguaggio. La molteplicità dei giochi linguistici mette in luce la grande versatilità del linguaggio, la sua pervasività rispetto alla forma di vita umana e, aspetto non meno importante, il suo orientamento eminentemente pratico. Come suggerisce il titolo di un’opera del filosofo britannico John L. Austin (How to Do Things with Words, 1962), le parole sono tra i più utili strumenti a nostra disposizione e, in una molteplicità di occasioni, “dire” significa “fare” qualcosa.

Questione interdisciplinare rilevante, quantomeno dalla seconda metà del Novecento, e molto dibattuta anche in contesto scientifico (antropologia fisica, studi comparativi), è quella relativa all’origine evolutiva del linguaggio. Non si conosce il periodo esatto in cui il linguaggio è emerso: alcuni studiosi pensano sia assai precedente alla comparsa della nostra specie, Homo sapiens; altri ritengono sia emerso decine di migliaia di anni dopo la nostra comparsa sul pianeta. Con ogni probabilità, il processo che ha portato al linguaggio umano attuale è stato lungo e complesso. L’evoluzione del linguaggio è certamente legata ad alcuni trend caratteristici della nostra linea evolutiva: dall’encefalizzazione (l’aumento del volume del cervello rispetto alla massa corporea), alle sfide poste dall’occupazione di nuove nicchie ecologiche, alla crescente complessità dell’assetto sociale, alle sempre più raffinate capacità culturali.

Alcuni aspetti e funzioni del linguaggio (come la capacità di riferirsi a oggetti o eventi lontani nel tempo e nello spazio, il sostegno che il linguaggio dà alla dimensione sociale, oppure la sua funzione nella trasmissione di strategie di sopravvivenza) hanno avuto un forte impatto sull’adattamento biologico della nostra specie (o dei suoi predecessori). Altri aspetti (quali le fini capacità comunicative derivanti dalla sintassi complessa, l’impatto del linguaggio su immaginazione e creatività, la sua rilevanza nel permettere una relazionalità profonda tra individui umani) sembrano eccedere le necessità biologiche, suggerendo piuttosto che le facoltà linguistiche siano progredite con il crescere della dimensione genuinamente culturale umana.

In sostanza, il processo che ha portato al linguaggio umano attuale è animato tanto (soprattutto nelle fasi più antiche) da evoluzione biologica quanto (specialmente nelle fasi più recenti) da evoluzione culturale. L’evoluzione culturale, seppur strettamente legata a quella biologico-genetica, è animata da dinamiche proprie che rispondono più a motivazione profonde (etiche, estetiche, intellettuali, spirituali, etc.) che alla necessità per un organismo di rispondere alle sfide per la sopravvivenza e la riproduzione (che costituiscono i criteri fondamentali per l’evoluzione biologica). Da questo punto di vista, dunque, l’origine e l’evoluzione del linguaggio devono essere affrontate tenendo presente anche simili dinamiche genuinamente culturali, e non possono essere considerate solamente del punto di vista dei processi soggiacenti all’adattamento all’ambiente.

La riflessione sul linguaggio ha accompagnato tutto lo sviluppo del pensiero occidentale, dalle sue origini greche ed ebraico-cristiane, come accennato. Nel Medioevo la riflessione sul linguaggio conobbe sviluppi considerevoli. Discipline come la grammatica, la dialettica e la retorica, inquadrate all’interno del trivio, furono poste alla base del percorso formativo nelle nascenti Università. In questo stesso contesto, il cosiddetto dibattito sugli universali, con le dispute tra ‘realisti’ (per es. Anselmo d’Aosta) e ‘nominalisti’ (Roscellino di Compiègne), pose la questione del rapporto tra parola e realtà. La domanda al centro del dibattito può essere così riassunta: termini generali (‘universali’) come ‘uomo’ o ‘animale’ si riferiscono a entità extra-mentali o non sono altro che flatus vocis, nomi privi di corrispondenza con la realtà?

In epoca moderna, il linguaggio viene guardato soprattutto dal punto di vista delle sue relazioni con il pensiero, e le parole vengono viste principalmente come segni delle “idee”. Nonostante questa cornice generale, a seconda dell’approccio filosofico di fondo (più empirista o più razionalista) il linguaggio viene compreso in modi diversi da diversi autori (si pensi ad esempio al dibattito tra John Locke e Gottfried Wilhelm Leibniz).

Alle soglie dell’epoca contemporanea, soprattutto a partire dall’opera di Gottlob Frege il linguaggio viene analizzato dal punto di vista logico. L’enfasi è posta sulla funzione descrittiva e vero-funzionale delle espressioni linguistiche (soprattutto le proposizioni dichiarative, quelle passibili di essere vere o false). L’obiettivo, in sostanza, è quello di liberarsi dai limiti di ambiguità e imprecisione delle lingue naturali, proponendo linguaggi formali a tal fine costruiti. Questa impostazione in filosofia del linguaggio caratterizzerà anche l’esordio della cosiddetta svolta linguistica (il cui atto di nascita è spesso considerato il Tractatus logico-philosohicus di Wittgenstein, del 1922).

Nella seconda metà del Novecento (a partire dai lavori di filosofi come il già citato John Austin e, poco dopo, di John Searle – ma con chiare anticipazioni già nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein, pubblicate postume nel 1953) si realizzerà che la ricchezza espressiva del linguaggio umano (così come incarnato nelle lingue naturali) non può essere ridotto a un sistema logico, e che il linguaggio ha molte altre funzioni oltre a quella dichiarativa (o assertiva) e vero-funzionale. Nasce così la cosiddetta filosofia del linguaggio ordinario che – tramite la nozione di atto linguistico – sottolinea come il linguaggio serva a fare molte cose oltre che a descrivere la realtà: serve anche a chiedere, ordinare, promettere, esclamare, esprimere il proprio stato interiore e persino a “creare” fatti o istituzioni sociali che senza linguaggio non potrebbero esistere ma che hanno un impatto decisivo sulla forma di vita umana.

Permane comunque il problema della corrispondenza tra linguaggio e realtà (e quindi della funzione assertiva delle espressioni linguistiche); ciò conduce a una riflessione sul tema della verità, particolarmente approfondito nel campo dell’ermeneutica. Sorta in età moderna come tecnica dell’interpretazione, l’ermeneutica è divenuta nel Novecento uno degli orientamenti filosofici più rilevanti, ponendo in risalto la questione del rapporto tra verità e interpretazione. Con quest’ultimo termine si può intendere il modo personale attraverso cui l’uomo comprende la realtà che lo circonda. In un’epoca come quella attuale, in cui si sente spesso parlare di post-verità e di fake news, una riflessione critica sul carattere vincolante dei fatti rispetto alle nostre narrazioni e al modo in cui rendiamo conto linguisticamente della realtà è divenuto quanto mai urgente.

Tracce di lavoro: 

Laboratorio interdisciplinare: I docenti di diverse discipline promuovano una discussione comune sul rapporto tra dimensione formale e non formale del linguaggio impiegato in ciascun campo. Esempi: formalizzazione e intuizione nella matematica; prosa e metrica poetica in letteratura; invenzione concettuale e rigore argomentativo in filosofia, codifica e campo libero in informatica, ecc.

Discutiamone insieme: Come gli esseri umani, anche gli altri animali hanno modi di comunicare. Il docente esamini insieme agli studenti quali modalità e finalità assume la comunicazione fra gli animali (avvertire di un pericolo, presenza di cibo, richiamo sessuale, manifestazioni di esigenze vitali, gioco, ecc.) e rifletta con loro se, negli esseri umani, il linguaggio e la comunicazione assumono modalità e finalità specifiche, non presenti negli altri animali.

Discutiamone insieme: Il docente di italiano o di filosofia guidi gli studenti nella parafrasi di una poesia, per evidenziare la differenza tra il linguaggio poetico (evocativo) e quello della comunicazione abituale (informativo). Li guidi poi nella discussione se il valore poetico del testo si trovi nell’uso di parole “speciali”, desuete, ricercate, oppure nell’uso di una struttura diversa da quella del linguaggio ordinario.

Approfondisci e rifletti: «Non esistono fatti, solo interpretazioni». Rifletti su questa affermazione di F. Nietzsche e sul rapporto tra linguaggio e realtà. I fatti sono soltanto una costruzione linguistica o la realtà vincola in qualche misura il nostro modo di parlare, comunicare, discutere ecc.?

Per approfondire
Dal Dizionario Interdisciplinare: 
Gaspare Mura, Ermeneutica
Michele Marsonet, Positivismo
Vittorio Possenti, Verità
voci tratte da DISF e INTERS
Pagine scelte: 
Opere influenti: 
Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni 1914-1916 (1922), a cura di Stefano Oliva
Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo (1960), a cura di Francesco Russo
Indicazioni bibliografiche: 

Opere in rapporto con il Percorso:

J. Austin, Come fare cose con le parole (1962)

J. Ladriere, L´articulation du sens (1984)

F. Barone, Il neopositivismo logico (1986)

R. Pititto, La fede come passione. Ludwig Wittgenstein e la religione (1997)

Altri documenti: 
Gottlob Frege, Sense and Reference (1892)
          
         

“Umanistico” e “scientifico” ai tempi della neuroscienza (2020), di A. Moro