I nuovi studi umanistici
Una volta stabilita la concezione complessa dell'umano, diventa possibile rigenerare l'umanesimo.
Si deve innanzitutto riaffermare il principale principio umanistico, che è il riconoscimento di ogni essere umano, chiunque sia, da ovunque venga, nella sua piena umanità.
Questo principio universale non era infatti stato universalizzato. I colonizzati, gli sfruttati, le donne erano considerati subumani o esseri infantili privi di accesso allo stadio adulto. Ancora oggi, centinaia di milioni di schiavizzati, sfruttati, manipolati, emarginati, ghettizzati, disprezzati vedono la loro umanità negata. Noi, oggi, dobbiamo fare di questo principio un principio universale concreto.
Per pervenirvi, si tratta di sviluppare una nuova cultura umanistica. Questi nuovi studi umanistici devono operare un'interconnessione feconda tra la cultura delle discipline umanistiche tradizionali (filosofia, letteratura e arti) e la cultura scientifica contemporanea.
Queste due culture sono oggi disgiunte a partire da un processo di separazione che si è sviluppato nel ventesimo secolo.
Le discipline umanistiche tradizionali sono fondate su testi letterari, poetici, filosofici, appartenenti alla cultura greco-latina classica, poi alla letteratura occidentale stessa: formano un sapere, sul mondo, sulla natura, sull'uomo, sulla società. Questo sapere costituiva per il "galantuomo" una cultura antropocosmologica che conteneva le conoscenze fondamentali sul destino dell'uomo e la natura del mondo.
Questo sapere è profano/laico, ma può sia completare il sapere religioso con conoscenze profane, sia contestarlo e divenire una base della laicità, sostituendo la teologia con gli studi umanistici profani, sia ancora, dopo l'esercizio corrosivo del dubbio e della critica, ritornare a Dio sottoponendo a critica la critica. Gli studi umanistici costituiscono dunque, allo stesso tempo, il campo in cui si affrontano la fede e il dubbio, le credenze, le idee.
La cultura greco-latina, che è alla radice degli studi umanistici, ha perduto progressivamente terreno a vantaggio della parte moderna, in cui si è sviluppato un settore "saggistico" al contempo parafilosofico e parascientifico, dove il dubbio critico e il razionalismo hanno trovato la placenta di cui si sono liberati nel corso del diciottesimo secolo.
Una tale cultura, come tutto ciò che è cultura, è dotata di generatività; i suoi testi non evaporeranno e non si dissolveranno nei fantasmi e nei sogni; contengono in se stessi orientamenti, norme, interdetti. Ora, l'orientamento principale è sicuramente la cultura della soggettività, l'aiuto all'introspezione e all’espressione: acquisire, sviluppare e affinare la propria sensibilità estetica, i propri sentimenti, nutrire con l'immaginario la poesia degli amori reali ecc. Ci sono dunque, a impregnare questi studi umanistici, regole d'azione, non solamente schemi estetici di gusto e schemi di conoscenza, ma anche modelli culturali (che orientano e determinano formazione, strutturazione, espressione dei sentimenti, sensibilità e personalità). Questa cultura migra dall'ambiente aristocratico a quello dell'individualismo borghese del diciannovesimo secolo.
Questi studi umanistici fioriti sul terreno dell'umanesimo rinascimentale diventano il terreno dell'umanesimo del diciannovesimo secolo, cioè della concezione che ha come origine e come scopo l'idea di uomo. Quest' umanesimo potrà allontanarsi dal vigore concreto delle materie classiche, fondandosi sull'idea astratta, deificata e reificata di uomo.
Parallelamente, il razionalismo spicca il volo; cessa di essere un atteggiamento critico verso la fede religiosa e le monarchie assolute e si pone come concezione veridica del mondo e dell'uomo e guida adeguata per l'azione; si espande in tutto il tessuto della società attraverso le molteplici forme della razionalizzazione (tecnica, burocratica ecc.).
Umanesimo rivolto al soggetto ("alla persona umana"), razionalismo rivolto all'organizzazione e all'azione assurgono all'apice della civiltà.
Rifiutati dalla cultura scientifica, gli studi classici si sono sempre più ristretti. Non potevano più fornire alcun sapere adeguato sul mondo, sulla natura, sulla vita; dispongono ancora di una sapienza profonda, di un tesoro considerevole di riflessioni sulla condizione umana (contrariamente all'opinione oggi diffusa, la nozione di uomo che si può trarre da autori classici come Montaigne e Rousseau, passando beninteso per Pascal, è ancora mille volte più ricca della dissoluzione dell'idea di uomo nell'empirico, nel sapere diviso per discipline, nell'oggettivismo sfrenato, nello storicismo - che conosce solo epoche storiche, non l'uomo -, nel sociologismo - che conosce solamente società, non l'uomo - nel marxismo dogmatico - che conosce solamente classi sociali, non l'uomo; è più ricca di quella che si può mutuare dall'antropologia moderna, che conosce solamente gli uomini delle società arcaiche, senza scrittura).
Per il momento, non si sono formati studi umanistici scientifici. La scienza dominante, al contempo per la scotomizzazione del soggetto, per l'iperformalizzazione e la frammentazione disciplinare, è incapace di inaugurare tali studi.
Benché alcune scienze, riformate nel ventesimo secolo, come la fisica delle particelle, abbiano abbandonato contemporaneamente il dogma del determinismo e quello del riduzionismo, benché siano comparse scienze nuove di carattere transdisciplinare, come l'astrofisica, le scienze della Terra e soprattutto l'ecologia, pochi scienziati concepiscono ancora la necessità di una scienza con coscienza di se stessa, vale a dire cosciente delle trasformazioni storiche, allo stesso tempo promettenti e pericolose, che il loro attuale progresso apporta alla specie umana.
Le scienze umane non possono formare nuovi studi umanistici: da una parte, sono incapaci di integrare quelli classici; dall'altra parte, queste scienze possono essere solo mutilate/ mutilanti, se si fondano sulle suddivisioni e sulle separazioni della scienza classica. Allo stato attuale, sono incapaci di formare una visione dell'uomo.
Quello che è necessario oggi è la formazione di nuovi studi umanistici. Ciò è ormai possibile sulla scorta dell'antropologia complessa che concepisce l'uomo, allo stesso tempo, come essere individuale, sociale, biologico, fisico.
E i nuovi studi umanistici, ossia la concezione dell'uomo nella sua pienezza complessa che comprenda la dimensione biologica e fisica, permettono di rinnovare il problema dell'umanesimo.
Eccoci, dunque, nel no man's land che era impossibile attraversare nel quadro del vecchio paradigma, dove non c'era comunicazione tra le due culture: ci sono ponti, passaggi, attraverso la piattaforma girevole dei nuovi studi umanistici, che consentono di far comunicare il sapere, il dovere, la volontà, cioè la scienza e l'azione.
La cultura scientifica e la cultura umanistica sono due culture di natura totalmente differente. La cultura degli studi umanistici è una cultura generale che consente di riflettere a partire dalle opere, tanto degli antichi, Eraclito, Platone, Lucrezio, quanto dei moderni, Montaigne, Pascal, Vico, Goe-the, Leopardi, sulla nostra condizione e sul nostro destino. La cultura scientifica è una cultura di specializzazione in cui le conoscenze sono divise; la capacità riflessiva vi risulta assente, salvo che nei grandi scienziati giunti al termine della loro carriera. Husserl aveva dimostrato molto bene, un secolo fa, come ci fosse un punto cieco nella conoscenza scientifica che la rende incapace di percepire sia il soggetto che fa la scienza sia l'avventura incontrollata di una scienza che ha prodotto, dopo Hiroshima, la capacità di annientamento dell'umanità.
Ma, pur essendo cieche su se stesse, le scienze ci hanno fornito conoscenze indispensabili ai nuovi studi umanistici. In effetti, ciò che ho enunciato sulla trinità umana è stato possibile solamente grazie a quel che le scienze fisiche, la biologia (Darwin e, dopo di lui, la genetica, la biologia molecola-re, l'etologia animale, l'ecologia) hanno prodotto da oltre un secolo. Il nostro Universo, la nostra vita, la nostra preistoria umana ci sono stati rivelati dalle conoscenze scientifiche.
Ora, l'assenza di comunicazioni tra le due culture fa sì che la cultura scientifica iperspecializzata sia priva della riflessività propria della cultura umanistica e che la cultura umanistica sia come un mulino che macina a vuoto fino a quando non gli arriva il grano delle conoscenze scientifiche. In altri termini, i nuovi studi umanistici devono includere i dati delle scienze, pur conservando le capacità riflessive e meditative che gli studi umanistici favoriscono.
Il Rinascimento era stata l'epoca straordinaria di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Giordano Bruno, Erasmo, spiriti grandiosi, transdisciplinari, policompetenti, allo stesso tempo artisti, filosofi, talvolta inventori, fisici, biologi, come Leonardo. Il pensiero del Rinascimento si applicava a collegare le conoscenze relative all'umano con le conoscenze sulla vita e sull'Universo. Era antropo-bio-cosmologico. Abbiamo bisogno oggi di un rinascimento del Rinascimento, nutrito dalle conoscenze scientifiche che le discipline hanno prodotto in seguito, soprattutto a partire dal diciannovesimo secolo.
La conoscenza complessa dell'umano fonda i nuovi studi umanistici. Questa conoscenza associa i dati delle scienze (naturali e umane) e quella degli studi umanistici. Consente di concepire l'umanità secondo un'antropo-bio-cosmologia.
Questi nuovi studi umanistici rappresentano una delle due basi cognitive dell'umanesimo rigenerato.
La ragione sensibile, aperta e complessa
La ragione sensibile e complessa è l'altra base cognitiva dell'umanesimo rigenerato.
Come abbiamo visto, bisogna rinunciare alla riduzione della conoscenza e dell'azione al calcolo e bisogna ripudiare la ragione fredda, che obbedisce incondizionatamente alla logica formale. Non solo bisogna seguire l'assioma: «Niente ragione senza passione, niente passione senza ragione» la nostra ragione deve sempre essere sensibile a tutto ciò che colpisce gli uomini.
Ancor di più: la ragione sensibile deve comprendere in sé l'amore. L'amore è la più intensa e la più bella relazione intersoggettiva conosciuta. L'amore nell'umanità trascende le relazioni tra individui, irriga il mondo di idee, dà linfa all'idea di verità, che non è niente senza l'amore della verità; è il solo complemento possibile della libertà, senza cui la libertà diventa distruttiva. L'amore deve essere introdotto in un rapporto indissolubile e complesso con il principio di razionalità. Deve costituire una componente viva di questa nuova razionalità.
La razionalità può essere solo complessa. Non potrebbe ridursi al razionalismo, concezione secondo la quale tutto il reale è intelligibile razionalmente. Questa intelligibilità si fonda sulla coerenza delle idee, ottenuta attraverso l'obbedienza alla logica classica: deduzione, induzione, esclusione della contraddizione.
La razionalità complessa sa che ci sono realtà che sfuggono all'intelligibilità razionale. Conosce i limiti dell'induzione (Popper) e quelli della deduzione (Gödel)." È consapevole che ogni grande progresso nella conoscenza arriva a contraddizioni. È consapevole che la logica è uno strumento di verifica utile per verità settoriali e circoscritte all'ambito di ricerca, ma che gli strati profondi della realtà le sfuggono.
Come abbiamo visto in Le idee: «Occorre abbandonare ogni speranza non soltanto di arrivare a una descrizione logico-razionale del reale, ma anche e soprattutto di fondare la ragione sulla logica. Nessuna logica capace di definire le condizioni formali della verità può determinare i criteri di verità o il senso del concetto di verità. Non possiamo mantenere il legame rigoroso (rigido, in realtà) tra logica, coerenza, razionalità e verità, quando si sa che una coerenza interna può essere razionalizzazione (delirio)». [1]
La razionalità complessa che, attraverso il suo movimento, collega le conoscenze collega ciò che è umano alla vita, alla natura, al pianeta, all'Universo. È apertura sul mondo.
La razionalità complessa è cosciente delle perversioni proprie della ragione: la razionalizzazione e la ragione strumentale.
La razionalizzazione edifica concezioni logiche a partire da premesse inesatte o arbitrarie. La ragione strumentale mette la razionalità al servizio dei poteri oppressivi e mortiferi.
Infine, l’ insufficienza della logica ci conduce a legare la razionalità alla ricerca di meta-punti di vista. Ci risulta da Tarski che la verità o falsità degli enunciati di un linguaggio richiedono sempre un linguaggio di ordine superiore, o metalinguaggio, per definire la verità e la falsità degli enunciati nel linguaggio divenuto oggetto. Ci risulta da Gödel che esistono proposizioni vere che non possono essere provate nel sistema al quale appartengono, ma che possono essere provate da un meta-sistema. Ci risulta da Popper che una proposizione empiricamente provata può essere provvisoriamente o localmente vera. La verità razionale e la vera razionalità dipendono, dunque, da meta-punti di vista plausibili e critici, e non da un sistema che sarebbe al contempo empiricamente provato (limiti popperiani) e logicamente assicurato (limiti gödeliani). Dal che discendono due conseguenze decisive: la vera razionalità riconosce i suoi limiti ed è capace di trattarli (meta-punti di vista), dunque di superarli in un certo senso, pur riconoscendo un al di là non razionalizzabile.
Infine, non possiamo più dissociare dalla ragione ciò che è allo stesso tempo, a-razionale, infra-razionale, iper-razionale: l'amore. L'amore, che come prima origine ha le attrazioni fisiche, come prima emergenza vivente il rapporto che si instaura tra la bocca del piccolo mammifero e il seno della propria madre, l'amore che è un rapporto soggetto oggetto che non può essere totalmente oggettivato o soggettivato, ma che è oggettivamente il rapporto intersoggettivo più intenso che si conosca, l'amore che nel suo mito è "conoscenza" (l’"essi si conobbero" biblico), l'amore che nell'umanità va oltre i rapporti tra individui, irriga il mondo di idee, dà linfa all'idea di verità che non è nulla senza l'amore della verità, l'amore è indissociabile dalla più elevata complessità; come ho detto prima, dev'essere anche la sola comunicazione che riesca a impedire a ciò che è ipercomplesso di disintegrarsi nel disordine; è il solo complemento possibile della vera libertà, senza cui la libertà diventa distruzione. L'amore dev'essere presentato in un rapporto inestricabile e complesso con il principio di razionalità. Deve costituire una componente di questa nuova razionalità.
Conoscendo i propri limiti, la razionalità complessa è apertura al mistero del mondo.
Vediamo, dunque, delinearsi i caratteri della nuova ragione sensibile, amante, aperta, incerta, vivente, aporetica, complessa, antirazionalizzatrice. La Ragione non guiderà più: bisognerà guidare la ragione perché essa possa guidare. È vano sperare in un vero progresso dell'uomo e della società senza un lavoro di rinnovamento profondo della ragione da parte della ragione. Come nota Cornelius Castoriadis, la trasformazione della società, che il nostro tempo esige, si rivela inseparabile dall'autosuperamento della ragione.[2]
L'umanesimo rigenerato comporta di per sé una razionalità rigenerata ed è ormai capace di evitare le miopie e gli accecamenti di una razionalità ristretta e chiusa.
Edgar Morin, L'avventura del metodo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023, pp. 160.