Sagesse et illusions de la philosophie, PUF, Paris, 1965
L’autore
Jean Piaget (Neuchâtel 1896 - Ginevra 1980) è tra i nomi più rilevanti della psicologia del Novecento. I suoi studi si sono concentrati in particolar modo sulla psicologia infantile, di cui ha teorizzato l’evoluzione attraverso stadi di sviluppo successivi: senso-motorio (0-2 anni), preoperatorio (2-7) anni, delle operazioni concrete (7-12 anni), delle operazioni formali (intorno ai 12 anni). I suoi studi sull’evoluzione cognitiva del bambino danno corpo a una nuova disciplina, l’epistemologia genetica, di cui Piaget è considerato il fondatore: nel 1955, a Ginevra, dà vita infatti al Centre International d'Epistémologie Génétique, di cui sarà direttore fino alla morte.
Laureatosi in scienze naturali, consegue un dottorato in zoologia, dedicandosi poi allo studio della psicologia e della psichiatria. Le sue ricerche e i suoi impegni accademici si svolgono prima in Svizzera, presso l’Istituto Jean-Jacques Rousseau di Ginevra, l’Università di Neuchâtel e l’Università di Ginevra, e successivamente a Parigi, presso la Sorbona (1952), dove va a occupare la cattedra precedentemente ricoperta dal filosofo Maurice Merleau-Ponty, nel frattempo chiamato al Collège de France. Insieme ad altre circostanze, questo avvicendamento tra il filosofo e lo psicologo determinano alcune riflessioni sul rapporto tra scienza e filosofia, e sui limiti delle due discipline, esposte compiutamente da Piaget nel volume Saggezza e illusioni della filosofia (1965).
Il contenuto dell’opera
In particolare, la riflessione sui rapporti tra scienza e filosofia sorge per Piaget dal conflitto ravvisato tra psicologia filosofica e psicologia sperimentale, vale a dire tra le teorizzazioni dei filosofi in merito a problemi riguardanti, ad esempio, la coscienza e le ricerche empiriche, soggette a verifica sperimentale, sullo sviluppo cognitivo. Nell’introduzione al volume, composto da cinque capitoli (I. Storia e analisi di una de conversione; II. Scienza e filosofia; III. Il falso ideale di una conoscenza sovrascientifica; IV. Le ambizioni della psicologia filosofica; V. I filosofi e il problema dei fatti), Piaget espone sinteticamente l’articolazione del suo saggio:
[…] mi è sembrato indispensabile fornire al lettore gli elementi necessari per poter giudicare in tutta libertà il punto di vista dell’autore, e a questo fine ho consacrato il primo capitolo a una confessione, o meglio al racconto dettagliato della de conversione che ha condotto un ex futuro filosofo a diventare uno psicologo. […] Dopo questa analisi di una esperienza personale, il capitolo II cercherà di precisare i rapporti tra le scienze e la filosofia. Cercherà di ricordare che, da un lato (la cosa è banale ma è troppo spesso dimentica) i più grandi sistemi della storia della filosofia sono tutti nati da una riflessione sulle scienze o da progetti rendenti possibili nuove scienze. […] Ma contro questa scissione inevitabile della filosofia in una metafisica (la quale non è che una “saggezza” o una fede ragionata ma non una conoscenza), e in un certo numero di discipline ricercanti la conoscenza e divenute indipendenti, è insorta una corrente ideologica […] [che] ha voluto restituire alla filosofia un modo di conoscenza specifico e di natura tale che lo si potrà chiamare, secondo le posizioni di ognuno, sovrascientifico o parascientifico. Il valore di una tale orientazione sarà esaminato nel capitolo III, e in particolare si discuterà la validità di quella forma di conoscenza costituita dalla “intuizione”, nei suoi aspetti (d’altra parte contraddittori fra loro) bergsoniano e fenomenologico. Poi, il problema della possibilità di una conoscenza specificamente filosofica e parascientifica potrà essere messo in evidenza su di un esempio particolare e particolarmente istruttivo: la psicologia cosiddetta filosofica, ma non quella dei grandi filosofi della storia, anteriore all’apparizione di una psicologia scientifica, bensì quella che ha voluto esplicitamente costituirsi in modo parallelo, a completamento e in sostituzione di quest’ultima. Il capitolo IV esaminerà la questione del valore e della legittimità di questa serie di tentativi, iniziata con Maine de Biran […] che oggi fa capo a Sartre e Merleau-Ponty. Finalmente il capitolo V tratterà un problema che può sembrare secondario ma che invece è centrale nei riguardi della nostra tesi: quello del diritto di abbordare una questione di fatti per mezzo di una discussione puramente riflessiva (pp. 12-13).
Da questa sinossi si evincono alcuni caratteri distintivi della riflessione condotta da Piaget. In primo luogo, emerge la dimensione personale e l’impegno, vissuto concretamente nella sua vita di studioso, per il progresso della scienza. Il dialogo con la filosofia, che Piaget concepisce come «una “saggezza” indispensabile agli esseri razionali al fine di coordinare le diverse attività dell’uomo» (p. 9) e come «una presa di posizione ragionata sulla totalità del reale» (p. 52), costituisce una costante nel percorso intellettuale dell’autore, che racconta la sua giovanile adesione al bergsonismo e la sua progressiva conversione alla psicologia scientifica, fino alla fondazione dell’epistemologia genetica.
Un secondo aspetto da mettere in luce è che, secondo Piaget, la scienza e la filosofia sono distinte per contenuti, obiettivi, metodologie e limiti disciplinari ma allo stesso tempo non costituiscono due linee parallele né due campi del tutto irrelati tra loro. I sistemi filosofici più influenti infatti, da Aristotele a Cartesio e Leibniz, fino a Kant e a Hegel, non hanno esitato a dialogare con la scienza del loro tempo, in alcuni casi rendendo possibile la nascita di nuove discipline scientifiche, che gradualmente si sono rese autonome dalla matrice speculativa che le aveva preconizzate: «le più grandi dottrine della storia della filosofia sono tutte nate da una riflessione sulla possibilità di una scienza già costituita o semplicemente anticipata» (p. 71).
Un simile intreccio tra filosofia e scienza non deve porre in ombra la profonda differenza di ordine epistemologico tra le due discipline: Piaget infatti pone in questione il luogo comune secondo cui il ‘sapere filosofico’ sarebbe concepibile come una forma specifica di conoscenza. Se da un lato è proprio il rapporto costante con la scienza a indurre in errore, inducendo a credere che anche la filosofia costituisca una conoscenza della verità, dall’altro lato l’equivoco è anche alimentato da una autocomprensione della filosofia come conoscenza sovrascientifica, irriducibile alle diverse discipline scientifiche perché in realtà superiore e architettonica. Nella Francia della prima metà del XX secolo questo equivoco è ben incarnato, secondo Piaget, dalle pretese della filosofia di Henri Bergson, dall’esistenzialismo di Jean Paul Sartre o dalla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty: in simili casi, nota l’autore, la filosofia tende a eccedere i propri limiti – quelli di una “saggezza” capace di coordinare valori – e ad arrogarsi una funzione di supervisione sul lavoro della scienza, fino a spingersi in alcuni (sfortunati) casi a pronunciarsi sulla validità delle teorie scientifiche (come, ricorda Piaget, fece Bergson rifiutando la relatività einsteiniana).
Il rapporto tra scienza e filosofia
Piaget condensa in questo modo la propria riflessione sul rapporto tra scienza e filosofia:
[…] la funzione metafisica, propria alla filosofia, conduce ad una saggezza ma non ad una conoscenza, perché consiste in una coordinazione ragionata di tutti i valori, compresi i valori cognitivi, che però essa oltrepassa senza rimanere sul piano della sola conoscenza. Si può sostenere d’altra parte, senza esagerare però, che tutto quello che è stato prodotto di valido dai filosofi sul terreno della conoscenza, e lungi da noi il volerne contestare l’immensa importanza, è stato dovuto sia ad una riflessione su scienze già costituite o in via di costituzione, sia a iniziative fortunate che anticipavano la possibilità di scienze ancora da costituirsi, come testimonia la storia delle idee che hanno seguito i loro lavori. Invece, il solo modo di conoscere invocato a titolo di strumento specifico proprio alla filosofia, cioè l’intuizione, appare come un ibrido, che si rivela all’analisi composto da due componenti ancora indifferenziate: l’esperienza e l’inferenza deduttiva (p. 129).
Il vero obiettivo polemico di Piaget è quella che chiama «intuizione epistemica», ovvero quella presunta intuizione che, secondo i filosofi assertori di una conoscenza sovrascientifica, garantirebbe un superiore accesso alle verità, ricercate empiricamente dalle scienze sperimentali. Ma, sostiene Piaget, quando si ha a che fare con la ricerca della verità, si deve fin dove possibile produrre prove e protocolli di verifica, vale a dire bisogna confrontarsi con i fatti. Ed è proprio su questo terreno che la filosofia e la scienza divergono, in primo luogo da un punto di vista metodologico: laddove la prima si affida all’introspezione, la seconda pretende di confrontare le proprie ipotesi con dati oggettivi che confermino o meno le teorie avanzate. Un caso emblematico di questa divaricazione tra approccio scientifico e approccio filosofico riguarda «le ambizione della psicologia filosofica» e dei suoi principali esponenti: Maine de Biran, Bergson, Sartre e Merleau-Ponty. Quattro autori che, in maniere diverse, sono accomunati dal ricorso a una forma di introspezione che, secondo Piaget, è meno esplicativa dei fenomeni studiati dalla psicologia scientifica e più rivelativa delle forti personalità degli autori stessi.
In conclusione, tuttavia, Piaget non rifiuta di riconoscere la rilevanza della filosofia né ne sminuisce l’importanza antropologica ma cerca di ristabilirne il valore all’interno del suo preciso ambito di validità e, per fare ciò, ricorre al pensiero di Karl Jaspers, filosofo e psichiatra di cui, pur non condividendo le tesi metafisiche, riconosce la fecondità della riflessione proprio in merito al ruolo della filosofia. Intesa come saggezza capace di coordinare credenze e valori, la filosofia non è mai possesso della verità ma ne è l’incessante ricerca. Per questo in filosofia non si dà vero e proprio progresso, come invece nel campo della ricerca scientifica, dal momento che la sua saggezza non si costituisce in una vera e propria conoscenza, pur rimanendo fecondamente in dialogo con le diverse discipline e i loro saperi.
Conclusioni
Le osservazioni presentate da Piaget costituiscono un interessante documento della dimensione propriamente filosofica che può assumere la riflessione degli uomini di scienza. L’autore compie una duplice operazione: da un lato tende a sottolineare la differenza tra due ambiti disciplinari la cui confusione conduce a indesiderati inconvenienti, come l’indebita commistione tra valutazione e verificazione (o in altri termini si potrebbe dire tra valori e fatti); dall’altro lato, egli però non arriva a recidere i legami tra filosofia e scienze, mettendo anzi in evidenza il modo in cui lungo la storia i due campi si sono fecondati a vicenda. Naturalmente la filosofia ha avuto soprattutto all’inizio un ruolo fondativo e in qualche modo ha propiziato il sorgere di diverse discipline propriamente scientifiche in senso moderno. Ma le scienze, a loro volta, hanno stimolato la filosofia a comprendere meglio se stessa, la propria vocazione e i propri limiti. In questo senso la definizione data da Piaget, secondo cui la filosofia sarebbe una forma di saggezza indispensabile ma limitata alla coordinazione di valori, cioè incapace di costituirsi come conoscenza, non intende umiliare la speculazione filosofica ma appunto la vuole ricondurre al suo ambito proprio. Quando infatti la filosofia pretende di porsi sullo stesso piano o perfino al di sopra delle scienze, credendo di riuscire a rivendicare per sé una maggiore dignità, finisce in realtà per misconoscere la propria natura fronetica e l’alto compito di coordinazione di credenze e valori. Ciò naturalmente non la priva del carattere razionale che la tradizione filosofica, fin da Platone, ha riconosciuto come proprio tratto distintivo, né dispensa i filosofi dal far riferimento costante alla verità. Soltanto, afferma Piaget rievocando le parole di Jaspers, la verità per la filosofia non è un possesso ma un cammino. E d’altra parte il progresso delle scienze, con il graduale accumulo di nuove conoscenze, pone la filosofia di fronte al compito sempre nuovo di armonizzare le cognizioni acquisite con i valori, le convinzioni etiche, le risonanze affettive e le condotte pratiche che costituiscono il terreno entro cui si inscrive la forma di vita umana. Il fatto dunque che Piaget rifiuti alla filosofia il carattere di ‘conoscenza’ non deve essere letto come una difesa di posizioni riduzioniste o scientiste ma piuttosto come sprone a riscoprire il proprium della filosofia. Si tenga presente inoltre come una riflessione sullo statuto epistemologica della filosofia proprio in quegli anni in Francia fosse avvertita con particolare urgenza: oltre ai già citati Sartre e Merleau-Ponty, che Piaget critica aspramente dimostrando al contempo di dedicare alle loro opere grande attenzione, e oltre agli apprezzamenti rivolti a Gaston Bachelard, ricordiamo ad esempio la riflessione di Georges Bataille su L’esperienza interiore (titolo della sua opera del 1943) e sulla nozione di ‘non-sapere’, poi fatto oggetto di critica da parte dello psicoanalista Jacques Lacan. Tutto ciò a testimonianza di un vivace dibattito intellettuale sul ruolo e sulle funzioni della filosofia che, sebbene con accenti diversi, costituisce anche oggi un interessante campo di confronto tra visioni alternative.
Bibliografia
Jean Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia. Caratteri e limiti del conoscere filosofico, Einaudi, Torino 1969 [ed. or. 1965].
Piaget, Jean, in “Enciclopedia Italiana Treccani”, https://www.treccani.it/enciclopedia/jean-piaget
Emilio Gattico, Jean Piaget, Bruno Mondadori, Milano 2001.
Ulrich Müller, Jeremy I. M. Carpendale, Leslie Smith (eds), The Cambridge Companion to Piaget, Cambridge UP, 2009.