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De Musica

Agostino di Ippona
Città Nuova, Roma 1992
pp. 852
ISBN:
8831191020

in Opera Omnia, a cura di A. Trapè, vol. III/2, Dialoghi II, tr. it. e note di D. Gentili, Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova, Roma 1992;

altre edizioni in lingua italiana: Ordine, Musica e Bellezza, a cura di M. Bettetini, Rusconi, Milano 1992; De Musica, a cura di U. Pizzani, G. Milanese, Augustinus, Palermo 1990.

Il contesto dell’opera: la teoria musicale tra antichità e medioevo

Composto intorno al 390 d.C., il De Musica si colloca nel momento di transizione della storia della musica dalla tradizione greca al medioevo latino. L’orizzonte teorico che fa da sfondo all’opera è fortemente influenzato dal pitagorismo, che aveva costruito una teoria geometrico-matematica del suono fondata sui rapporti di proporzione tra le corde, con una forte tensione verso l’etica, la cosmologia e la metafisica. Agostino fa riferimento al mondo greco-romano anche per quanto rigarda la prassi musicale, piuttosto scarna se paragonata a quella che fiorirà qualche secolo dopo. Principalmente melodica, di accompagnamento a eventi sociali, culturali e a funzioni religiose o civili, la musica al tempo di Agostino è relegata ancora ad una funzione secondaria rispetto a qualcosa di altro che ha il primato della scena, oppure finalizzata alla formazione dell’individuo, al pari della ginnastica e della retorica. 

Il medesimo contesto fa da sfondo anche all’altra opera fondamentale che testimonia il passaggio teorico dall’antichità al medioevo, e cioè il De Institutione Musica di Boezio, completato all’inizio del VI secolo d.C. Dal punto di vista teorico-musicale, il trattato di Boezio non presenta contenuti particolarmente innovativi, rappresentando piuttosto una sintesi del pensiero musicale di Pitagora, Aristosseno e Tolomeo. Boezio riprende e sviluppa un’idea fondamentale del modello platonico: la somiglianza, l’ordine e la proporzione generano piacere nell’animo, la dissomiglianza, la sproporzione e il disordine generano dispiacere e corrompono l’equilibrio dell’anima. Di qui una teoria del suono che si basa sull’armonia tra le parti nel suono e tra il suono e l’animo di chi ascolta.      

La teorizzazione greca, dalla quale attingono Agostino e Boezio, vale come riferimento almeno fino al VI-VII secolo d.C., quando la diffusione del canto gregoriano rende la pratica musicale via via più complessa. Le melodie si fanno più articolate, anche tramite il raddoppiamento delle voci. Con l’emergere dei problemi di intonazione nel canto, si impone la necessità di creare sistemi per imparare a cantare – abilità allora esclusivamente affidata alla memorizzazione – che porteranno gradualmente alla creazione di una notazione musicale. È a partire da questo complesso contesto teorico-pratico, caratterizzato dalla transizione dal canto melodico alla musica polifonica e dalla trasmissione mnemonica alla costituzione di un linguaggio tecnico-specialistico della composizione musicale, che va compresa l’ambivalenza di un testo come il De musica, tanto lontano dalla nostra sensibilità di lettori, soprattutto per le analisi sui ritmi, quanto profetico e attuale nell’intuire il ruolo di alcune facoltà, come la memoria, nella percezione del suono.

 Struttura e contenuti dell’opera

All’interno del variegato corpus di testi agostiniano, il De Musica risulta a prima vista di difficile collocazione. Non si tratta di uno scritto apologetico, né di un approfondimento su una controversia di natura teologica, né di un testo esegetico, né di un’opera morale o dogmatica. Non si tratta, a tutta prima, neanche di un’opera genericamente filosofica, visto che, sin dalle prime righe, si comprende che l’oggetto è una trattazione anzitutto tecnica, prima che concettuale, della musica. Se, da un lato, il fatto che il De Musica facesse parte di un progetto sulle arti liberali rimasto incompiuto aiuta a comprenderne l’apparente eccentricità, allo stesso tempo, che Agostino abbia avviato questo progetto proprio dalla musica, testimonia il ruolo di primo piano che Agostino le assegnava, sia per una personale sensibilità alla musica e al canto sacro, sia per una dimensione più universale che caratterizza la musica in quanto arte e scienza della misura del suono.

Il debito nei confronti della tradizione greca, e in particolare di Platone, è evidente anche dalla scelta stilistica: il De Musica è in forma di dialogo socratico tra maestro e allievo. L’opera si compone di sei libri. Il primo libro, Quid sit musica eiusque motus et numeri. Quae musices sit scientia, ha una funzione principalmente introduttiva, ma è di fondamentale importanza per la definizione del problema. Agostino analizza la musica a partire da una dimensione particolare, che si coglie dalla definizione iniziale di musica quale scientia bene modulandi. Per Agostino, la musica è essenzialmente connessa con il ritmo: il termine “modulare”, infatti, dev’essere inteso secondo l’accezione antica: cioè “misurare”, “regolare” secondo una misura prestabilita. È questo un primo elemento innovativo del De Musica: in un contesto pratico dominato dalla melodia, Agostino ritrova nel ritmo il carattere definitorio della musica. Così, rispetto alle analisi melodico-intervallari dei teorici greci, Agostino sposta l’attenzione sulla dimensione temporale del suono, anticipando una tradizione che dalla filosofia della musica alla psicologia e alla musicologia riconosce nella temporalità la dimensione essenziale per l’oggetto di percezione sonora[1]. Per Agostino, l’effetto del suono sul soggetto dipende essenzialmente dalla struttura ritmica, secondo un modello esplicativo che richiama le corrispondenze postulate dai greci e che poggia sul ruolo fondamentale dell’accordo tra ritmo del suono e anima dell’uomo attraverso un modus, cioè, una misura ritmica che possa esprimersi in rapporti matematici. Nell’atto percettivo i suoni si differenziano sulla base dell’effetto che suscitano nell'ascoltatore. E tale reazione dipende esclusivamente dalla commensurabilità della parte nell’intero, da una ritmicità latente tra l'anima, la capacità dei nostri sensi, e i suoni del mondo. All’ascolto dei suoni l’uomo può provare piacere perché il suo animo è allietato dalla struttura numerica – sostanzialmente ritmica – del fenomeno sonoro che prende forma nel tempo. La ratio numerica, di matrice pitagorica, viene da Agostino utilizzata in chiave fenomenologico-musicale per una possibile interpretazione dell’estetica musicale su base aritmetica, nella quale il numero è allo stesso tempo fonte di perfezione estetica e elemento strutturale della grammatica compositiva dei piedi e dei versi[2].

Dal Libro Secondo al Quinto, il De Musica entra nel dettaglio di tecnicismi connessi con la metrica, analizzando gli accostamenti dei metri e dei piedi a partire dalla logica stessa dei materiali piuttosto che dall’arbitrio estetico del poeta. Concettualmente rilevante la distinzione tra ritmo e metro proposta nel terzo libro (Quaenam rhythmi et metri sit ratio. Quae rhythmi et metri sit ratio), dove Agostino afferma che il ritmo (oggi, in musica, si direbbe forse il “pattern” ritmico), cellula originaria ma in qualche modo astratta, è in linea di principio ripetibile senza limitazione. Nel momento in cui ad esso viene imposto un limite, il ritmo diviene metro, nel quale l’astrattezza del ritmo si cala nella concretezza delle strutture poetiche. Nei libri Quarto e Quinto, Agostino presenta un elenco dei metri possibili e approfondisce la relazione reciproca delle nozioni di ritmo, metro, verso.

Il Libro Sesto è particolarmente interessante per le sue implicazioni filosofiche e fenomenologiche. Agostino intuisce che nell’esperienza sensoriale, così segnata dallo scorrere temporale, «si annuncia un principio che si sottrae alle modificazioni del tempo»[3], che rappresenta la base per l’esperienza sensoriale stessa. Se, infatti, Boezio rinviene nel senso e nella ragione le due componenti fondamentali dell’attività percettiva, Agostino si sofferma sul ruolo della memoria, e dunque della temporalità, come funzione essenziale per l’atto percettivo-musicale. La memoria conserva i ritmi archetipici: il ritmo attualmente percepito che, in quanto metro, ha durata finita, viene percepito attraverso i sensi, ma compreso attraverso la memoria. L’atto percettivo si realizza nell’incontro tra due dimensioni che si implicano necessariamente, in maniera circolare: il senziente, oltre che misurante tempo, è anche misurato dal tempo. Il processo fisico che caratterizza il suono diviene materia di giudizio estetico solo quando l’anima vi presta attenzione, esprimendo così la coesione profonda che si realizza tra la struttura di colui che sente e di ciò che è sentito.

Erede della tradizione platonica, Agostino sostiene che la bellezza di ciò che udiamo risieda nella somiglianza delle parti per proporzione. Da un lato, ciò significa che la bellezza interessa ciò che sentiamo in relazione alla capacità di sentire che giace nell’anima, la quale è disposta e ordinata (proporzionata) all’ordine del cosmo e dunque del creatore. Dall’altro lato, però, parlare di proporzionalità significa pensare a un’analogia tra termini distinti: la proporzionalità allora rappresenta l’esito di un incontro tra due realtà – il percipiente e il percepito, il soggetto e la natura – destinate a restare distinte. L’armonia che si concretizza nella percezione è un accordo tra parti differenti che possono relazionarsi per mezzo della proporzione, e che nell’atto percettivo non vengono fuse indistintamente, ma preservano la loro autonomia.

L’interesse per lo studio della percezione musicale dipende dal fatto che essa chiama in causa tutte le facoltà che presiedono alla vita di coscienza in generale, prima tra tutte la temporalità, che caratterizza ogni esperienza possibile. Nelle pieghe delle riflessioni agostiniane sul rapporto tra tempo e ritmo, e tra modello ritmico e metro poetico, sono contenute le sorgenti della vita della coscienza e del modo in cui essa fa esperienza del mondo. Tempo, ritmo e memoria riguardano l’esperienza di coscienza nella totalità delle sue attività: la coscienza stessa può esistere solo se la memoria rende coesa e unitaria la molteplicità dei vissuti che accadono nel tempo.

È chiaro come il Sesto Libro del De Musica mostri le ragioni per cui il tema musicale per Agostino ecceda gli ambiti di una riflessione sull’arte musicale, andando a definire una riflessione sull’attività della coscienza e una riflessione sul modo in cui la coscienza esperisce il mondo. Da questo punto di vista, la trattazione di Agostino non differisce da quelle del mondo greco, così fortemente caratterizzate da aperture etiche, metafisiche, e cosmologiche. Ma Agostino ha il merito di tematizzare l’importanza della memoria, sulla scia di Aristosseno, e di portare in evidenza la centralità del ritmo, in un modo che eccede ampiamente i limiti della teoria musicale, andando a definire un’accezione quasi esistenziale di ritmo. Memoria e ritmo vanno così a costituire gli elementi portanti di quell’unità concettuale che in Agostino assume un’importanza assoluta e che costituirà il suo lascito concettuale più significativo, il tempo.

Il De Musica oltre la musica

Lungo il Medioevo, il De Musica di Agostino, insieme al De Institutione Musica  di Boezio, ha costituito il riferimento per la trattatistica musicale. Successivamente, è stato dapprima letto come un trattato di metrica, dal respiro piuttosto limitato e costretto nei tecnicismi della retorica, fino al ritorno di interesse nella seconda metà del Novecento, quando viene riletto come una fonte essenziale per la storia della filosofia, della teoria musicale e della metrica poetica. Perché un breve trattato sulla musica quasi interamente incentrato su questioni di retorica e grammatica, apparentemente così lontano dalla sensibilità contemporanea, è sopravvissuto alla storia della cultura occidentale per quindici secoli, ed è tornato ad essere apprezzato negli ultimi decenni? Perché, come osserva Maria Bettetini, «quello che doveva essere un freddo trattato di teoria del ritmo, da completare, nelle intenzioni Agostino, con altri sei libri sulla melodia mai scritti, e con altri trattati sulle discipline liberali, si è rivelato una fonte di idee e dottrine per gli studiosi di musica, filosofia, letteratura, filologia, teologia, raggiungendo probabilmente da solo l'obiettivo della prevista enciclopedia delle arti liberali: elevare l'anima a Dio, attraverso lo studio delle leggi dei numeri (i primi cinque libri), che abitua a trattare le cose spirituali, e poi tramite i numeri risalire al principio di tutti numeri, all'Unità”[4].

Le ragioni di un interesse così prolungato possono forse ritrovarsi anche nell’identificazione di alcuni temi rilevanti, non strettamente musicali, che emergono chiaramente dalle pagine del De musica. Primo tra tutti, il tema della misura. Se, da un lato, è chiaramente il contesto musicale che spinge Agostino ad introdurre questa nozione, dall’altro, non sembra essere la dimensione musicale della misura ciò che preme maggiormente ad Agostino o, meglio, la musica si configura piuttosto come il punto di partenza per mettere in luce una dimensione gnoseologico-ontologica della nozione di misura, che ha nel ritmo musicale una sua occasione. È possibile così rilevare la continuità di Agostino con la posizione platonica secondo la quale, a livello metafisico, occorre postulare la presenza contestuale della misura e di colui che misura, e cioè il demiurgo della tradizione platonica, Dio nella tradizione cristiana. L’eco platonica viene però superata dalla concezione agostiniana di Dio: se il Demiurgo misura il disordine conferendo una struttura gerarchica all'universo in ordine all’uno, per Agostino, Dio la misura e il numero. O, più precisamente, è il numero senza numero, che è misura originaria dell’Uno e del molteplice. Così recita un passo del De Genesi ad litteram: «La misura senza misura è quella alla quale si riferisce ciò che dipende da lei, ma che non dipende da altro; il numero senza numero è quello dal quale tutto è formato, ma che in sè non è formato, il peso senza peso è quello al quale si volgono, per riposare, coloro per i quali la quiete è una gioia pura, ma che non si volge a nessun'altro» (IV, 8). In questo senso, il tema del ritmo, e della misura, apre a riflessioni extra-musicali, quali la fondazione ontologico-metafisica dell’atto conoscitivo e dei suoi oggetti a partire dalla natura ripetitiva dell’esperienza stessa.

Altro tema di grande impatto nella ricezione del De Musica è quello dell’intenzionalità (intentio), che caratterizzerà la psicologia matura della riflessione di Agostino. La nozione di intentio, introdotta nel De musica, porta Agostino a tematizzare una concezione unitaria della persona che troverà pieno compimento nel percorso interiore del De Trinitate. Infatti, già nel De Musica, all’intentio vengono riferite non solo l’animazione del corpo, ma anche la concentrazione delle facoltà psichiche nello slancio dell’anima a Dio[5], anticipando la concezione di intentio come principio unificante e caratterizzante delle operazioni psichiche, intese nella loro varietà, dalla conoscenza sensibile all’amore di sé e di Dio.

Infine, la prospettiva fenomenologica, a partire dalla quale sono state interpretate molte osservazioni contenute nel Libro Sesto, pone Agostino tra i padri della nozione di temporalità della coscienza, così centrale nelle riflessioni husserliane sulla musica e sulla percezione uditiva in generale. In questo senso, Agostino prende le distanze dalla tradizione greca, e in particolare da quella pitagorico-platonica, nella quale la temporalità costituiva principalmente un problema ontologico-metafisico. L'analisi agostiniana della percezione dei suoni che, originatisi fuori di noi, incontrano i nostri sensi, influenzano il nostro sentire e provocano risposte emozionali e affettive, sono stati interpretati come un primo approccio psicologico o fenomenologico alla musica[6]. Allo stesso modo, le riflessioni che scaturiscono dalla definizione di musica come movimento misurato aprono all’esperienza del tempo di coscienza come flusso di vissuti passati, presenti e futuri, nel quale la memoria agisce come collante con il passato e, secondo la prospettiva fenomenologica, costruisce la base per le percezioni future. 

La riflessione filosofica sulla musica diviene con Agostino filosofia tout court[7]. A partire dalla definizione pratica di musica e della creazione musicale, il lettore è condotto a riflettere sui fondamenti della conoscenza, sulle facoltà dell’anima e sulla sorgente metafisico-teologica di conoscenza. La natura dell’oggetto musicale apre immediatamente agli interrogativi sull’esistenza umana e la teoria musicale lascia il posto alla metafisica. Così il concetto di musica mostra le proprie radici metafisiche, identificando per Agostino un livello tra i più elevati dell’attività umana, nel quale finito e infinito sono compresenti e necessari. La paradossale potenza della musica risiede allora nella capacità di ripristinare, solo temporaneamente, l’armonia dell’universo, divenendo mezzo con cui l’uomo conosce e supera la propria finitezza.

La rassegna di alcuni temi che hanno avuto uno sviluppo significativo anche nella riflessione contemporanea non pretende di rispondere esaustivamente alla domanda sulla duratura quanto enigmatica fortuna dell’opera. Se la domanda deve allora restare aperta, ciò che va riconosciuto è quanto la grandezza di un autore si dimostri anche per il fatto che un’opera giovanile, scritta come apertura di un progetto poi abbandonato, su un tema che non sarà più oggetto di altre opere, rappresenti ancora per i lettori di diversa formazione disciplinare un luogo di approfondimento e discussione. 



[1] Nelle intenzioni di Agostino ci sarebbe stata anche una trattazione interamente dedicata alla melodia, ma l’opera non fu mai composta (Cfr. Cecilia Panti, Filosofia della musica, Carocci, 2008, p. 72). Per la temporalità in musica si veda, ad esempio, Tenney, J., & Polansky, L. (1980). Temporal gestalt perception in music. Journal of Music Theory, 24(2), 205-241 e D. Clarke, Music, phenomenology, time consciousness: meditations after Husserl, in D. Clarke, E. Clarke (a cura di), Music and Consciousness: Philosophical, Psychological, and Cultural Perspectives, Oxford University Press, Oxford 2011.

[2] Per un’analisi del problema della matematizzazione del suono in rapporto a nozioni fondamentali della teoria musicale si può vedere Nicola Di Stefano, Consonanza e dissonanza. Teoria armonica e percezione musicale, Carocci, Roma 2016.

[3] Alessandro Arbo, Lo schematismo dell’acumeno. Lettura di Agostino, De musica, I-VI, in «Rivista di Estetica», n. 9 (3/1998), anno XXXVIII, pp. 3-27.

[4] Agostino, Ordine, musica, bellezza, a cura di M. Bettetini, Rusconi, 1992, p. XLII.

[5] Carla Di Martino, Il ruolo della intentio nell’evoluzione della psicologia di Agostino: dal De libero arbitrio al De Trinitate, «Revue des études Augustiniennes» 46 (2000), pp. 173-198.

[6] Kathi Meyer-Baer, Psychologic and Ontologic Ideas in Augustine's de Musica, The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 1953, Vol. 11, No. 3, pp. 224-230.

[7] Cfr. Carl Johann Perl, Augustine and Music. On the occasion of the 1600th anniversary of the saint, The Musical Quarterly, 1955, 41, 4, pp. 496-510.

Università Ca' Foscari, Venezia
2020