Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la verité dans les sciences, in "Oeuvres de Descartes" a cura di C. Adam e P. Tannery, Cerf, Paris 1902, pp. 1-78. Nuova ed. a cura di B. Rochot e P. Costabel, Vrin, Paris 1965.
Discorso sul metodo, in "Opere filosofiche", a cura di E. Lojacono, UTET, Torino 1994, vol. I, pp. 487-553.
L'opera: concezione e struttura
Nella notte fra il 10 e l'11 novembre del 1619 René Descartes (1596-1650) fa tre sogni ai quali attribuisce le caratteristiche di una vera e propria illuminazione divina, tanto che, per rendere grazie a Dio di essere stato oggetto di tanta benevolenza, fa voto di recarsi in pellegrinaggio a Loreto. Cartesio - questo il nome latinizzato del grande filosofo francese - , deluso da un lungo periodo di studi trascorso presso il collegio dei gesuiti di La Flèche, uno dei maggiori e più celebri centri culturali dell'Europa del tempo (ma la sua delusione riguardò soprattutto i contenuti e non i maestri e neppure i metodi che non smise mai di apprezzare), era alla ricerca di un sapere che lo soddisfacesse e di una conoscenza libera dalle vecchie incrostazioni manualistiche: i sogni testimoniano proprio l'inventum mirabile di una scienza meravigliosa e dei suoi fondamenti. La prova più importante e più eloquente di questa vicenda onirica è costituita dal Discorso sul metodo, redatto da Cartesio come introduzione ai tre Saggi fisico-matematici sulla Diottrica, le Meteore e la Geometria, e pubblicato presso l'editore Maire di Leida l'8 giugno del 1637. Si tratta di uno dei più famosi e celebrati scritti filosofici di tutti i tempi, nel quale molti ravvisano addirittura l'atto di nascita del pensiero moderno.
Il Discorso, sebbene assai breve, venne suddiviso dall'autore stesso in sei parti, che qui sembra opportuno riassumere, per poi passare all'evidenziazione delle questioni più significative contenute nell'opera. Nella prima parte, Cartesio, facendo ampie concessioni all'autobiografia, sviluppa una decisa critica della cultura del suo tempo, quella con la quale era venuto in contatto a La Flèche e che, sostanzialmente, coincideva con la filosofia e la teologia della Scolastica: ai suoi occhi tale sapere appariva astratto, incerto, condizionato da innumerevoli dispute e, perciò, inutile; insoddisfatto dunque della sua preparazione, egli - come si legge nel Discorso - ritenne opportuno dedicarsi ai viaggi per fare esperienza diretta degli uomini e del mondo. Ma anche questa attività non sortì i risultati sperati e allora il Nostro decise di riflettere su se stesso e di impiegare tutte le forze del suo ingegno a scegliere il cammino da seguire. Al tempo stesso, in questa ricerca di fondamenti e di certezze, Cartesio comincia a manifestare in modo esplicito la sua predilezione per le matematiche, dalle quali egli attingerà a piene mani per elaborare il suo pensiero filosofico e che tanto influiranno sulla sua visione dell'uomo e del mondo. Scrive nella Parte Prima del Metodo: «Mi interessavo soprattutto alla matematica, per via dell'evidenza e della certezza delle sue ragioni; ma non ne afferravo ancora la vera funzione e, supponendo che servisse solo alle arti meccaniche, mi stupivo che su basi tanto stabili e salde non si fosse costruito qualcosa di più importante».
Il metodo e le sue regole
Nella seconda parte, il progetto cartesiano si precisa: bloccato dall'inverno in Germania - in quel momento egli militava nell'esercito di Massimiliano di Baviera, e durante i mesi invernali non si combatteva - , il filosofo, al termine di lunghe e approfondite riflessioni, ritiene che sia giunto il momento di liberarsi dalle ipoteche della vecchia cultura e di elaborare un nuovo metodo che assommi in sé i grandi pregi dei procedimenti della logica, della matematica e della geometria che brillano per il loro rigore e la loro precisione. Dovrà essere un metodo chiaro e semplice, basato su pochissime regole, che, alla fine, verranno ridotte a quattro: l'evidenza, l'analisi, la sintesi e l'enumerazione. La regola dell'evidenza impone di accettare per vero solo ciò che si presenta perfettamente chiaro e distinto, evitando ogni pressappochismo e ogni precipitazione. L'analisi serve per scomporre le questioni complesse in parti più semplici, ovvero più adatte a essere affrontate e risolte. La sintesi è il procedimento opposto, ma ugualmente necessario, e consiste nel partire da ciò che è più elementare per risalire sino al problema, per ricostituirlo nella sua interezza e coglierlo in tutta la sua complessità. Infine, la regola dell'enumerazione prevede che ogni procedimento venga adeguatamente verificato, affinché ci si possa sincerare di non aver omesso niente e di aver compiuto correttamente tutti i passaggi necessari. Cartesio è convinto che questo metodo possa avere un'amplissima applicazione e che perciò sia possibile estenderlo al di là della matematica, di cui è peculiare, a tutte le altre scienze e alla stessa filosofia: egli informa comunque il lettore di aver deciso di realizzare questo ampliamento soltanto in un secondo momento, quando il suo cammino nella vita e nel sapere sarà più avanzato (a questo proposito, non bisogna dimenticare che Cartesio narra di aver avuto l'intuizione del metodo all'età di ventitré anni).
La terza parte del Discorso è dedicata all'etica. Cartesio, alla ricerca di certezze, sa che ciò non deve paralizzare completamente la sua vita: dunque, egli enuncia tre regole che costituiranno la bussola del suo comportamento, in attesa di poter giungere a un chiarimento definitivo anche in campo morale. La prima di queste massime consiglia a Cartesio di attenersi alle leggi e ai costumi del proprio paese e di accettare la religione tramandatagli dalla tradizione; la seconda gli fa scegliere di essere risoluto e determinato nelle scelte e nelle azioni; la terza lo ammonisce a non voler cambiare il corso delle cose bensì se stesso, rinunciando a inutili e velleitarie battaglie contro la fortuna e l'ordine del mondo per concentrarsi piuttosto nella ricerca dell'autodominio e della padronanza di sé.
Cogito, ergo sum: il fondamento della conosceza nella metafisica cartesiana
La quarta sezione del Discorso sul metodo è quella filosoficamente più rilevante: essa si presenta come un breve compendio delle concezioni metafisiche cartesiane. In essa troviamo il Nostro alle prese con il celebre dubbio iperbolico che rappresenta la premessa necessaria di quella reale rifondazione della conoscenza che tanto gli stava a cuore: è necessario dubitare di tutto per avere la certezza di non accogliere acriticamente qualcosa di sbagliato; ma è il dubbio stesso a rassicurare Cartesio della prima e fondamentale certezza, perché chi dubita pensa, e chi pensa non può dubitare di esistere: cogito, ergo sum (penso, dunque sono) afferma il filosofo, ormai convinto di aver trovato la certezza basilare sulla quale potrà ricostruire l'intero edificio della conoscenza. A questo punto egli fa un passo ulteriore, e afferma di essere una sostanza pensante (res cogitans), dato che l'unica sicurezza gli è data proprio dalla realtà del suo pensare; una sostanza pensante che è del tutto distinta dal corpo (res extensa) e la cui evidenza gli appare inconfutabile e assai più chiara e distinta di quella della sua stessa corporeità. Inoltre, quel dubbio grazie al quale è stata raggiunta l'evidenza del pensiero, testimonia che l'uomo è imperfetto; eppure - nota Cartesio - nella mia mente di uomo imperfetto c'è l'idea di perfezione che dunque non può che provenirmi da Colui che è la perfezione stessa, ovvero da Dio. A questa prova dell'esistenza di Dio, Cartesio ne aggiunge altre due: la prima, sempre collegata all'argomento della perfezione, poggia sul fatto che soltanto Dio può aver dato l'esistenza all'uomo, il quale, altrimenti, si sarebbe creato conforme all'idea di perfezione che pur possiede. L'ultima prova addotta nel Discorso per dimostrare l'esistenza di Dio ricalca il celebre argomento ontologico di Sant'Anselmo e, in estrema sintesi, afferma che l'idea di Dio come essere perfettissimo include l'esistenza, perché, in caso contrario, a Dio verrebbe a mancare proprio uno degli attributi fondamentali della sua perfezione. Per Cartesio, il fatto di aver provato che Dio esiste comporta una conseguenza di incalcolabile valore sul piano della conoscenza: d'ora in poi sappiamo che i criteri fondamentali del metodo sono validi, perché Dio non può averci ingannato. Il Dio cartesiano diventa così il primo garante dell'umano conoscere fondato sull'evidenza.
La quinta parte del Discorso sul metodo è dedicata a questioni di fisica: Cartesio presenta al lettore una sintesi del suo studio inedito Il mondo o trattato della luce , in cui sono esposte teorie fisiche (sulla luce) e astronomiche, nonché dottrine riguardanti il corpo umano, il quale, supposto privo dell'anima razionale, può essere considerato niente di più che una macchina e studiato come tale. Agli occhi del filosofo francese, uomini e animali, colti nella loro dimensione fisica, sono soltanto degli automi. Il che, ovviamente, non deve far dimenticare l'eccellenza del pensiero e della ragione che innalzano l'uomo ben al di sopra di tutte le altre realtà naturali.
Nella sesta e ultima parte del suo scritto, Cartesio spiega di non aver pubblicato il trattato su Il mondo a causa della condanna formale del copernicanesimo (1633) sostenuto da Galileo: egli temeva infatti che l'autorità ecclesiastica avrebbe potuto trovare nella sua opera qualcosa di non conforme all'ortodossia religiosa. Egli afferma inoltre di essere stato combattuto tra il rendere di dominio comune le sue scoperte filosofico-scientifiche e il non farlo, specialmente a motivo dell'amore da lui nutrito per la quiete, che avrebbe potuto essere messa a rischio da un'eccessiva pubblicità data alle sue dottrine. Alla fine, però, il Nostro opta per una via di mezzo e fa stampare il Discorso e i tre saggi su la Diottrica , le Meteore e la Geometria , disponibile a recepire obiezioni e consigli di chi fosse stato veramente interessato alle problematiche da lui affrontate in quelle opere. Il Discorso si chiude con la riaffermazione da parte dell'autore della propria irrinunciabile vocazione di scienziato.
Una rivoluzione filosofica
Il Discorso sul metodo non è l'opera maggiore di Cartesio, né sotto il profilo filosofico né sotto quello scientifico: eppure è la più nota e celebrata, perché, se la si considera in una prospettiva storica, essa ha rappresentato una decisiva cesura, annunciando una vera e propria rivoluzione nel campo del sapere ed esercitando un notevolissimo influsso sul posteriore sviluppo della filosofia.
L'interesse principale di Cartesio era la scienza, in particolare quella medica, in virtù della quale egli sperava di riuscire a prolungare indefinitamente la vita dell'uomo (si pensi che un giornale di Anversa, dando la notizia della sua morte, lo definì uno sciocco che si era vantato di poter vivere quanto voleva!). All'interno del suo grande progetto speculativo, la filosofia avrebbe dovuto costituire la base sicura su cui costruire l'edificio delle scienze. Non casualmente, il metodo da lui elaborato ha le caratteristiche tipiche del procedimento scientifico, in particolare di quello matematico, e tutto il cartesianesimo appare in un certo senso dominato dal modello del sapere matematico-geometrico. Ma, come si è detto, il punto più rilevante del Discorso sul metodo è costituito dalla celebre dottrina del cogito: con essa Cartesio opera un autentico rovesciamento del pensiero classico che aveva subordinato la gnoseologia alla metafisica, ovvero il conoscere all'essere; con Cartesio, la filosofia diventa soprattutto dottrina della conoscenza e non più scienza dell'essere: non è più l'essere a fondare il pensiero, ma il pensiero a fondare l'essere; cogito ergo sum e non viceversa. E il pensiero è quello del soggetto pensante, tanto che si può affermare che con Cartesio ha avuto inizio il filone del moderno soggettivismo: è vero che la garanzia ultima della veridicità della conoscenza, e perciò anche del pensiero, viene trovata in Dio; ma è stato notato che è pur sempre la ragione, ben condotta secondo le regole del metodo, a costituire l'unico strumento in possesso dell'uomo per poter procedere nel cammino della vita e del sapere. Dio garantisce l'attività della ragione, la quale resta però nelle mani dell'uomo e di lui soltanto. Riassuntivo ed acuto, in proposito, il commento che ne fa Étienne Gilson: «Nessuno più di Descartes ha fatto di tutto per gettare un ponte che andasse dal pensiero alle cose, basandosi sul principio di causalità; ed è stato anche il primo a tentare un tale passaggio, poiché vi era obbligato una volta che aveva stabilito come punto di partenza della conoscenza l'intuizione del pensiero. L'esperienza cartesiana costituisce un'impresa metafisica mirabile, segnata dall'impronta del genio più puro: noi le siamo debitori in gran misura, non fosse altro che per aver provato in modo evidente che ogni impresa di tal fatta è condannata in partenza all'insuccesso» (Le réalisme méthodique, in "Philosophia perennis", Regensburg 1930, pp. 747-748).
Va infine ricordato che a partire dal Discorso sul metodo prende forma un'ulteriore, critica scissura. In esso è infatti contenuta l' affermazione di un netto dualismo fra pensiero ed estensione, fra res cogitans e res extensa che risultano radicalmente separate: si tratta di un'affermazione che avrà conseguenze enormi e che impegnerà a fondo i filosofi posteriori. Lo stesso Cartesio si trovò in difficoltà nello spiegare come tali due sostanze fossero unite nell'uomo e avanzò l'ipotesi (abbastanza avventurosa) che il loro contatto avvenisse nella "ghiandola pineale" posta al centro del cervello.
È stato Augusto Del Noce, uno dei maggiori e più acuti interpreti del cartesianesimo, a sostenere che nella filosofia cartesiana è possibile ritrovare una straordinaria quantità di suggestioni che ne autorizzano letture assai diverse tra loro: si è parlato, e ogni volta a ragione, di un Cartesio religioso, di uno laico, di uno idealista, di uno scientista e fisicista. A questo riguardo, Del Noce non esita a parlare di una ineliminabile enigmaticità del pensiero cartesiano, e con ciò sembra rendere perfettamente ragione allo stesso filosofo che ebbe a descriversi come uno che "avanza mascherato" (larvatus prodeo). Fra i principali commenti all'opera di Cartesio va citato il lavoro di Étienne Gilson, René Descartes: "Discours de la méthode" (1925) (Vrin, Paris 1967; tr. it. Discorso sul metodo, La Nuova Italia, Firenze 1977) che ne analizza con perspicacia presupposti e conseguenze. In questo saggio, Gilson ha cercato di stabilire anche un confronto tra i princìpi metafisici di Descartes e quelli di Tommaso d'Aquino, segnalando la presenza, nel sistema cartesiano, di presupposti metafisici propri dalla Scolastica, ma sottolineandone anche le sostanziali divergenze.