L’autore
Formatosi a Oxford, poi professore di letteratura medievale e rinascimentale a Cambridge, Clive Staples Lewis (Belfast 1898 – Oxford 1963) proveniva da una famiglia anglicana ma abbandonòla fede durante l’adolescenza. In età adulta, grazie anche all’influenza dell’amico e collega J.R.R. Tolkien (autore del romanzo Il Signore degli anelli), si convertì al cristianesimo, non optando per il cattolicesimo professato dall’amico bensì per la confessione anglicana. Dopo la conversione, a partire dagli anni Trenta, iniziò una brillante carriera letteraria, pubblicando diverse opere di successo tra cui la “trilogia dello spazio” (composta dai volumi Lontano dal pianeta silenzioso, 1938,Perelandra, 1943, e Quell’orribile forza, 1945), Le lettere di Berlicche (1942) e il ciclo Le cronache di Narnia (1950-56). Accanto alla narrativa, Lewis coltivò con impegno anche la produzione saggistica, sempre mantenendo lo stile arguto e brillante, così come la forza immaginativa, che caratterizzano i suoi romanzi. Accanto a saggi di critica letteraria e storia della letteratura, su un piano non accademico Lewis affrontò questioni filosofiche e teologiche, dando vita a un originale esempio di apologetica cristiana contemporanea (The Problem of Pain, 1940; Miracoli. Uno studio preliminare, 1947; Il cristianesimo così com’è, 1952). In quest’ultimo ambito, di particolare rilievo è il saggio I quattro amori, pubblicato nel 1960 e nato dalla raccolta di alcune conferenze tenute da Lewis per la Episcopal Radio-TV Foundation di Atlanta in Georgia.
I temi dell’opera
Affetto, amicizia, eros e carità vengono presentati come le diverse declinazioni dell’amore (sulla base della più fondamentale distinzione tra un amore dovuto al bisogno e un amore capace di apprezzamento e di dono di sé), in una progressiva ascesa dal piano umano a quello divino. Come scrive l’autore nel primo capitolo, introduttivo, «qualsiasi affetto umano, al suo apice, tende a rivendicare a sé un’autorità divina, e la sua voce viene facilmente scambiata per la volontà stessa di Dio» (p.16). Invece, prosegue Lewis, «gli affetti umani possono essere gloriose immagini dell’amore divino; niente di meno, ma anche niente di più» (p. 18). Occorre dunque conoscere le diverse forme dell’amore e addentrarsi nella loro dettagliata fenomenologia per non incorrere nell’errore di assolutizzare un tipo di amore soltanto parziale e che nelle diverse relazioni con gli altri generi di amore trova il proprio valore specifico. Ecco dunque che nel cap. 2 Lewis si sofferma su «predilezione e amore per ciò che è subumano», spiegando che tali affetti possono costituire una sorta di propedeutica all’amore, «imitazioni preparatorie» (p. 30) da non confondersi però con quelli che l’autore indica come i «quattro amori». In primo luogo l’affetto (cap. 3), «questa specie d’amore [che] ignora le barriere di età, sesso, classe sociale, educazione» (p. 38) e che, senza accampare pretese, si rivolge a ciò che è (o è divenuto) familiare. L’affetto è ben diverso dall’amicizia (cap. 4), «il meno naturaledegli affetti» (p. 60), che richiede scelta, selezione, incontro tra due individualità che si allontanano dal gruppo in virtù di un interesse comune e di una congenialità. Irriducibile al cameratismo, che pure ne costituisce una premessa, l’amicizia rivela che «siamo in viaggio verso una stessa meta, e abbiamo una visione comune» (p. 67). Ancora, l’amicizia è cosa diversa dall’eros (cap. 5), «l’amore degli innamorati» (p. 87), non riducibile al mero esercizio della sessualità dal momento che «l’eros vuole l’amata» (p. 89), è desiderio rivolto all’interezza della persona, e di una persona in particolare. Pur essendo il «re dei piaceri» (p. 91), l’eros espone la vita spirituale a pericoli che non derivano, come si potrebbe supporre, dall’elemento carnale (che, alla luce di quanto si è detto, nell’amore erotico può essere considerato anche secondario) ma dalla sua forza totalizzante, che «tende a trasformare l’“essere innamorati” in una sorta di religione» (p. 102). Come evitare dunque che l’eros diventi un idolo? È a questo livello che entra in gioco la carità (cap. 6), quel particolare genere di amore che proviene dall’accettazione del nostro essere bisognosi di Dio, da Lui amati, e che tende a riversarsi sugli affetti umani, rinnovandoli: «agli affetti naturali viene richiesto di diventare tramite di carità, pur restando quello che sono, cioè affetti naturali» (p. 121). Questa trasformazione degli affetti è comprensibile all’interno di una logica dell’Incarnazione, caratteristica del cristianesimo. Solo in questo modo, conclude Lewis, le diverse sfumature dell’amore naturale possono ambire all’eternità: lasciandosi pervadere da «colui che è l’amore stesso» (p. 123) e dal quale tutti gli altri generi di amore provengono. È così che dopo questa vita, «quando vedremo il volto di Dio, capiremo di averLo sempre conosciuto» (p. 125), perché riconosceremo in Lui i tratti delle persone che abbiamo amato e che, in virtù della loro somiglianza con il Creatore, hanno mosso i nostri affetti.
Eros e sessualità
Uno dei punti rilevanti della trattazione che Lewis riserva all’eros è il suo rapporto con la sfera della sessualità. La distinzione tra l’istinto sessuale, che in quanto tale è comune a tutti gli animali, ed eros parte da una riflessione fenomenologica sull’innamoramento che prende le distanze da ogni tipo di riduzionismo. L’amore erotico non si sviluppa, secondo Lewis, a partire dall’interesse sessuale ma anzi, molto spesso, è del tutto indipendente da esso: «L’uomo si sente pervaso da un desiderio che può anche non essere tinto di sessualità. Se gli chiedeste che cosa desideri, la sua risposta sincera sarebbe, il più delle volte, “continuare a pensare a lei”» (p. 89). La differenza cruciale, continua Lewis, è che l’istinto sessuale desidera l’appagamento mentre l’amore erotico desidera la persona amata nella sua totalità, una persona in particolare, ritenuta insostituibile: «l’innamorato desidera l’amata per quello che è, e non per il piacere che gli può procurare» (p. 90). Nell’eros il bisogno – legato all’istinto sessuale – si trasforma in apprezzamento, la ricerca del piacere (che riguarda sempre il soggetto percipiente) impallidisce di fronte al desiderio dell’incontro con l’altro.
Un’altra osservazione interessante, espressa da Lewis con il consueto stile ironico e talvolta provocatorio, è che data la distinzione tra eros e ‘venere’ (la passione carnale), a quest’ultima viene riservato un ruolo talvolta troppo rilevante: sia che venga vista come la principale delle tentazioni, sia che venga considerata come un valore assoluto, solitamente essa viene trattata con troppa serietà, come una questione della massima gravità. L’autore raccomanda invece un diverso atteggiamento: «Non dobbiamo essere totalmente seri nel nostro rapporto con venere. Il fatto è che a volerla prendere troppo sul serio si finisce col fare violenza alla nostra umanità. […] Non dobbiamo cercare di fare della carne un valore assoluto. Bandite il gioco e il riso dal talamo e vi potrà accadere di vedervi scivolare dentro una falsa dea, che sarà anche più falsa dell’Afrodite dei greci; poiché almeno essi sapevano, pur adorandola, che essa è “amante del riso”» (p. 93). Né demone né divinità, l’istinto sessuale non è un assoluto ma, connesso all’amore erotico, ne costituisce una sorta di ironico contrappeso: rispetto a una passione così eterea come eros, la sessualità costituisce un elemento di concretezza che rivela come gli uomini siano «creature composite, animali raziocinanti, imparentati da un lato con gli angeli, e dall’altro con i gatti» (p. 94).
Un ultimo punto, tra le numerose, acute riflessioni presentate da Lewis, attiene alla potenza di eros, questo sì simile a un dio, e proprio per tale motivo da trattare con attenzione e cautela. La grandezza di eros spinge gli innamorati a preferirlo anche alla felicità: «meglio essere infelici con lei [l’amata] che felici senza di lei. Che i nostri cuori si spezzino pure, a patto che si spezzino insieme» (p. 100). Una simile potenza, che può condurre anche ad atti di prodigalità e di abnegazione, per la sua stessa natura imperiosa si presta ad essere accolta come immagine e modello del rapporto con Dio. D’altra parte, data la sua pretesa totalizzante, esso può però essere spinto a rivaleggiare proprio con l’amore di Dio ed è allora che, se «onorato senza riserve e obbedito incondizionatamente, esso diviene un demone» (p. 102). Un simile esito non solo contraddice la libertà, cui il vero amore dovrebbe condurre, ma giustifica atti di per sé ingiustificabili, che si pretende vengano compiuti “in nome dell’amore”. Inoltre, la volubilità di eros espone chi ne fa un idolo a cocenti delusioni: l’amore erotico promette una assoluta felicità che inevitabilmente viene smentita dagli eventi della vita di coppia, coniugale e familiare. A sostegno di eros devono subentrare altre motivazioni e altre virtù che – come nota Lewis – «tutti i veri innamorati» e in particolare «tutti i veri innamorati cristiani» conoscono: umiltà, carità e grazia divina possono dunque innestarsi sull’amore erotico e compiere le promesse che questo non riesce a mantenere.
Dal pensiero alla vita
Umorismo, ricchezza di esempi, amore per il paradosso, spregiudicatezza argomentativa caratterizzano lo stile della meditazione di Lewis sui quattro amori, delineando una fenomenologia che si compie nella pienezza della carità. Questa non è semplicemente un affetto tra gli altri, né un “amore di Dio” che sottragga qualcosa o che sopprima le forme dell’amore umano, bensì ciò verso cui tendono i diversi affetti, pur rimanendo ciò che sono. In un certo senso, la carità è la verità dell’amore, di ogni amore, e di contro tale verità viene veicolata proprio attraverso gli affetti naturali che, in un’autentica trasfigurazione dell’ordinario, diventano vie d’accesso al divino. Una simile riflessione, che per certi versi potrebbe apparire fin troppo speculativa, trova un interessante riscontro proprio nella vicenda personale di Lewis, raccontata in un’opera come Diario di un dolore (1961). In questo testo di genere autobiografico – come autobiografico era stato anche il volume Sorpreso dalla gioia (1955) – Lewis riporta le profonde meditazioni sulla vita, la morte e l’amore formulate all’indomani della scomparsa della moglie, Helen Joy Davidman. In queste pagine, dolenti e vibranti, la riflessione teorica sull’amore e in particolare sul rapporto tra eros e carità acquista una nuova urgenza e una nuova credibilità, frutto della testimonianza in prima persona.
Bibliografia
C.S. Lewis, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 1995.
H. Carpenter, Gli Inklings – Tolkien, Lewis, Williams & Co., Jaca Book, 1985.
W. Hooper, C.S. Lewis. A Companion and Guide, Harper and Collins, London 1996