L'origine del sistema planetario e le cause dei suoi movimenti

Chi studia la figura di Immanuel Kant sente citare spesso la sua "teoria della formazione del sistema solare", conosciuta talvolta anche come "Teoria di Kant-Laplace". In cosa consiste davvero questa teoria e perché tiene uniti nel titolo un filosofo e un matematico? Kant la espone nella sua Storia universale della natura e teoria del cielo, ove tratteggia, appunto, l’ipotesi di formazione del sistema solare che qui riportiamo. Laplace ne suggeririrà una simile, qualche decennio dopo. Kant la espone in modo intuitivo e piuttosto approssimativo. Laplace la correda di una impostazione relativa alla matematica del suo tempo. Kant intende superare la visione di Newton secondo la quale, in presenza di uno spazio vuoto senza alcuna forza applicativa, la formazione di corpi celesti rotanti attorno al sole sembrava rivelare l’esistenza di un’energia iniziale, esterna al sistema, dovuta all’azione di Dio. Il filosofo di Königsberg parte da una semplice considerazione che qui riportiamo: «Nell'attuale costituzione dello spazio, nel quale ruotano le sfere dell'intero mondo planetario, non si trova alcuna causa materiale che possa generare o indirizzare i loro movimenti. Questo spazio è perfettamente vuoto, o almeno è come se lo fosse; quindi un tempo, doveva essere costituito in maniera diversa e riempito di una materia capace di trasmettere il movimento ai corpi celesti che si trovavano in esso, di accordarli al proprio e, di conseguenza, anche tra loro; poi l'attrazione ha ripulito questo spazio e ha raccolto in determinate masse la materia in esso diffusa: ora, quindi, i pianeti, in virtù del movimento che fu loro impresso, devono proseguire liberamente e senza mutamenti il loro corso in uno spazio che non oppone alcuna resistenza». Seguendo questa intuizione, egli ipotizza che il sistema solare sia nato come una nube di particelle disperse, soggiacenti ad una reciproca attrazione gravitazionale che le facesse muovere e scontrare, lasciando alle forze chimiche il compito di tenerle legate tra loro. La progressiva formazione di aggregati sempre più grandi di particelle consentì una loro più rapida crescita, dando origine ai pianeti. Mentre per Kant le particelle sarebbero state delle irregolarità presenti nell’atmosfera del sole, secondo Pierre-Simon Laplace esse corrispondevano ad elementi di materia appartenenti alla stessa “nube primordiale” dalla quale si sarebbe formato il sole. Poiché Kant non aveva una grande conoscenza della fisica o della matematica, non riconobbe i limiti intrinseci del suo approccio, in particolare dover fornire una spiegazione del momento angolare posseduto dai pianeti in rotazione, cosa che invece prevedeva il modello rotatorio del matematico francese.

 

Un esame dell'universo, condotto in vista delle reciproche relazioni delle sue parti e della causa da cui queste relazioni derivano, presenta due lati ugualmente probabili e convincenti. Se da un lato si considera che sei pianeti accompagnati da dieci satelliti descrivono orbite intorno al Sole come loro centro, muovendosi tutti nello stesso senso che è lo stesso del Sole, il quale governa tutte le loro orbite mediante la forza d'attrazione, che tali orbite non deviano molto da un piano comune, costituito dal prolungamento del piano equatoriale del Sole; che i corpi celesti situati nelle regioni più lontane del sistema solare - dove la comune causa del movimento sembra non esser stata tanto forte come vicino al centro - hanno dato luogo a deviazioni da quei precisi rapporti in proporzione al venir meno della forza d'impulso; se, ripeto, si tiene conto di tutto ciò, allora si è indotti a credere che un'unica causa, qualunque essa sia, abbia esercitato un medesimo influsso, senza alcuna eccezione, su tutta l'estensione del sistema, e che la concordanza del senso delle orbite planetarie e della loro posizione sia una conseguenza della relazione comune che tutti i pianeti devono aver avuto con quella prima causa materiale che li ha posti in moto.

Ma d'altra parte, se consideriamo lo spazio in cui i pianeti del nostro sistema effettuano le loro orbite, scopriamo che esso è completamente vuoto [1] e privo di ogni materia che possa causare un influsso comune su questi corpi celesti e avere come effetto la concordanza dei loro movimenti. Questa circostanza a provata da con tale certezza che supera, se possibile, la stessa probabilità di ciò che si è detto prima, Per questa ragione, Newton non ha potuto ammettere alcuna causa materiale che, estendendosi nello spazio dell'edificio planetario, possa sostenere la comunanza di movimenti. Egli quindi affermò che tale ordine era stato prodotto immediatamente dalla mano di Dio, senza alcuna applicazione delle forze della natura.

Una considerazione imparziale di questi argomenti deve riconoscerli entrambi saldi e indubitabili. Ma è altrettanto chiaro che vi deve essere una concezione in cui questi due argomenti apparentemente in contrasto possono e debbono essere riuniti, e che il vero sistema va cercato in essa. Vediamola in breve. Nell'attuale costituzione dello spazio, nel quale ruotano le sfere dell'intero mondo planetario, non si trova alcuna causa materiale che possa generare o indirizzare i loro movimenti.

Questo spazio è perfettamente vuoto, o almeno è come se lo fosse; quindi un tempo, doveva essere costituito in maniera diversa e riempito di una materia capace di trasmettere il movimento ai corpi celesti che si trovavano in esso, di accordarli al proprio e, di conseguenza, anche tra loro; poi l'attrazione ha ripulito questo spazio e ha raccolto in determinate masse la materia in esso diffusa: ora, quindi, i pianeti, in virtù del movimento che fu loro impresso, devono proseguire liberamente e senza mutamenti il loro corso in uno spazio che non oppone alcuna resistenza. Le ragioni addotte in precedenza conducono senz'altro a questa concezione, e poiché tra i due casi non se ne dà un terzo essa può essere considerata con un'approvazione molto più alta di quella che si concede a un'ipotesi verosimile. Se si volesse essere più prolissi e precisi, si potrebbe procedere attraverso una serie di deduzioni, secondo il metodo della matematica, e arrivare, con tutto lo sfoggio di ragionamenti che ciò comporta e con uno sfarzo insolito per la fisica, alla stessa concezione dell'origine dell'universo che andrò esponendo; tuttavia, preferisco presentare le mie opinioni in forma di ipotesi e lasciare che il lettore giudichi da sé la loro consistenza, poiché temo che mediante una dimostrazione accattivante renderei sospetta la loro validità, e così, per conquistare il consenso del profano, finirei per perdere quello dell'esperto.

Assumo, dunque, che tutte le materie di cui consistono le sfere, le comete e tutti i corpi che appartengono al nostro sistema solare fossero dissolte in origine nel loro materiale di base e occupassero l'intero spazio in cui adesso ruotano i corpi formatisi da esse. Questo stato della natura, anche se non lo si considera in vista di un sistema, ma in sé e per sé, sembra essere il più semplice che sia potuto seguire al nulla. Allora non c'era ancora niente di formato. La formazione dei corpi celesti a una determinata distanza l'uno dall'altro, le loro distanze proporzionate alle forze d'attrazione, la loro configurazione derivante dall'equilibrio della materia raccoltasi, appartengono tutti a uno stato successivo.

La natura, immediatamente dopo la creazione, era il più possibile grezza e informe. E tuttavia anche nelle proprietà essenziali degli elementi che formano il caos è rintracciabile il segno della perfezione che deriva dalla loro stessa origine, in quanto il loro essere è una conseguenza dell’idea eterna dell'Intelletto divino. Le proprietà più semplici e universali, che sembrano ideate senza un'intenzionalità; la materia, che appare meramente passiva e bisognosa di forme e di ogni ordine, posseggono, pur nella loro semplicità, una tendenza a organizzarsi in una struttura perfetta mediante uno sviluppo del tutto naturale. Ma la varietà dei generi degli elementi contribuisce in maniera determinante al movimento della materia e all'organizzazione del caos, sia rompendo la quiete che, nel caso di un'omogeneità universale degli elementi dispersi, regnerebbe indisturbata, sia iniziando a dar forma al caos in quei punti dove si concentrano particelle dotate dell'attrazione più forte. I generi di questo materiale di base, a giudicare dalla smisuratezza che caratterizza la natura in tutti i suoi aspetti, sono senza dubbio infinitamente vari. Quegli elementi dotati di una densità specifica e di una forza d'attrazione maggiori, che occupano quindi già di per se stessi uno spazio minore, essendo anche meno frequenti, a parità di distribuzione nello spazio cosmico saranno maggiormente dispersi di quelli più leggeri. Elementi di peso specifico mille volte maggiore sono mille e forse anche milioni di volte più dispersi di quelli altrettanto più leggeri. E poiché bisogna concepire questa differenza come il più possibile infinita, allora così come può esistere un genere di particelle materiali che nella loro massa superano in densità quelle di un altro genere - di quanto una sfera descritta nel raggio del sistema planetario supera un'altra che ha per diametro un millesimo di linea - allo stesso modo gli elementi del primo genere superano in distanza quelli del secondo genere.

In uno spazio cosi riempito la quiete universale dura un attimo soltanto, Gli elementi sono dotati di forze essenziali capaci di porli in movimento, e sono essi stessi fonte di vita. Subito la materia tende a prender forma. Gli elementi dispersi di genere più denso raccolgono intorno a se, mediante l'attrazione, la materia di peso specifico minore che li circonda; poi, con la materia che si sono annessi, si raccolgono in quei punti dove si trovano particelle ancora più dense; queste a loro volta dove si trovano particelle ancora più dense, e così via. Così come è possibile concepire questa natura che si va formando attraverso l'intero regno del caos, parimenti è facile riconoscere che il risultato di questo processo alla fine consisterà nella costituzione di varie masse, le quali dopo il completamento della loro formazione, per un equilibrio dell'attrazione, potrebbero entrare in quiete e rimanere immote per sempre.

Ma la natura possiede altre forze di riserva, che si manifestano specialmente quando la materia è diluita in particelle sottili, inducendo queste ultime a respingersi reciprocamente, e producendo, mediante il loro conflitto con l'attrazione, quel movimento che in certo qual modo costituisce la vita perenne della natura. Mediante tale forza di repulsione, che si manifesta nell'elasticità dei gas, negli efflussi dei corpi odorosi e nell'espansione di tutte le materie volatili - e che è un fenomeno della natura indiscusso - gli elementi che cadono verso i loro punti d'attrazione vengono deviati dal proprio moto rettilineo, così che la loro caduta verticale si trasforma in un moto rotatorio intorno al centro. Al fine di comprendere con chiarezza la formazione dell'universo, vogliamo spostare la nostra attenzione dall'insieme infinito della natura a un sistema limitato, ossia a quello che appartiene al nostro sole. Dopo che avremo esaminato lo sviluppo di questo sistema determinato, procederemo in modo simile per investigare l'origine degli ordini cosmici superiori, e potremo cosi comprendere, in un'unica concezione, il creato in tutta la sua infinità.

Se quindi in uno spazio molto vasto si può trovare un punto in cui gli elementi esercitano un'alterazione più forte che altrove, allora in cui materiale di base delle particelle elementari diffuso in quello spazio o a dia su di esso. Il primo effetto di questa caduta generale è la formazione, in questo punto centrale di attrazione, di un corpo, il quale, per cosi dire, da un seme infinitamente piccolo cresce molto velocemente, ma nella misura in cui questa massa aumenta, aumenta anche la forza con cui attira a sé le particelle che la circondano. Quando la massa di questo corpo centrale si è tanto accresciuta che la velocità con cui vengono attratte le particelle poste a grandi distanze - mediante la deviazione laterale dovuta alla debole repulsione che tra le particelle funge da reciproco ostacolo - dà luogo a movimenti laterali che, a causa della forza centrifuga, sono in grado di descrivere un'orbita intorno al corpo centrale, allora si producono grandi vortici di particelle, ciascuna delle quali, per la composizione della forza d'attrazione con l'impulso laterale, descrive una linea curva; tali linee si intersecano laddove la loro grande dispersione nello spazio glielo consente. Ora, questi movimenti che si oppongono l'un l'altro in diverse materie sono tesi a portarsi in uno stato di equilibrio reciproco, a raggiungere cioè uno stato in cui un movimento sia il meno possibile di impedimento a un altro. Ciò accade, in primo luogo, in quanto le particelle, finché non procedono tutte in una stessa direzione, limitano vicendevolmente i loro movimenti; e, in secondo luogo, in quanto esse non cessano di ostacolare a vicenda il loro moto di caduta verticale - mediante il quale si avvicinano al centro d'attrazione - finché, muovendosi tutte orizzontalmente - cioè in orbite parallele che ruotano tutte intorno al Sole come centro - non cessano di intersecarsi, in modo da mantenersi costantemente in orbita a un'altezza determinata, mediante l'equilibrio tra la forza d'impulso e quella di caduta; tutto ciò fa sì che alla fine, in tutto lo spazio, restano sospese solo quelle particelle che, per la loro velocità di caduta e per la direzione ottenuta mediante l'opposizione delle altre, possono compiere liberi movimenti orbitali. In queste condizioni, poiché tutte le particelle, per la forza d'impulso ottenuta, si muovono intorno al corpo centrale in unica direzione e in cerchi paralleli - cioè in liberi movimenti orbitali - ogni urto o reciproco ostacolamento degli elementi viene a cessare e la loro influenza reciproca è ridotta al minimo. Queste sono le conseguenze naturali a cui deve giungere una materia sottoposta a movimenti che si oppongono. È quindi chiaro che molte delle innumerevoli particelle disperse devono ottenere, mediante la resistenza che esercitano le une sulle altre, quelle precise condizioni che consentono loro di raggiungere quello stato di equilibrio; tuttavia, ancora più numerose sono le particelle che non lo raggiungono e che, non potendo mantenersi sospese a un'altezza determinata, servono soltanto ad accrescere l'agglomerato del corpo centrale sul quale cadono; infine, poiché esse passano per le orbite delle particelle sottostanti, a causa della resistenza di queste ultime perdono ogni movimento. Ora, il corpo che costituisce il centro dell'attrazione, il quale è diventato il più importante del sistema planetario per la quantità di materia che vi si è raccolta, è il Sole, sebbene esso non possegga ancora quell'incandescenza fiammeggiante che si produrrà sulla superficie dopo la sua formazione completa.

Bisogna ancora rilevare che siccome tutti gli elementi della natura in formazione ruotano - come si è visto - in una stessa direzione intorno al Sole come centro e percorrono orbite parallele aventi un asse comune, la materia più sottile non potrà compiere movimenti di questo tipo; infatti, secondo le leggi del moto centrale, ogni moto di rivoluzione deve passare per il centro d'attrazione con il piano della propria orbita; ma fra tutte queste orbite che ruotano in una stessa direzione intorno a un asse comune ve ne è una soltanto che passa per il centro del Sole, perciò tutta la materia disposta da ambo i lati di quest'asse immaginario tende verso quel piano circolare che, in virtù del suo asse di rotazione, tocca esattamente il centro comune di caduta. Questo cerchio è il piano di riferimento intorno a cui ruotano tutti gli elementi sospesi che, addensandosi il più possibile intorno a esso, lasciano vuote le zone più lontane; infatti, quegli elementi che non riescono ad avvicinarsi abbastanza al piano verso cui tutto tende non riescono nemmeno a mantenersi sospesi nelle loro posizioni, per l’urto con gli altri elementi che ruota. pin sospensione, finiscono per cadere definitivamente sul Sole.

Se, dunque, i primi elementi di questo materiale di base della materia del mondo che ruotano in sospensione vengono considerati a questo loro stato, raggiunto mediante l'attrazione e il susseguirsi meccanico delle leggi generali della resistenza, allora vediamo uno spazio compreso tra due piani non troppo distanti tra loro ed equidistanti dal piano generale di riferimento, uno spazio che, a partire dal suo centro - il Sole - si estende in lontananze ignote; al suo interno tutte le particelle, ciascuna in proporzione alla sua altezza e all'attrazione cui è soggetta, ruotando liberamente descrivono determinate orbite, di modo che, in questa costituzione, ostacolandosi il meno possibile tra loro, manterrebbero sempre la stessa altezza, se però l'attrazione reciproca di queste particelle di materiale di base non iniziasse ad esercitare la sua azione e in tal modo non provocasse nuove formazioni, che sono il seme dei futuri pianeti. Infatti, mentre gli elementi che si muovono intorno al Sole in orbite parallele, presi quasi alle stesse distanze dal Sole, per l' uguaglianza dei loro movimenti paralleli, si trovano pressoché in uno stato di quiete reciproca, l'attrazione di alcuni di questi elementi dotati di una forza specifica superiore, qui esercita subito un'azione considerevole, [2] che porta le particelle più vicine a raccogliersi e a formare un corpo, il quale, man mano che la sua massa aumenta, estende sempre più il suo raggio d'attrazione, e per accrescersi ancora mette in moto gli elementi più lontani.

La formazione dei pianeti in questo sistema, fra tutte quelle possibili, poggia innanzitutto su questa concezione: l'origine delle masse è simultanea all'origine dei pianeti e alla posizione delle orbite; in tal modo si chiariscono subito sia la concordanza, sia le deviazioni rispetto alle strema precisione di questo sistema. I pianeti si formano da particelle che, all'altezza in cui sono sospese, si muovono esattamente in orbite circolari: quindi le masse da esse composte seguiranno proprio i medesimi movimenti, sia nel grado che nella direzione. Ciò è sufficiente a capire perché i movimenti dei pianeti sono più o meno circolari e perché le loro orbite si dispongano su di un unico piano. Sarebbero perfettamente circolari [3] se lo spazio, da cui hanno tratto gli elementi per la loro formazione, fosse molto piccolo e, di conseguenza, la differenza fra i loro movimenti fosse insignificante. Ma quando la formazione della massa di un pianeta è dovuta al materiale di base sottile, disperso in uno spazio celeste molto ampio, la differenza delle distanze dal Sole e, di conseguenza, quella delle loro velocità, non è più trascurabile: affinché il pianeta conservasse l'equilibrio tra la forza centrale e la velocità rotatoria, malgrado questa differenza di movimenti, sarebbe necessario che le particelle provenienti da diverse altezze, e dotate di movimenti diversi, compensassero a vicenda le proprie imperfezioni - il che, in una certa misura, avviene effettivamente[4] - e tuttavia, poiché questa compensazione non è perfetta, ne consegue l'abbandono del movimento circolare e l'eccentricità dell'orbita. Diventa altrettanto chiaro il fatto che sebbene le orbite di tutti i pianeti dovrebbero trovarsi su uno stesso piano, esse presentano tuttavia delle piccole deviazioni anche in questo senso, poiché, come si è già detto, le particelle elementari, pur trovandosi il più vicino possibile al piano principale dei loro movimenti, formano nondimeno su entrambi iati di esso uno spazio di un certo spessore; sarebbe stato un caso davvero fortunato se tutti i pianeti avessero cominciato a formarsi proprio nel mezzo di questi due lati, sul piano stesso di riferimento; il che pero sia consentirebbe una certa inclinazione reciproca delle orbite, sebbene la tendenza delle particelle a limitare e più possibile e da ambo i lati questa deviazione le lascerebbe un margine molto ristretto. Non c'è da stupirsi di non incontrare, qui come altrove, una precisione perfetta nelle cose della natura, perché la molteplicità dei fattori implicati in ogni condizione della natura non consente una regolarità assoluta.

 



[1] Non mi pongo in questa sede il problema se lo spazio possa essere considerato vuoto in senso assoluto. Qui basti notare che tutta la materia che si potrebbe rinvenire in esso non sarebbe comunque sufficiente a esercitare un’azione di rilievo sulle masse in movimento di cui si occupa.

[2] Il principio dei pianeti in formazione non è da rintracciare soltanto nell'attrazione newtoniana. Questa sarebbe troppo debole e lenta per particelle così sottili. È meglio dire che, in questo spazio, la prima formazione avviene per il concorrere di elementi che si uniscono secondo le leggi ordinarie della combinazione, finché quegli agglomerati che ne scaturiscono non diventano grandi abbastanza da consentire alla forza d'attrazione newtoniana di esercitare un'azione a distanza capace di accrescerli.

 [3] Questo movimento circolare perfetto è peculiare soltanto dei pianeti vicini al Sole: infatti, alle grandi distanze in cui si sono formati gli ultimi pianeti o anche le comete è facile intuire che, essendo il movimento di caduta del materiale di base assai più debole, e più ampio lo spazio in cui tale materia si trova dispersa, gli elementi devino già di per se stessi dai movimenti circolari; questa deve essere anche la causa del comportamento dei corpi che da essi si sonoformati.

[4] Infatti, le particelle che provengono da zone più vicine al Sole, e che posseggono una velocità di rotazione superiore a quella delle particelle che si trovano nel luogo in cui avviene la formazione del pianeta, compensano la mancanza di velocità delle particelle più lontane dal Sole, che vengono incorporate in quello stesso pianeta, per poterle far ruotare alla distanza in cui il pianeta si trova.

 

I. KANT, Storia Universale della natura e teoria del cielo, Bulzoni Editore, Roma 2009, pp. 81-87.