Esiste una versione in lingua italiana in formato e-book: C. Lyell, Principi di Geologia, Narcissus.me, EAN: 9786050303384.
L’autore
Charles Lyellnasce a Kinnordy, in Scozia nel 1797. Nel 1816 entrò all’Exeter College di Oxford per studiare legge. I suoi interessi per la geologia maturarono assai precocemente e si confermarono definitivamente durante un viaggio compiuto con la famiglia in Francia, Svizzera e Italia durante il 1818. Già nel 1819 fu infatti eletto membro della Geological Society di Londra e della Linnean Society. Conobbe Georges L. Cuvier a Parigi nel 1823, e presto maturò un atteggiamento critico verso il catastrofismo che quest’ultimo proponeva in geologia (l’idea che l’attuale conformazione della crosta terrestre fosse il risultato di eventi catastrofici del passato). Nel 1826 venne ammesso alla Royal Society. Un viaggio di studio svolto tra il 1828 e il 1829 – che lo porto ad analizzare la stratigrafia di molti luoghi della Francia meridionale e dell’Italia, ivi compresa l’osservazione scientifica dell’Etna in Sicilia – lo convinse definitivamente a proporre la sua teoria dell’attualismo: l’idea che le forze che hanno plasmato la crosta terrestre nel passato sono le stesse osservabili attualmente e che quindi la conformazione della crosta terrestre fosse il risultato della lenta azione di forze costanti. Questa teoria portava come conseguenza l’enorme durata della storia geologica della terra – misurabile in centinaia di milioni di anni. Tra il 1830 e il 1833 diede alla stampe i tre volumi dei Principi di Geologia. Nel 1836 conobbe Charles R. Darwin, col quale nacque una profonda e duratura amicizia. Fu proprio Lyell ha indurre Darwin a pubblicare, nel 1859, L’origine delle specie, dopo che Alfred R. Wallace aveva pubblicato l’anno precedente le sue memorie sulla selezione naturale. Charles Lyell morì il 22 febbraio 1875, e venne sepolto nell'abbazia di Westminister.
L’opera
La prima edizione de “I Principi di Geologia” di Charles Lyell viene pubblicata a Londra in tre volumi dall’editore John Murray tra il 1830 e il 1833. Il primo volume è suddiviso in ventisei capitoli, il secondo in diciotto, infine, il terzo in ventisei.
Nei primi cinque capitoli del primo volume, l’Autore si sofferma, con un’impostazione di carattere epistemologico, sulla storia del pensiero geologico, declinata a partire dall’antichità e non senza aver preventivamente delineato una definizione di Geologia, distinguendola innanzitutto dalle ipotesi cosmogoniche, e ponendo quindi la disciplina anche in relazione con altre Scienze (naturali e umane) (cfr. cap. I).
Questa trattazione, certamente di interesse per inquadrare il contesto storico-geografico e culturale[1]in cui stava progressivamente maturando lo sviluppo della nascente scienza geologica, tuttavia risente di un inevitabile punto di debolezza, che dipende dalla scelta entusiastica quanto pregiudiziale da parte dell’autore – a torto o a ragione che sia – di una ben precisa teoria scientifica quale “sfondo integratore” della sua opera – come, per altro, da egli stesso esplicitamente enunciato già nel sottotitolo de I Principi di Geologia, che implicano per così dire una lettura “filtrata” della realtà geologica attraverso una ben precisa “lente”, tra l’altro inevitabilmente condizionata dalle conoscenze disponibili a quel tempo.
Si tratta della teoria dell’uniformitarismo delineata da James Hutton (1726-1797) – più comunemente nota come attualismo (vale a dire, l’idea che i processi naturali osservabili in un certo momento sono gli stessi di quelli all’opera nel passato) – i cui pregi e limiti hanno, di volta in volta, contribuito ad accelerare o a rallentare il progresso delle conoscenze nell’ambito delle Geoscienze – che erano allora ancora lontane dai loro ben più recenti importanti sviluppi – favorendo ciò nondimeno accese dispute (ad es. catastrofismo vs. attualismo) [2] che hanno vivacemente animato il dibattito all’interno della comunità scientifica. Tali dispute per lo più teoriche, che hanno visto schierati su fronti contrapposti eminenti studiosi di diversa formazione, fanno oggi in una certa misura sorridere ma per le conoscenze dell’epoca apparivano rilevanti e, in ogni caso, hanno contribuito al consolidamento dei saperi e alla loro divulgazione capillare, anche grazie a ricorrenti eventi culturali promossi da prestigiosi sodalizi scientifici.
Nei capitoli VI-IX, Lyell si occupa di questioni riferibili alla climatologia e alla paleoclimatologia nonché alla paleobiologia – che poi riprenderà e svilupperà nel secondo volume – per passare quindi a esporre in termini ampiamente integrati questioni di geografia fisica e sedimentologia (cap. XV-XIV), oceanografia (cap. XV-XVII) e concludere il volume con ben nove capitoli dedicati alla vulcanologia e ai terremoti, fenomeni che da sempre affascinano tutti coloro che si avvicinano alla Geologia. L’approccio prevalente appare ora di carattere descrittivo[3]-integrale, seppure, di volta in volta, con diverse accentuazioni subdisciplinari, nel complesso in larga misura disorganico, perseguendo non tanto un intento sistematico – perseguito invece negli Elementi di Geologia pubblicati per la prima volta nel 1838 e nelle successive edizioni caratterizzate da
esplicite intenzionalità didattiche (The student’s Elements of Geology) [4] – ma, piuttosto, delineandosi come un interessante resoconto delle spedizioni geologiche intraprese dall’autore, che conserva senza dubbio la vivacità ma anche i limiti degli appunti di campagna, contenenti osservazioni, ipotesi e tentativi di interpretazione relativi ai fenomeni di volta in volta osservati sul terreno e risistemati un po’ affrettatamente per la pubblicazione.
Del primo volume si segnala particolarmente il capitolo XXIV, dedicato all’illustrazione di morfologie comparse in Italia meridionale a seguito di intensi eventi sismici e indubbiamente ascrivibili a inequivocabili indizi di neotettonica.
Nel secondo volume Lyell tratta aspetti per lo più riferibili alla paleobiologia, alla biogeografia e alla paleoecologia. Nella prefazione afferma:
L’autore ha riscontrato l’impossibilità di comprimere in due volumi, secondo il suo progetto originario, l’ampio ventaglio di argomenti di cui si deve discutere, per poter spiegare appieno le sue opinioni rispettando le cause dei fenomeni geologici. Poiché sarà quindi necessario estendere i “Principi di geologia” a tre volumi, egli preferisce la pubblicazione della presente parte senza indugio, perché porta a conclusione un ramo distinto dell’indagine, il cui studio sarà ritenuto assolutamente essenziale per la comprensione delle teorie che verranno successivamente proposte. Notevoli progressi sono già stati compiuti nel resto dei lavori, che saranno presto presentati al pubblico.
Indubbiamente più interessante appare in realtà il terzo volume, per il notevole contributo offerto alla conoscenza del Terziario, che viene presentato da Lyell a partire dal recente per risalire indietro nel tempo e non come abitualmente avviene, procedendo nella trattazione dai tempi più antichi per giungere all’attuale. Lyell propone un quadro peraltro incompleto, in quanto non prevede ancora tutte le suddivisioni del Terziario attualmente accettate, ma la sua proposta di introdurre una partizione del Pliocene in Pliocene antico e in Pliocene recente, delineano senza dubbio già un’antifona delle tormentate vicende scientifiche che accompagneranno la sistemazione cronostratigrafica del Cenozoico.
Il terzo volume si apre con un resoconto delle spedizioni geologiche intraprese da Lyell nonché delle feconde forme di collaborazione scientifica impostate dall’autore con altri studiosi italiani e francesi che sfoceranno, tra l’altro, nella pubblicazione, in appendice al terzo volume, di una serie di accurate tabelle elaborate da M. Deshayes, frutto di vere e proprie operazioni di correlazione stratigrafica.
L’approccio prevalente, almeno nel cuore del terzo volume (cfr. cap. VI-XXIII) è di tipo regionale, seppure strettamente e inscindibilmente integrato (e amalgamato) a prospettive tipiche dei complementari approcci storicoe stratigrafico. Ampio spazio è inoltre riservato da Lyell alla trattazione della vulcanologia che viene ripresa e approfondita ulteriormente, anche attraverso ulteriori studi svolti sul terreno. Lyell presenta le osservazioni fatte sull’Etna – in particolare nella Valle del Bove – ma anche in Alvernia, in Catalogna e nell’Eifel. Particolare interesse riveste la trattazione di quest’ultimo distretto vulcanico caratterizzato dagli esiti di una forma parossistica di attività vulcanica, rappresentata dai Maar.
Tutti e tre i volumi sono preceduti da un sommario e corredati da imponenti indici analitici; inoltre un ampio utile glossario(Glossary of Geological and other Scientific Terms used in this Work) [5], per altro da considerare con le necessarie cautele, conclude il terzo volume. È interessante notare la precisazione di Lyell circa la sua opportunità:
Diversi amici dell'Autore, che avevano letto il primo e il secondo volume dei Principles of Geology, avendo incontrato difficoltà a causa della loro precedente non conoscenza dei termini tecnici usati in Geologia e Storia Naturale, gli suggerirono che un Glossario di quelle parole renderebbe il suo lavoro molto più accessibile ai lettori generali. L’autore ha accettato volentieri questo suggerimento, ma trovando che la sua familiarità con l’argomento lo rendeva un giudice poco competente dei termini che richiedevano una spiegazione, si è rivolto agli amici sopra autorizzati per la loro assistenza e da elenchi di parole forniti loro, è stato costruito il seguente Glossario. Sarà ovvio agli uomini di scienza che per raggiungere l’obiettivo in vista, era necessario utilizzare l’illustrazione e il linguaggio il più possibile familiari al lettore generale.
A titolo di esempio si riportano di seguito due voci tratte dal glossario. La voce Fault [6]è corredata da una valida sezione geologica attraverso una faglia verticale che, puntualmente ne rappresenta correttamente i labbri, il rigetto verticale e persino la fascia cataclastica. Lyell descrive inoltre accuratamente la faglia in questi termini:
FAGLIA, nel linguaggio dei minatori, è l’improvvisa interruzione della continuità degli strati nello stesso piano, accompagnata da una crepa o fessura di larghezza variabile da una semplice linea a diversi piedi, che è generalmente riempita con pietra rotta, argilla, ecc., e tale spostamento che le porzioni separate degli strati una volta continui occupano livelli differenti. Gli strati a, b, c, ecc. devono essere stati un tempo continui, ma avendo avuto luogo una frattura in corrispondenza della faglia F, a causa del sollevamento della porzione A o dell’affondamento della porzione B, gli strati erano così spostati, che il letto a in B è molti piedi più basso dello stesso letto a nella porzione A.
Non altrettanto corretta ed esaustiva appare, invece, la definizione della voce:
DELTA. Quando un grande fiume prima di entrare nel mare si divide in corsi d’acqua separati, spesso divergono e formano due lati di un triangolo, la base è il mare. La terra inclusa dalle tre linee, e che è invariabilmente alluvionale, è chiamata delta per la sua somiglianza con la lettera dell’alfabeto greco che va con quel nome Δ. I geologi estendono i confini del delta, in modo da includere tutto il terreno alluvionale al di fuori del triangolo, che è stato formato dal fiume.
Non è, infatti, di per sé necessario che il corso d’acqua si caratterizzi per un reticolo idrografico di tipo divergente per avere un delta, in quanto il delta è in realtà una forma di accumulo. La definizione fornita, inoltre, non ne chiarisce adeguatamente la genesi.
Pure relativamente limitato appare l’apparato iconografico complessivo dell’opera – in particolare per quanto attiene il secondo volume – costituto da sezioni geologiche a dire il vero assai rudimentali – più che altro assimilabili a semplici schizzi di campagna, in larga misura condizionati dalle conoscenze sino ad allora acquisite – stralci “topografici” essenziali ma anche pregevoli rappresentazioni paesaggistiche e interessanti tentativi di elaborazione di una cartografia geotematica, in particolare per quanto attiene aspetti di interesse vulcanologico (cfr. la carta del distretto vulcanico della Catalogna e la carta del distretto vulcanico dell’Eifel nel terzo volume) e paleogeografico (cfr. in particolare la carta dei bacini terziari europei rappresentata in una tavola ad hoc nel secondo volume).
Anche dal punto di vista iconografico appare più significativo il terzo volume, per la maggiore quantità di illustrazioni raffigurate, necessarie per accompagnare più efficacemente la spiegazione e favorire la comprensione dei complessi fenomeni geologici di volta in volta trattati, ma anche per la presenza delle tavole dedicate ai (macro- e micro) fossili terziari[7]che adombrano senza dubbio il concetto di “fossile guida” e delle rilevanti tabelle “cronostratigrafiche” relative alle partizioni del Terziario così come concepite da Lyell (Eocene, Miocene, Pliocene antico, Pliocene recente) distinte in formazioni marine, di acqua dolce e vulcaniche con l’indicazione di alcuni esempi particolarmente significativi di località di affioramento per ciascuna tipologia (cfr. cap. V, p. 61, Tavola sinottica delle Formazioni recenti e terziarie).
La fortuna dell’opera
Il contributo certamente più duraturo di Charles Lyell alla geologia fu la sua teoria dell’attualismo (o “uniformitarismo”), che fu decisiva anche per l’affermarsi dell’idea che la storia del pianeta terra fosse lunghissima – molto più di quanto in quell’epoca fosse generalmente ammesso. Alla morte di Lyell, la sua teoria geologica fu significativamente offuscata dai calcoli che Lord Kelvin compì basandosi sull’idea di un continuo raffreddamento del nostra pianeta e sull’assenza di fonti di calore interne ad esso. Questi calcoli implicavano una durata del pianeta terra stimabile in poche decine di migliaia di anni: un tempo la cui brevità risultava incompatibile con la visioen attualista di Lyell. Sviluppi successivi, di fatto riportarono in auge le posizioni di Lyell, pur con quelle rettifiche inevitabile nella maturazione storica di una teoria scientifica.
Altro contributo importante fu il ruolo di Lyell e dei suoi Principi di Geologia sull’opera di Charles Darwin, che accolse molti aspetti chiave della geologia lyelliana – in particolare un’idea di gradualismo implicata dall’attualismo e la lunga durata della storia geologica terrestre, funzionale alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale. Degno di nota che Lyell fu inizialmente assai reticente ad accettare la teoria evolutiva dell’amico Darwin – principalmente per ragioni filosofico-morali – così come fu critico della teoria evolutiva di J.-B- de Lamarck (di mezzo secolo precedente la proposta darwiniana). Gradualmente, però, si convinse della rilevanza dell’evoluzione biologica per selezione naturale, al punto da integrarla nella nona edizione dei Principi di Geologia (del 1866) e da tentarne una applicazione alla specie umana nel suo The Geological Evidence of the Antiquity of Man with Remarks on the Theories on te origin of Species by Variation, del 1863.
Inoltre, Lyell introdusse termini tecnici ancora in uso oggi, quali quelli dei periodi geologici detti “Pliocene”, “Miocene” e “Eocene”. Nel 1839, studiando degli strati geologici in Sicilia, introdusse anche il termine “Pleistocene” per indicare quegli strati che contenevano almeno il 70% di molluschi ancora viventi.
Infine, esistono oggi molti luoghi – negli Stati Uniti, in Canada, in Groenlandia, in Nuova Zelanda e in Tasmania – intitolati a Charles Lyell, tutti, ovviamente, di interesse geologico (monti, canyon, ghiacciai, etc.).
Bibliografia essenziale
A. Hallam, Le grandi dispute della Geologia. Dalle origini delle rocce alla deriva dei continenti, traduzione di N. Ricci Lucchi, «Le Ellissi», Bologna, Zanichelli, 1987.
P.R. Federici, «Le «Grandi dispute della Geologia» secondo la versione di A. Hallam», in: Geografia fisica e Dinamica Quaternaria, 11 (1988), pp. 63-64.
C. Lyell, Elements of Geology, London, John Murray, 1838.
C. Lyell, The student’s Elements of Geology, New York, Harpers & Brothers Publishers, 1871.
[1] Si veda in proposito: Hallam 1987, tenendo in considerazione le osservazioni di Federici 1988, pp. 63-64.
[2] Hallam 1987, pp. 31-66.
[3] «… che invero rappresenta un punto di forza, in quanto ancor oggi al tradizionale geologo rilevatore si insegna a «rispettare soprattutto ciò che vede come fatti concreti» (Hallam 1987, p. 172). È chiaro che le osservazioni e le descrizioni possono essere fatte in modo più o meno accurato e preciso ma rimangono in quanto tali sostanzialmente valide mentre le conseguenti interpretazioni possono essere evidentemente falsificate dal progresso delle conoscenze.
[5] Cfr. Lyell 1833, pp. 61-83.
[6] Cfr. Lyell 1833, p. 68.
[7] Nella Tavola IV del terzo volume (cfr. Plates IVe relativa didascalia) sono rappresentati dei microfossili rinvenuti nei terreni terziari del Bacino di Parigi, correttamente attribuiti da M. Deshayes ai Foraminifera, ma erroneamente attributi da Lyell ai Cephalopodanella didascalia corrispondente, errore di attribuzione che si ripropone, per altro, anche in Glossario alla voce Nummulities.