L’oggettività della scienza

Fisico e matematico, Poincaré (1854-1912) è stato anche un fine teorico, capace di imprimere un segno rilevante nel campo dell’epistemologia. Nelle pagine che riportiamo di seguito, tratte dal volume Il valore della scienza (1905), l’autore si interroga sulla validità delle teorie scientifiche e sull’oggettività cui esse possono aspirare. Contro ogni forma di scetticismo e di idealismo, Poincaré indica nella natura intersoggettiva del sapere la principale garanzia di oggettività della scienza: in questa prospettiva, la condivisione di contenuti intelligibili con i nostri simili attraverso il medium del linguaggio, vale a dire la comprensione reciproca, costituisce la prima condizione di accesso a una realtà stabile, ovvero alla comprensione del mondo. D’altra parte Poincaré indica con chiarezza qual è l’oggettività cui può aspirare la scienza: in quanto sistema di classificazione, essa mira a stabilire la verità di un insieme di rapporti e non ha la pretesa di conoscere l’intima realtà della natura delle singole cose. Viene così avanzata una concezione relazione di verità che, delimitando l’ambito entro cui si svolge la ricerca scientifica, allo stesso tempo ribadisce la ragionevole pretesa di oggettività della scienza.

Eccomi quindi alla questione sollevata dal titolo di questo volume: qual è il valore oggettivo della scienza e, innanzitutto, cosa dobbiamo intendere per oggettività?

Ciò che ci garantisce l’oggettività del mondo in cui viviamo è il condividerlo con altri esseri pensanti. Attraverso la comunicazione con i nostri simili riceviamo da essi ragionamenti completi; sappiamo che provengono da fuori di noi e nello stesso tempo vi riconosciamo l’opera di esseri ragionevoli simili a noi. E poiché tali ragionamenti sembrano applicarsi al mondo delle sensazioni, crediamo di poter concludere che questi esseri ragionevoli hanno visto le stesse cose viste da noi e non abbiamo fatto un sogno.

È questa la prima condizione dell’oggettività: ciò che è comune a più menti e, di conseguenza, ciò che può essere trasmesso dall’una all’altra. Essendo poi questa trasmissione possibile solo attraverso il “discorso” che ispira tanta sfiducia a Le Roy, siamo obbligati a concludere che senza discorso non esiste alcuna oggettività.

Le sensazioni altrui costituiranno per noi un mondo eternamente chiuso. Per esempio non ho alcun modo di verificare che la sensazione da me chiamata “rosso” equivalga a ciò che il mio vicino chiama “rosso”.

Supponiamo che una ciliegia e un papavero producano su di me la sensazione A e sui di lui la sensazione B e che, al contrario, una foglia produca su di me la sensazione B e sui di lui la sensazione A. È chiaro che non ne verremo mai a capo: io chiamerò rossa la sensazione A e  verde la sensazione B, mentre egli chiamerà la prima verde e la seconda rossa. In compenso quello che possiamo constatare è che tanto in lui quanto in me la ciliegia e il papavero producono la stessa sensazione, poiché sia lui che io assegniamo lo stesso nome alle sensazioni provate.

Le sensazioni sono quindi intrasmissibili, o piuttosto tutto ciò che in esse è qualità pura resterà perennemente intrasmissibile e impenetrabile, mentre la stessa cosa non accade per le relazioni tra le sensazioni.

Da questo punto di vista tutto ciò che è oggettivo è sprovvisto di ogni qualità e non è che pura relazione. Non arriverò certo ad affermare che l’oggettività è solo pura quantità (sarebbe particola rizzare troppo la natura delle relazioni in questione), ma si può comprendere chi è arrivato ad affermare che il mondo è solo un’equazione differenziale.

Pur avendo delle riserve su quest’ultima affermazione paradossale, dobbiamo nondimeno ammettere che è oggettivo solo ciò che è trasmissibile e di conseguenza che solo le relazioni tra le sensazioni possono avere un valore oggettivo. […]

È oggettivo solo quello che è identico per tutti, ma si può parlare di una simile identità solo se il confronto è possibile e se può essere tradotto in “moneta di scambio” trasmissibile da una mente all’altra. Avrà un valore oggettivo solo ciò che sarà trasmissibile per mezzo del “discorso”, ossia intellegibile. […]

Cos’è la scienza? L’ho spiegato nel paragrafo precedente: è innanzitutto una classificazione, un modo di collegare eventi che le apparenze separavano nonostante fossero legati da qualche parentela naturale e nascosta. La scienza in altri termini è un sistema di relazioni. Come abbiamo appena detto, solo nelle relazioni deve essere ricercata l’oggettività; sarebbe vano ricercarla negli esseri considerati isolati gli uni dagli altri.

Dire che la scienza non può avere valore oggettivo perché ci fa conoscere solo i rapporti, significa ragionare alla rovescia visto che proprio i rapporti sono gli unici a poter essere considerati oggettivi.

Per esempio gli oggetti esterni per i quali è stato inventato il termine oggetto, sono appunto oggetti e non apparenze fuggevoli ed impercettibili, in quanto non sono gruppi di sensazioni, ma gruppi cementati a un legame costante. Questo legame è l’unico a costituire in essi l’oggetto, ed è un rapporto.

Chiedersi quale sia il valore oggettivo della scienza non significa chiedersi se la scienza ci fa conoscere l’autentica natura delle cose, ma se ci fa conoscere gli autentici rapporti delle cose.

Alla prima domanda nessuno esiterebbe a rispondere no; ma credo che si possa andare oltre: non soltanto la scienza non può farci conoscere la natura delle cose, ma nulla è in grado di darci questa conoscenza e, se un dio la conoscesse, non potrebbe trovare le parole per esprimerla. Non soltanto non possiamo indovinare la risposta, ma se ci venisse rivelata, non capiremmo nulla. Mi chiedo persino se capiamo bene la domanda.

Quando dunque una teoria scientifica pretende di insegnarci cosa sia il calore, l’elettricità o la vita, essa è condannata in partenza; tutto quello che ci può dare è solo un’immagine grossolana. È quindi provvisoria e caduca.

Eliminata la prima domanda, resta la seconda. Può la scienza farci conoscere gli autentici rapporti delle cose? O invece ciò che avvicina dovrebbe essere separato e ciò che separa dovrebbe essere avvicinato?

Per capire il significato della nuova domanda occorre far riferimento a quanto detto prima sulle condizioni dell’oggettività. Hanno questi rapporti un valore oggettivo, ossia sono essi gli stessi per tutti? Saranno ancora gli stessi per coloro che verranno dopo di noi? […]

Si dirà che la scienza è solo una classificazione e che una classificazione non può essere vera, ma solo comoda. Ma è certo vero che essa è comoda, è vero che lo è non solo per me, ma per tutti gli uomini; è vero che resterà comoda per i nostri discendenti; è vero infine che tutto ciò non può essere solo per caso.

Riassumendo, la sola realtà oggettiva sono i rapporti tra le cose da cui risulta l’armonia universale, anche se certamente questi rapporti e questa armonia non potrebbero essere concepiti al di fuori di una mente che li concepisce o che li sente come propri. Sono nondimeno oggettivi perché sono, diverranno e resteranno comuni a tutti gli esseri pensanti.

   

Da J.H. Poincaré, Il valore della scienza, Dedalo, Bari 1992, pp. 189-195.