L’autore, gli studi, l’opera
Theodosius Dobzhansky è una delle personalità scientifiche che ha contribuito alla nascita della Sintesi moderna in biologia evoluzionistica. Nato in Ucraina nel 1900, si laurea in biologia all’Università di Kiev. Nel 1927 si trasferisce, come membro della Rockefeller Foundation, alla Columbia University proseguendo i suoi studi con il gruppo di ricerca del genetista Thomas Hunt Morgan. Nel 1936 viene nominato professore di genetica e nel 1940 docente di zoologia alla Columbia University. Dal 1962 al 1971 lavora al Rockefeller Institute di New York. Si trasferisce poi all’Università di Davis in California. Molte sono le onorificenze ricevute e gli incarichi ricoperti, tra cui la presidenza dell’American Genetic Association, la partecipazione alla National Academy of Sciences, alla Royal Society e all’Accademia Nazionale dei Lincei in qualità di Socio Straniero.
Con le sue ricerche, che si focalizzano maggiormente sullo studio della Drosophila (il moscerino della frutta), getta le basi della genetica evoluzionistica. Il contributo più rilevante si può individuare nella forte relazione che Dobzhansky stabilisce tra le leggi della genetica mendeliana e quelle dell’evoluzione darwiniana. Egli infatti interpreta le molte evidenze sperimentali alla luce di tale connessione, introducendo una serie di nuovi concetti e definizioni.
La «sintesi evoluzionistica», o sintesi moderna, giunge a pieno compimento con una conferenza, divenuta poi celebre, organizzata a Princeton nel 1947 sul tema “Genetica, paleontologia ed evoluzione”. A questa conferenza partecipano genetisti, biologi, paleontologi, zoologi e sistematici, esponenti di tutte le discipline che negli anni precedenti si erano contrastati, consapevoli ormai che le proprie ricerche stavano convergendo verso la costruzione di una struttura teorica unitaria in cui i risultati di ogni singola disciplina avrebbero trovato piena comprensione solamente nel rapporto e nel dialogo con tutte le altre, attraverso una spiegazione in termini evoluzionistici. La «Sintesi» giunge alla sua piena attuazione proprio con i lavori e le ricerche di Theodosius Dobzhansky che realizza una ricapitolazione di tutto il lungo, travagliato e complesso percorso che ha portato dalla enunciazione della teoria evolutiva darwiniana alla formulazione della teoria sintetica. La teoria dell’evoluzione diventa dunque, proprio con Dobzhansky, la teoria unificante di tutta la biologia.
Alla luce di tale orizzonte dunque è possibile comprendere non solo l’importanza delle ricerche, ma anche dell’opera del grande biologo e genetista ucraino che andiamo di seguito ad analizzare. Il testo di Dobzhansky dal titolo L’evoluzione della specie umana, pubblicato nel 1962 con il titolo originale Mankind Evolving. The Evolution of the Human Species, si inserisce a pieno titolo in questo quadro sintetico che analizza ogni fenomeno biologico e culturale alla luce del sistema evolutivo darwiniano. L’opera presenta una vasta e ampia trattazione dei meccanismi che hanno regolato e regolano tuttora lo sviluppo della specie umana. Il filo rosso che lega Charles Darwin e Theodosius Dobzhansky è subito enunciato: la concezione dell’umanità come un tutto che si è evoluto e continua ad evolversi. L’aspetto sicuramente più interessante e degno di nota dell’opera, riguarda l’elaborazione e la visione dell’evoluzione stessa. Secondo Dobzhansky, infatti, essa non può essere intesa come un processo che riguarda puramente gli aspetti biologici della vita né può essere circoscritta e definita come storia della civiltà. L’evoluzione si dispiega e si manifesta nelle due componenti fondamentali dell’essere umano, quella biologica e quella culturale, che, come parti complementari di uno stesso sistema, assolvono alla medesima funzione, quella cioè di adattamento e di controllo dell’ambiente in cui l’uomo opera.
Vari e diversificati sono i temi trattati da Dobzhansky nell’opera in questione: teorie antropologiche, filosofiche e sociologiche, accanto ad aspetti riguardantile leggi genetiche e le mutazioni, l’influenza dell’ambiente e dell’educazione sull’individuo, i meccanismi dell’evoluzione, il significato biologico e la formazione di nuove specie, il concetto di razza, classe e casta, la comparsa dell’uomo e le tappe evolutive. I vari capitoli dell’opera si possono dunque interpretare come risposte ad un’unica domanda: “fino a dove l’evoluzione umana può essere compresa, se guardata dal punto di vista della genetica moderna e della teoria biologica dell’evoluzione?”.
L’opera del grande genetista, benché superata relativamente ad alcuni temi e concetti, come in seguito si cercherà di mostrare, merita di essere analizzata da uno studioso interessato non solo alla genesi delle teorie neodarwiniane, ma anche ad una riflessione e ad una visione interdisciplinare dei meccanismi evolutivi sviluppata da uno dei padri fondatori della Sintesi moderna, capace di mettere in relazione dati scientifici e sperimentali con le più alte manifestazioni e acquisizioni della cultura umana, in grado di restituirci una visione dell’uomo e dell’umanità organica, completa e profonda. Il carattere fortemente interdisciplinare nello studio dell’essere umano è quindi presente in tutta l’opera ed è lo stesso Dobzhansky, spesso, a promuovere un dialogo tra discipline e studi apparentemente lontani o in disaccordo.
Biologia e cultura alle radici dell’evoluzione umana. Organico e superorganico
La pubblicazione dell’Origin of Species di Charles Darwin nel 1859 segna per Theodosius Dobzhansky un punto di svolta fondamentale, origine di ogni dibattito sulle modalità di sviluppo e di vita degli esseri viventi, compreso l’uomo. Darwin introduce una “interpretazione nuova dell’essenza dell’uomo e del posto che egli occupa nell’universo”. Nel primo capitolo dell’opera l’Autore ci propone un quadro storico entro cui collocare la teoria evolutiva darwiniana. Attraverso una mirabile opera di sintesi, si ripercorre la storia del concetto di sviluppo, evoluzione e trasformazione in cosmologia, geologia e biologia – sono citati autori quali Newton, Condorcet, Marx, Vico, Kant, Lyell – che culmina per Dobzhansky nella formulazione della teoria evolutiva di Charles Darwin. Lo scienziato inglese fornisce la chiave di volta per la comprensione dello sviluppo e del destino della vita sulla Terra, coordinando e armonizzando la grande massa di dati sperimentali disponibili in modo tale da rendere la sua teoria intelligibile e convincente. Oggi l’evoluzione è un fatto provato “come è provato che la Terra compie una rivoluzione completa intorno al suo asse ogni ventiquattr’ore”. Inserendo la comprensione dell’evoluzione del vivente in un contesto storico, Darwin dunque ha avuto anche il merito di avvicinare le scienze naturali alla storia, alla dimensione temporale degli eventi. Molti studiosi hanno quindi applicato le sue scoperte alla comprensione dello sviluppo sociale, della storia umana e della cultura. Dalla teoria evolutiva ha dunque preso avvio la riflessione di molti antropologi culturali – come ad esempio Taylor e Spencer – che inizialmente hanno cercato di estendere il concetto di evoluzione allo studio della cultura. Il distacco successivo delle due discipline (biologia e antropologia) non fa comunque perdere la speranza che si possa arrivare ad una riunificazione e a una più completa sintesi.
L’applicazione distorta dei principi biologici darwiniani alla società umana ha portato in passato alla formulazione dei postulati del darwinismo sociale. Traslando concetti quali la “lotta per la vita”, la “selezione naturale” e la “sopravvivenza del più adatto” dal campo biologico all’orizzonte della comprensione delle società umane, il progresso dell’uomo veniva letto come una lotta e una competizione tra individui, classi sociali, “razze”. Questa lotta era interpretata come la “forma più alta di selezione naturale”. Il passo successivo, afferma Dobzhansky, è stato quello dell’esaltazione di una razza superiore a scapito di una razza inferiore. Le teorie eugenetiche di Galton, insieme a quelle dei darwinisti sociali, erano state utilizzate ad esempio dalla Germania nazista proprio per ampliare il divario tra scienza sociale e scienza biologica, quest’ultima ritenuta ormai inutile per comprendere lo sviluppo delle società umane.
La strumentalizzazione del darwinismo, ad opera delle varie forme di darwinismo sociale, per molti decenni, fino al 1940, si è rivolta contro lo stesso darwinismo, dimentico delle sue radici profondamente biologiche. La riflessione e le ricerche di Dobzhansky hanno inizio proprio dalla presa di coscienza di quest’ultimo aspetto, al fine di riportare la discussione sull’evoluzione umana su un terreno pienamente e consapevolmente biologico, dove le relazioni e le connessioni con altre discipline risultano fondamentali nella comprensione del cammino evolutivo dell’uomo.
Uno dei contributi più importanti di Dobzhansky, che espone con chiarezza e mirabile capacità di sintesi lungo tutto il percorso dell’opera, è proprio l’affermazione che i cambiamenti genetici e sociali sono il risultato dell’interazione tra organismo e cultura da una parte e ambiente dall’altra. Questa, sottolinea il genetista, è la giusta rotta da seguire, il percorso tracciato dal neodarwinismo e dalla teoria sintetica dell’evoluzione. Nella disputa tra coloro i quali ritengono che i cambiamenti evolutivi siano ectogenetici (imposti dall’esterno dell’organismo) oppure autogenetici (derivati cioè dall’organismo stesso), l’Autore si posiziona in un nuovo orizzonte, tra coloro che riconoscono come “l’adattamento all’ambiente sia il principale agente dell’evoluzione organica”: la nuova prospettiva epistemologica inquadra dunque l’evoluzione della vita, in particolare quella umana, all’interno di un particolare sistema formato da una fitta rete costituita da nodi relazionali tra individuo e ambiente, natura e cultura. Dobzhansky è sempre molto attento, nella stesura dell’opera, ad evitare frammentazioni, scissioni e divisioni tra discipline e aree di ricerca che farebbero perdere quella visione d’insieme della manifestazione umana che solo attraverso una ricomprensione sintetica può apparire in tutta la sua magnificenza e “meraviglia”. Le digressioni e le citazioni di vari filosofi, scienziati, intellettuali, non sono mai momenti di pausa del testo, ma sono pienamente inserite come parti fondamentali e necessarie per giungere al godimento finale del fenomeno uomo.
Sempre nel capitolo primo, uno tra i più ricchi di spunti interdisciplinari, Dobzhansky riprende sia la nozione di evoluzione intesa come sviluppo biologico inserito nel contesto storico-temporale, sia il punto di vista di molti umanisti, tra cui il filosofo Ortega y Gasset. Afferma, dunque, che “la tesi che sarà esposta in questo libro è che l’uomo possiede una natura e una storia”. L’evoluzione umana ha per il genetista due componenti: una biologica, definita “organica”, e l’altra culturale, definita “superorganica”. Le due componenti non si escludono, anzi, si completano a vicenda, sono dipendenti e interconnesse:“esiste un feedback fra il processo biologico e quello culturale”. In un punto preciso, ancora oggi non ben individuato, esiste un salto, una discontinuità nell’evoluzione dell’uomo dove le leggi della biologia non sono le uniche a determinare la sua evoluzione ma sono affiancate o addirittura sostituite dalle leggi della cultura e dell’evoluzione sociale. Tale discontinuità, continua Dobzhansky, tale dicotomia “diventa ingannevole, se spinta troppo oltre”. Le divisioni, se utili per indagare gli aspetti più tecnici e specifici, conducono ad un falso sapere se estremizzate. La tesi di fondo, che Dobzhansky espone chiaramente solo alla fine di questo primo importante capitolo, è quella che vede la nascita – riprendendo le parole di Cassirer – di una “nuova dimensione di realtà per l’uomo”, dove “nel produrre la base genetica della cultura, l’evoluzione biologica ha trasceso se stessa – ha prodotto l’evoluzione superorganica”. Tale trascendimento però non annulla l’evoluzione organica: l’evoluzione umana non è ancora compiuta, non ha subito alcuna interruzione. L’uomo continua ad evolvere in un processo in cui evoluzione biologica e culturale sono “parti dello stesso processo”, prodotti di uno stesso seme, parti complementari di un identico sistema.
Tutta l’opera di Dobzhansky che stiamo qui analizzando consiste in una giustificazione e una esplicitazione di questa tesi, di questo aspetto “spesso trascurato o mal espresso” che vede biologia e cultura come componenti fondamentali dell’evoluzione umana, entrambe in azione e in connessione l’una con l’altra. Il testo affronta dunque i molteplici aspetti legati allo sviluppo umano quali la comprensione dei meccanismi evolutivi che generano la diversità, il rapporto tra genetica e ambiente, i processi che regolano l’ereditarietà dei caratteri, la genetica di popolazione e i cambiamenti ambientali, le tappe biologiche del cammino evolutivo dell’uomo.
Eredità, geni e ambiente. Comprensione dei meccanismi evolutivi tra superamento dei dualismi e interdipendenza di variabili genetiche e ambientali
A partire dal capitolo secondo fino al capitolo quinto, Dobzhansky affronta il problema della produzione della diversità, esaminando i fenomeni ereditari, i geni e le correlate leggi genetiche, il rapporto tra queste e l’ambiente. Il percorso che ha condotto alla rivalutazione e all’accettazione della genetica mendeliana è stato lungo e pieno di varianti e strade alternative. Le basi fondamentali della moderna teoria genetica vengono poste solo da Mendel, i cui esperimenti e le cui leggi vengono riscoperte agli inizi del XX secolo. Ciò che rende le leggi mendeliane e quindi l’esistenza dei geni affidabile e certa, per Dobzhansky, sono proprio le numerose prove, frutto di esperimenti scientifici, differentemente dalle altre teorie precedenti che deducevano solo attraverso una pura speculazione l’esistenza di particolari elementi che potessero spiegare i fenomeni ereditari. Le leggi dell’eredità chiariscono definitivamente il legame tra cellule sessuali ed eredità, definendo i concetti di gamete (cellula sessuale umana) e zigote (nuovo individuo, risultato della fecondazione tra gameti, che possiede in duplice copia ogni tipo di geni). La riscoperta delle leggi di Mendel,applicate all’evoluzionismo darwiniano,ha dato avvio ad una serie di studi e ricerche che hanno trovato il culmine proprio nella formulazione della teoria sintetica dell’evoluzione, di cui Dobzhansky rimane uno dei padri fondatori, oltre che a quel ramo della biologia definita biologia molecolare, che nell’opera non viene menzionata. Nel 1909 Johansen propone un nome semplice per i costituenti ereditari delle cellule sessuali: “geni”. Grazie allo studio approfondito dei geni e allo sviluppo della teoria genetica, “la biologia non solo riconosce l’assoluta individualità e unicità di ogni persona e di ogni essere vivente, ma fornisce anche una spiegazione razionale di questa unicità”. L’entusiasmo di fondo che si respira dalla lettura dell’opera riguarda proprio la percezione, intuita da Dobzhansky, del grande potenziale della biologia che, con le nuove ricerche sui geni e sui cromosomi, ma soprattutto con la scoperta nel 1953 da parte di Watson e Crick del DNA, riesce a far luce sul lungo e difficile percorso di comprensione e ricostruzione dei meccanismi che regolano la vita e la sua evoluzione.
Dopo aver chiarito alcuni concetti quali quelli di genotipo (la totalità dei geni che costituiscono l’eredità biologica) e di fenotipo (le caratteristiche osservabili dell’organismo), Dobzhansky pone, attraverso varie esemplificazioni, una delle questioni ancora oggi tra le più dibattute in biologia. Ogni genotipo interagisce con l’ambiente; poiché tutti i tratti del fenotipo sono determinati dal genotipo, “fino a che punto le differenze che si osservano fra due persone sono dovute a cause genotipiche o fino dove a cause ambientali?”. La domanda riguarda un problema oggetto di accesi dibattiti fin dagli anni Sessanta del Novecento, mentre Dobzhansky pubblica la sua opera. Il problema del rapporto tra individuo e ambiente era già stato posto efficacemente da Charles Darwin. Il neodarwinismo, forte delle acquisizioni della genetica, riprende tale problema cercando nuove risposte. L’eredità consiste “nell’autocopiarsi dei geni”, essa è dunque una forza conservatrice che però reca in se stessa un punto di debolezza connaturale, ovvero la possibilità di errore. Un gene può quindi produrre una copia non perfetta di sé e dar vita ad una mutazione. La mutazione rappresenta la vera sorgente delle trasformazioni evolutive e spesso è la base della sofferenza umana quando porta con sé malformazioni, debolezze o malattie.
La mutazione stessa è uno degli argomenti sui cui Dobzhansky si sofferma più a lungo. Indagare le origini delle mutazioni in natura e i meccanismi di produzione di tali differenze all’interno delle popolazioni umane è un interrogativo che rappresenta per Dobzhansky, come anche per la biologia moderna, una delle frontiere da esplorare. La tesi dell’Autore – improntata sul superamento della visione dualistica anche in campo biologico – è che le diversità fenotipiche possono essere prodotte dall’interazione tra variabili genetiche e ambientali, non necessariamente dalle une o dalle altre singolarmente. Molte sono le discipline che per Dobzhansky tendono a separare gli sviluppi culturali da quelli biologici e genetici nell’uomo. L’Autore cita gli studi classici di Lorenz sul condizionamento e sull’apprendimento basato sull’imprinting o “impressività” (secondo cui alcune specie di pennuti, appena usciti dal guscio, tendono a seguire la prima cosa che vedono muoversi, generalmente la madre) gli studi sull’attaccamento infantile e quelli della psicoanalisi freudiana – a cui dedica alcune pagine di riflessioni – che prestano poca attenzione al problema ereditario e genetico, ritenendo la formazione dell’individuo determinata solamente da variabili ambientali. Le valutazioni finali di Dobzhansky aprono ad un possibile confronto con tali discipline, nella speranza che le scoperte di Freud e dei suoi successori possano accordarsi con le leggi della genetica moderna.
Così come il linguaggio, una delle più importanti caratteristiche che differenzia l’uomo dagli altri animali, non rappresenta solo un modo di comunicare ma influenza la stessa personalità umana (non è solo un veicolo ma anche “formatore di pensiero”), allo stesso modo la cultura, secondo il genetista ucraino, è sorta e si è sviluppata nel corso dell’evoluzione umana a partire da una “base genetica che la rendeva possibile”. L’uomo ha continuato a modificarsi, ad evolversi biologicamente e culturalmente: “escludere a priori dallo studio della cultura ogni considerazione sulla base genetica è contrario alle norme elementari della procedura scientifica”.
I temi, le evidenze sperimentali, le osservazioni e gli esempi che Dobzhansky riporta e affronta successivamente a tale affermazione conclusiva del capitolo terzo, si dirigono nell’ottica di una visione d’insieme che vede quindi la cultura come acquisizione umana recente sorta e condizionata da una base biologica e genetica, dove nessuna delle due componenti risulta “sovrana assoluta” ma entrambe interagiscono e collaborano. Su questa linea di ricerca si inseriscono le riflessioni sullo sviluppo biologico e culturale di gemelli identici e gemelli fraterni, influenzati da uno stesso ambiente o da ambienti diversi; sul concetto di intelligenza e sugli studi di Sheldon relativi ai somatotipi (che sottolineano una correlazione tra aspetti fisici e tratti mentali nell’essere umano).
Il capitolo quinto dell’opera si concentra sui fattori ereditari come causa delle malattie e su come gli aspetti culturali influiscono sulla presenza più o meno marcata di una patologia o un disturbo all’interno di una popolazione. Dobzhansky si sofferma in particolare sulla nozione di “poligeni” (insieme di geni che determinano un carattere fenotipico), sulle caratteristiche genetiche dei nani acondroplastici e su come l’influenza della cultura possa dirigere un fattore ereditario (“molti nani non contraggono matrimonio forse perché il loro aspetto differisce dagli ideali di bellezza prevalenti nella nostra cultura”). L’Autore approfondisce anche patologie quali il diabete mellito o la distrofia muscolare. Interessanti sono le riflessioni sulle malattie mentali e su come i portatori di un gene dominante di una particolare psicosi maniaco-depressiva possono diventare psicotici solo se esposti a particolari circostanze nel corso della loro vita – dunque solo se determinati fatti culturali agiscono di concerto con “geni modificatori”.
Il cammino dell’evoluzione umana. Selezione naturale, mutazioni, classe, casta e razza
Charles Darwin, nel suo scritto On the Origin of Species pubblicato nel 1859, ha teorizzato la nozione di selezione naturale, un processo biologico meccanico, cieco, “automatico, impersonale”. La selezione costituisce il motore dell’evoluzione, essa agisce direttamente su una materia prima costituita da quelle che vengono definite mutazioni. Dobzhansky afferma che la selezione agisce sia eliminando le deviazioni (“selezione stabilizzante o normalizzante”) sia producendo la trasformazione della specie (“selezione direzionale”).
Le mutazioni possono essere utili o dannose per l’individuo. Dobzhansky preferisce non sostenere l’esistenza di mutazioni neutre “poiché la neutralità è soltanto il punto zero in una scala continua di adattamento”. Le caratteristiche di utilità o danno riferite alle mutazioni o variazioni genetiche sono però strettamente legate ad un dato ambiente: un genotipo può risultare avvantaggiato o prospero in un ambiente e svantaggiato e sofferente in un ambiente diverso. La relazione tra genetica e ambiente quindi, è anche in questo caso pienamente attiva poiché gli effetti delle mutazioni sull’adattamento dipendono direttamente dall’ambiente stesso.
Nel processo evolutivo umano sono intercorse molte mutazioni utili che la selezione naturale ha favorito. Tuttavia il numero di mutazioni dannose è di gran lunga maggiore rispetto alle mutazioni vantaggiose. Per comprendere come agisce la selezione naturale è fondamentale secondo Dobzhansky riferirsi ad aspetti quantitativi. Il riferimento alla genetica delle popolazioni e alla legge di Hardy-Weinberg è importantein questa nostra riflessione dal momento che tale legge costituisce una componente fondamentale della teoria sintetica dell’evoluzione. Se da un lato la selezione normalizzante tende ad eliminare le mutazioni dannose – pur senza una perfetta efficienza, tanto da costituire un “carico genetico” nell’organismo – la selezione direzionale, al centro dei pensieri di Darwin, rappresenta la causa più importante delle trasformazioni macroevolutive.
Il capitolo settimo è dedicato interamente all’analisi del cammino evolutivo umano, prendendo in considerazione dettagliatamente i cambiamenti biologici e culturali che hanno portato all’attuale sviluppo della nostra specie. Molti sono i dati paleontologici che mancano a Dobzhansky per ricostruire fedelmente l’evoluzione dell’uomo. Tali assenze sono la causa di numerosi errori di prospettiva. Ad esempio Dobzhansky attribuisce ad Austalopithecusla capacità di fabbricare strumenti e l’industria olduvaiana, oggi attribuita ad Homo habilis. Tra i vari fossili umani mancanti perché ancora non scoperti nel 1962 – anno di pubblicazione dell’opera – si citano proprio quelli relativi ad Homo habilis.
Nel capitolo ottavo Dobzhansky analizza lo sviluppo delle facoltà mentali dell’essere umano. La differenziazione cerebrale e il processo di cerebralizzazione (aumento della massa encefalica) definiscono la caratteristica principale del genere Homo,insieme ai suoi correlati quali il linguaggio, l’arte e l’estetica. La plasticità cerebrale è la qualità che ha reso la specie umana estremamente adatta ai vari tipi di ambiente ed è stata dunque favorita dalla selezione naturale. La tesi fondamentale sostenuta da Dobzhansky è l’affermazione che il patrimonio genetico della specie umana si è evoluto “come risultato dello sviluppo della cultura e di pari passo con essa: il che significa che l’evoluzione biologica e l’evoluzione culturale sono interdipendenti”. Probabilmente la nostra cultura ha contribuito in maniera importante a produrre la nostra stessa struttura. Il significato adattivo e biologico della cultura si mostra in tutta la sua forza soprattutto nella caratteristica che più distingue l’uomo dagli altri animali, ovvero la capacità artistica ed estetica. Riprendendo le tesi di importanti filosofi ed antropologi quali Durkheim e Malinowski, Dobzhansky ipotizza che l’attività artistica intensifichi l’adattamento delle popolazioni umane in quanto origine e radice di coesione sociale. Il significato delle esperienze estetiche e religiose forse consiste proprio“nell’aver umanizzato quella bestia indisciplinata, Homo sapiens”.
I capitoli nono e decimo si soffermano su aspetti e ipotesi che nel corso degli anni si sono rivelati errati. Questo è il caso del concetto di razza e della classificazione delle varie tipologie razziali in base alla distribuzione geografica. L’Autore, attraverso un’analisi delle caste indiane, delle classi sociali in Cina e degli ebrei, giunge alla formulazione di varie ipotesi, in linea generale smentite dalla moderna biologia, secondo cui ad esempio la specializzazione in una attività può rendere un individuo biologicamente e socialmente adatto e che il più potente mezzo di adattamento biologico è rappresentato da una “educabilità geneticamente condizionata”.
L’evoluzione in cammino. L’uomo come centro spirituale dell’universo e “freccia ascendente della grande sintesi biologica”
L’ultimo capitolo dell’opera si può definire un capitolo di “speranza” in cui Dobzhansky tocca temi quali la coscienza di sé, il rapporto tra evoluzione ed etica e le possibilità evolutive future per l’uomo. Attraverso un lungo percorso tra prove sperimentali e ipotesi scientifiche si è giunti alla consapevolezza che la specie umana dal punto di vista biologico rappresenta un successo straordinario proprio perché dal punto di vista adattativo la cultura ha permesso veloci cambiamenti: l’evoluzione culturale è diventata “la più potente derivazione dell’evoluzione biologica”.
L’uomo è oggi in grado di trasformare e adattare il suo ambiente ai suoi geni; è capace di vivere in due “mondi” contemporaneamente, nel mondo biologico e nel mondo culturale, due ambiti strettamente interdipendenti dove la cultura può durare fin tanto che l’umanità possiede “l’attrezzatura genetica” che la favorisce e fino a quando ci saranno geni che “creano l’incastonatura dei caratteri culturali”, viceversa, l’uomo in quanto entità biologica non potrebbe sopravvivere senza il vantaggio della cultura.
Uno dei prodotti più tardi dell’evoluzione umana, se non l’ultimo, ma il più profondo a affascinante, è rappresentato dall’oggettivazione o dalla coscienza di sé. Con essa l’uomo diviene conscio della suo essere, del suo ambiente, della sua persona. La coscienza di sé rappresenta però quella che Dobzhansky definisce la “caduta dell’uomo”. Esso si eleva allo stato di “signore del creato”, con le proprie libertà e responsabilità; egli ha dunque acquisito la conoscenza del bene e del male, acquistando modelli di comportamento etici, favoriti dalla stessa selezione naturale.
Nel corso della storia culturale umana degli ultimi duemila anni, l’uomo è giunto alla consapevolezza, inaugurata pienamente da Copernico e Galilei, di non essere al centro di un universo creato esplicitamente per lui. Con la rivoluzione psicoanalitica operata da Freud l’essere umano perde poi ogni tipo di speranza nel guidare, dirigere o anche solo comprendere la propria razionalità. Infine Charles Darwin è colui che per Dobzhansky sferra il colpo più grave alla presunta superiorità umana, “rendendo irreparabile lo scisma nell’anima dell’uomo”. Eppure, continua l’Autore, l’insegnamento più profondo e più sottile di Darwin non è stato colto pienamente. L’uomo si è infatti evoluto e si sta evolvendo e “nell’abisso della disperazione”, che lo vede come solamente una delle tante milioni di specie biologiche, la certezza dell’evoluzione diventa sorgente di speranza. Se le ferite inferte all’umanità da parte di Copernico, Galilei, Freud e Darwin non collocano più fisicamente l’uomo al centro dell’universo, egli, all’interno delle stesse ceneri evolutive darwiniane, risorge come “centro spirituale”. Solo l’uomo sa che l’universo si evolve e, con esso, anche lui si evolve e trasforma il mondo stesso adattandolo a sé. Egli può controllare l’evoluzione.
La lunga riflessione di Dobzhansky termina con il riferimento ad un grande paleontologo e teologo, Pierre Teilhard de Chardin, che vede l’evoluzione della materia, della vita e dell’uomo come “parti di un unico processo di sviluppo cosmico, di un’unica storia coerente di tutto l’universo”. All’uomo moderno così solo, spiritualmente paradossale, circondato dal silenzio eterno in un punto marginale dell’universo, l’idea di evoluzione di Teilhard de Chardin sembra, per Dobzhansky, un vero e proprio “raggio di speranza”, un fascio di luce che illumina un orizzonte buio poiché vede nell’uomo una “freccia ascendente della grande sintesi biologica, l’ultimo, il più acuto, il più complesso, il più raffinato degli strati successivi della vita”.
Breve bibliografia
Ayala F.J., L’evoluzione. Lo sguardo della biologia, Jaca Book, Milano 2009;
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Spedini G., Antropologia evoluzionistica,Piccin, Padova 2005;
Tattersall I., Il cammino dell’uomo, Garzanti, Milano 2004.