Sull’istruzione letteraria conveniente agli ingegneri: l’ideale di unità del sapere in Quintino Sella (1860)

Quintino Sella (1827-1884), generalmente noto come il ministro delle “economie fino all’osso” e della “tassa sul macinato”, oltre a distinguersi nel risanamento delle finanze dell’Italia appena unita fu una personalità estremamente poliedrica: ingegnere minerario (laureatosi presso l’École des mines di Parigi) dalla completa formazione umanistica, professore di geometria e mineralogia, inventore e scienziato di vaglia (è considerato tra i padri della cristallografia matematica), deputato e ministro in più governi, instancabile organizzatore e promotore di cultura (oltre a molte scuole e istituzioni fu tra i fondatori del CAI), viaggiatore poliglotta (fu tra i pochissimi dell’élite dirigente del tempo a conoscere inglese e tedesco).

All’inizio del 1860, appena trentaduenne, l’allora ingegnere del Corpo reale delle miniere, docente e scienziato, da poco nominato componente della Commissione per il riordinamento degli studi universitari (agosto 1859) e del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (dicembre 1859), fu chiamato dal neo ministro della Pubblica Istruzione, Terenzio Mamiani, a far parte della Commissione creata per la riforma dell’istruzione tecnica alla luce dell’impellente necessità di modernizzare il Paese sulla scia delle grandi potenze europee.

In una relazione datata 27 aprile 1860 – che secondo Carlo G. Lacaita «costituisce una delle maggiori espressioni della cultura italiana del tempo in materia di istruzione e insieme l’esposizione più organica delle idee che Quintino Sella elaborò sul tema dell’istruzione tecnica» – il futuro statista si trova a un certo punto a esporre il proprio pensiero circa la formazione degli ingegneri di più alta levatura. E nel far questo esprime in tre punti (i nn. 23-25, rispettivamente rubricati «Sull’istruzione letteraria conveniente agli ingegneri», «Poca utilità degli studii tecnici inferiori per gli Ingegneri laureati» e «Sull’opportunità di richiedere la conoscenza della lingua latina dagli studenti di Matematica nelle Università») alcune idee circa l’unità del sapere – ideale fatto proprio e promosso sin dagli anni giovanili – che appaiono tuttora attuali e di grande interesse, anche al di fuori dell’originario contesto espositivo.

23. Sull'istruzione letteraria conveniente agli ingegneri

Si è molto discusso, e la disputa si è fatta da qualche tempo più viva che mai, sul grado di istruzione letteraria conveniente agli ingegneri. Si vorrebbe da parecchi che al corso di Matematica dell'Università ed al successivo dottorato in Matematica pura, e al dottorato in Matematica applicata si potesse anche pervenire non solo dalle scuole classiche ma ben anco dalle tecniche inferiori analoghe a quelle qui descritte nella seconda categoria. Si dice infatti che le lettere latine e la filosofia non hanno importanza alcuna per gli ingegneri, e che quindi inutile torna il far loro consumare tanto tempo in così fatti studii. Si aggiunge poscia che le nozioni tecniche e matematiche acquistate nelle scuole inferiori molto gioveranno allo studio della Matematica superiore.

Sopra codesta quistione io credo che se si tratta di fare Ingegneri civili, i quali intendano dedicarsi a modesti servizi presso i privati, che nelle scienze null'altro scorgano se non strumenti talvolta utili alla pratica, che infine niun altro scopo si propongano se non di trarre il più presto possibile i più grossi guadagni possibili dall'esercizio dell'arte dell'ingegnere, quel che si dice della inutilità degli studii letterarii è vero. Ed io ne sono sì persuaso che propongo quelle scuole di terza categoria in cui si facciano Ingegneri i quali non solo ignorino il Latino e la Filosofia, ma neppure non abbiano ad approfondire, né l'Analisi finita, né la infinitesimale, né la Meccanica razionale, né l'alta Geodesia di cui i nove decimi non giovano alla pratica di Ingegneri di tal fatta meglio della lettura di Virgilio o di Platone. Ma opinione ben diversa io porto ove si tratti di ingegneri di un ordine più elevato come i dottori in Matematica applicata od ingegneri laureati dei quali noi ragioniamo.

 

24. Poca utilità degli studii tecnici inferiori per gli Ingegneri laureati

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Quintino Sella anno 1827-1884. Fu ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia nel 1872.

Infatti, io credo anzitutto che la istruzione tecnica quale si può impartire a giovani in tenera età e nelle scuole inferiori sia recisamente inutile agli Ingegneri laureati, anzi che sia loro di qualche danno. Nelle scuole inferiori debbonsi in verità insegnare elementi di varie dottrine, ma rapidissimamente, e non badando al coordinamento razionale e scientifico delle loro parti, ma dando a questo uno sviluppo puramente proporzionale alla utilità delle loro applicazioni. Ora che razza di luce possono queste nozioni sommarie portare nella mente di chi intende approfondire le dottrine a cui si riferiscono? Che cosa farà di incompletissimi cenni di meccanica, e di macchine, quegli che imprende a studiare estesamente la meccanica razionale, la teorica delle macchine, la cinematica, la costruzione delle macchine e simili? Quale vantaggio possa ritrarre dalla imperfetta conoscenza di pochi fenomeni chimici quegli il quale intende frequentare la elevata scuola di un Piria, ed attendere  poscia lungamente in un laboratorio a fare saggi ed analisi, veramente io non so vedere.

Temo anzi che gli allievi riportino dalle scuole inferiori metodi di dimostrazione ed investigazione attissimi all'indole delle medesime, ma imperfetti e non convenienti a più elevato insegnamento nel quale bisogna poi anzitutto dar opera a distruggere le abitudini dianzi contratte. È poi indubitato e dimostrato dall'esperienza che le cose parecchie volte ripetute vengono facilmente a nausea degli allievi e tolgono loro la più bella delle soddisfazioni che nello studiare si abbia, quella cioè di imparare cose nuove. Gli inconvenienti di queste ripetizioni sono sì grandi che ben spesso se ne ode muover lagnanza dai migliori maestri. Ed io non dubito che se la Signoria Vostra Illustrissima interroga in proposito tutti i professori delle facoltà di scienze fisiche e matematiche, tutti risponderanno col motto di uno dei più grandi matematici del secolo, cioè di Gauss, Pauca sed matura; tutti diranno che preferiscono allievi colti, vale a dire ben edotti nello studio delle lettere, ad allievi infarinati della crusca delle scienze che stanno trattando.

 

25. Sull'opportunità di richiedere la conoscenza della lingua latina dagli studenti di Matematica nelle Università

Opino, in secondo luogo, che ad un ingegnere, il quale si rivolge ad una superiore carriera non importa meno la coltura letteraria, che la scientifica e la tecnica. Ei deve infatti saper vestire le proprie idee a voce e per iscritto in guisa che riescano accette, debbe saperle ordinare per modo, che riescano a tutti chiare, debbe saperle allargare ed ampliare in guisa da tener conto non solo dei fatti tecnici, ma ben anco di tutte le quistioni sociali a cui toccano. Ora io non ho bisogno di dire alla Signoria Vostra Illustrissima, che in tali cose è maestro di cui l'Italia si onora, come a riescire in tale intento la coltura letteraria e filosofica sia indispensabile.

La lingua latina è quella che più specialmente si prende di mira in questa crociata antiletteraria. Per certo ed i metodi con i quali si usava esporla, e il ceto di persone che solo ne fa oggidì quotidianamente uso, non possono a meno di aver eccitata in Italia una profonda avversione contro questa lingua. Ma venendo al fatto nostro vuolsi premettere che le lettere latine sono indispensabili a chi intende essere versato nelle italiane, e posso quindi accertare la Signoria Vostra Illustrissima che ogni Ingegnere il quale si rimpiange d'aver studiata la lingua dei suoi padri è tal persona a cui nulla cale della storia delle scienze che ha coltivate, e di quella dell'arte che esercita, cui non sta a cuore il ravvivare talvolta al sacro fuoco dei classici l'animo ed il cuore inariditi dalla trivialità degli affari. Vi sono ingegneri i quali non solo non abbisognano di latino, ma che, dopo lasciata l'Università, più non aprirono un libro di Matematica tantoché si vantano di non saper più adoprare le tavole dei logaritmi, e che considerano come perduta ogni ora la quale non sia spesa a far danari, ma non è certo alle tendenze di queste persone che la Signoria Vostra Illustrissima Intende conformare gli alti studii di Matematica sì pura che applicata.

Per poco che uno si occupi di storia di una scienza o di un'arte, per poco che egli voglia approfondirne qualche brano, la conoscenza della lingua latina gli torna indispensabile. Infatti non è ancora un secolo che gran parte delle memorie scientifiche erano scritte in latino, e vi sono ancora oggidì scienze per le quali il latino è la sola lingua adoprata, per cui non è possibile il risalire di molto gli annali di una scienza, purché non sia di origine recentissima, senza cadere in trattati latini.

Sia pure un pregiudicio ed un’anticaglia questa del latino, ma è un’anticaglia che non solo si conserva in tutte le Università del mondo, ma che tende oggidì piuttosto ad estendersi che a ristringersi. Nella Scuola politecnica pel passato non si faceva motto di latino, si voleva un'istruzione detta di fatti e non di parole: ora si è invece riconosciuto quanto importino le nozioni letterarie, e per essere ammessi vuolsi essere baccellieri in scienze, cioè a dire sapere interpretare Cicerone, Cesare, Sallustio, Tacito, Virgilio ed Orazio. Ora vorremo noi, figli primigeniti dei latini, infrangere per i primi questo vincolo che lega gli scienziati di tutto il mondo alla razza latina? lo nutro ferma fiducia che mentre l'Italia si avvia alla prisca grandezza non avverrà che gli studenti delle Università italiane e i dottori che ne escono siano ignari della lingua dei loro padri, mentre sono in essa versati gli studenti delle Università teutoniche, slave, finniche, scandinave ed angliche; che mentre regge la pubblica istruzione chi ha contribuito all'incremento delle glorie letterarie e scientifiche dell'Italia vogliansi far qui dottori in Matematica i quali non sappiano leggere le opere di Newton, di Keplero, di Eulero, e di tutta la coorte dei sommi, che il Plana chiama enfaticamente i santi padri della Matematica.

Non intendo certo dedurre da questi ragionamenti che agli allievi delle Scuole tecniche inferiori debbano irremissibilmente chiudersi le porte dell'Università, poiché nulla è più lontano dall'animo mio che sì illiberale idea. Vorrei solo che ove qualcuno di tali allievi intenda accedere agli studii ed ai gradi universitarii, oltre all'esame di ammissione cui vanno soggetti gli allievi delle Scuole classiche, debba (e non gli sarà molto difficile se avrà impegno e buon volere) dar prova di avere le nozioni di letteratura italiana e latina e di filosofia, che si richieggono a conseguire la licenza liceale. Mi pare insomma che non si dovrebbe onorare alcuno del titolo di studente universitario se non ha l'istruzione letteraria e scientifica, che s'impartisce nei licei.

 

Fondazione Sella onlus – Biella, «Carte Quintino Sella», serie «Attività scientifica», minuta della relazione a T. Mamiani datata 27 aprile 1860 e intitolata «Ordinamenti dell’istruzione tecnica», integralmente pubblicata in C. G. Lacaita (a cura di), Un inedito di Quintino Sella sull'ordinamento dell'istruzione tecnica, in «Rivista milanese di economia», Milano, Cariplo - Laterza, luglio-settembre 1991, n. 39, pp. 118-140 (i nn. 23-25 si trovano alle pp. 134-136)