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De revolutionibus orbium caelestium

Niccolò Copernico
Einaudi, Milano 1975
ISBN:
9788806403454

Prima edizione: De reuolutionibus orbium coelestium, Libri VI, apud Ioh. Petreium, Norimbergae, 1543.

Principali edizioni moderne in lingua italiana:
– De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione generale dell’universo, A. Koyré (ed.), Einaudi, Milano, 1975 (contiene i primi 11 capitoli del I libro).
– Le rivoluzioni delle sfere celesti, in Opere di N. Copernico, a cura di F. Barone, UTET, Torino, 1979.

    

Il contesto storico e scientifico dell’opera

Il De revolutionibus orbium caelestium è l’opera che sintetizza i lavori di ricerca di Niccolò Copernico. Esso è espressione della cultura rinascimentale e gioca un ruolo cardine nella storia della scienza della prima età moderna. Il trattato fu pubblicato nel 1543 a Norimberga da Georg Rheticus, allievo di Copernico, e dal teologo luterano Andreas Osiander, i quali finalmente convinsero l’astronomo a rendere note le proprie tesi. Tuttavia, il testo fu redatto molti anni prima della pubblicazione e il suo contenuto era già in qualche modo conosciuto, tanto che Copernico ne scrisse un Commentariolus e Rheticus ne compose la Narratio prima. Quest’ultima è del 1540, mentre il Commentariolus è immediatamente successivo al 1530, anno della stesura del De revolutionibus. Eppure, nella epistola dedicatoria Copernico afferma di aver lasciato non pubblicate le proprie tesi per “quattro volte nove anni”: ciò significherebbe che egli aveva concepito il nucleo della nuova astronomia nei primi anni del secolo, quando studiava in Italia. Di certo nel 1536 il cardinale di Capua, Niccolò Schönberg, con una lettera chiedeva a Cusano di divulgare le sue teorie circa il moto dei pianeti.

Alexandre Koyré ha ritenuto che la pubblicazione del De revolutionibus orbium caelestium potrebbe a buon diritto rappresentare il momento di passaggio dal Medioevo all’età moderna [1]; anzi, le tesi di Copernico segnerebbero lo spartiacque tra le due epoche, ma anche la chiusura definitiva del Medioevo e dell’Antichità insieme, ovvero di un’unica era che condivideva il medesimo sistema cosmologico. Più di Cristoforo Colombo, dunque, Niccolò Copernico avrebbe contribuito alla nascita di una nuova visione del mondo e dell’universo.

Per comprendere la portata della tesi di Copernico, è necessario delineare in maniera sommaria i tratti principali del sistema aristotelico-tolemaico, ossia di quella visione del mondo e del cosmo consolidatasi dall’Antichità fino al Medioevo e accettata quasi univocamente ancora nel XVI secolo. La cosmologia antica, pur contemplando modelli diversi con abbondanti dettagli tecnici, proponeva in sostanza un universo finito, al cui centro la Terra fungeva da fulcro immobile del movimento di tutti i pianeti. Questi, a loro volta, si muoverebbero di un moto circolare uniforme, inseriti in una serie di sfere concentriche. Come cornice di questo complesso sistema, sia Aristotele che Tolomeo avevano individuato il limite massimo dell’universo nella cosiddetta sfera della stelle fisse, che al contrario dei pianeti (errantes stellae) non si muoverebbero. Questa ultima sfera spiegherebbe perché dal punto di vista dell’osservatore (l’uomo) alcuni corpi celesti sono erranti nella volta celeste, mentre altri – in realtà pure essi in movimento, ma troppo lontani dalla Terra perché possiamo percepirne gli spostamenti – risultano permanere tra loro a distanze fisse. Per Aristotele la Terra era l’unico centro di tutti i movimenti celesti e nella Physicae nel De caelo egli aveva distinto due realtà fisiche tra loro diverse e inconciliabili: il mondo sublunare e il mondo sovralunare, costituiti da elementi diversi (i quattro elementi naturali per la Terra, l’etere per i cieli) e governate da leggi diverse (fisica terrestre versus fisica celeste). Raffinando il sistema aristotelico, Tolomeo introdusse le nozioni di epiciclo e deferente, utili a spiegare il moto retrogrado dei pianeti, cioè il loro (apparente) arrestarsi e indietreggiare, e il variare della loro luminosità nello spostamento lungo l’eclittica. Così le irregolarità dei pianeti sarebbero giustificate dal ruotare di questi ultimi non solo attorno alla Terra (secondo un cerchio deferente), ma anche e contemporaneamente attorno al fulcro del proprio epiciclo, a sua volta ruotante attorno alla Terra. La teoria di Tolomeo prevedeva dunque più punti di riferimento del moto planetario, benché tutti aventi come fulcro la Terra.

 

Copernico e l’umanesimo scientifico

La sensibilità umanistica e rinascimentale di Niccolò Copernico risalta nel suo confronto con gli antichi: egli si presenta come interprete e continuatore di alcuni autori classici e dei loro tentativi cosmografici di descrivere il cielo. La lettera di apertura al De revolutionibus dichiara l’intenzione di rivedere e correggere “l’opinione universalmente accolta dai matematici” [2], anche alla luce del fatto che rispetto ai dettagli più tecnici – come la grandezza dell’anno e le rivoluzioni dei movimenti apparenti – gli stessi matematici “non sono fra loro […] concordi” [3]. Riferendosi polemicamente all’introduzione di centri omocentrici per spiegare il moto dei pianeti, Copernico rimanda alle tesi di Eudosso di Cnido e di Callipo di Cizico, fonti di Aristotele, mentre la critica a un certo uso dei cerchi eccentrici e degli epicicli richiama lo stesso Tolomeo.

Se, da una parte, Copernico prende le distanze da quegli autori classici sui quali si sosteneva il sistema aristotelico-tolemaico, dall’altra rintraccia le tesi degli astronomi che avevano già intuito il reale movimento del cielo e dei corpi celesti. Egli narra di aver consultato i libri e le testimonianze di tutti i filosofi (a lui accessibili) “al fine di indagare se mai qualcuno avesse opinato che i movimenti delle sfere del mondo fossero diversi da quelli che ammettono coloro che insegnano matematiche nelle scuole” [4]. In questo contesto, Copernico rintraccia la testimonianza di Cicerone [5], secondo cui Iceta aveva parlato del movimento della Terra, e quella di Plutarco [6], il quale riferisce di Filolao, sostenitore della rotazione terrestre attorno a un fuoco, e di Eraclide ed Ecfanto, che avevano descritto la Terra in movimento attorno al suo centro. In particolare, già i pitagorici avevano ammesso la tesi di un cosmo sferico non geocentrico, con al centro un fuoco, fulcro della rotazione degli astri, mentre Aristarco di Samo aveva concepito la tesi della rotazione terrestre attorno al Sole. In tali considerazioni emerge lo spirito umanistico di Copernico, che guarda ai classici per costruire un nuovo sistema del mondo, fondato sulla tradizione.

Il De revolutionibus si colloca dunque nel contesto culturale dell’umanesimo scientifico, e Copernico pare voler proporsi come un nuovo lettore dei testi dei matematici antichi, come egli stesso afferma a più riprese all’inizio del trattato. Peraltro, sempre nel ‘400 e nel ‘500, gli astronomi erano in vario modo impegnati nel (ri)correggere le tavole astronomiche tramandate sino a quel momento. Punto di riferimento di tale operazione erano le Tabulae alphonsine, composte nel XII secolo in ambito ispanico e diffusesi nel XIV secolo nel resto d’Europa; a loro volta, esse si presentavano come una rielaborazione delle tavole astronomiche tradizionali. In questo senso Copernico si inserisce in un’operazione condivisa con gli altri astronomi umanisti, ovvero la riproposizione delle tavole antiche, alla luce delle nuove osservazioni e delle nuove conoscenze scientifiche.

A tal riguardo, egli si confrontò con il De sphaera mundi di Sacrobosco, che introduceva all’astronomia tolemaica e a quella araba, riunite in un’unica astronomia. Ancora, all’epoca era ampiamente diffuso il trattato di Peuerbach Theoricae novae planetarum, che riprendeva alcune rivisitazioni delle Tabulae alphonsine, dell’astronomia classica e di quella araba, e il Compendium Almagesti Ptolemaei di Regiomontano, testo che fece scuola per alcuni secoli nell’ambito degli studi astronomici e che era ben noto, ad esempio, nell’ambiente del cardinale Bessarione. Insieme a Trapezunzio, il quale fu anche traduttore di antichi trattati astronomici e matematici, questi autori sono esempi paradigmatici della sensibilità umanistica e si caratterizzano come intellettuali moderni, eppure attenti a fondare la propria novità sui guadagni già conquistati dagli antichi [7]. Proprio in tale fermento di idee e di riproposizioni di alcune tesi antiche si affaccia il lavoro di Copernico e il suo De revolutionibus.

 

Struttura dell’opera

Il De revolutionibus orbium caelestium è composto da sei libri, accompagnati da una premessa e da una lettera dedicatoria. La premessa è anonima e fu ufficialmente ritenuta opera di Copernico finché Keplero non ne attribuì la paternità a Osiander. Tuttavia, già subito dopo la pubblicazione del trattato, Osiander fu accusato di averne scritto le prime pagine e di aver così snaturato la teoria di Copernico, presentandola come una ipotesi e riducendo la portata della sua innovazione [8]. La premessa, infatti, dichiara che le tesi esposte di seguito sono una possibile, ma non necessariamente reale, descrizione del cielo. In tal modo si voleva sollevare Copernico da eventuali critiche [9]. Anche Giordano Bruno, ne La cena de le Ceneri (dialogo III), avanzerà i propri dubbi sull’attribuzione di queste pagine a Copernico, considerando la “Epistola superliminare attaccata non so da chi asino ignorante, et presuntuoso”. Il motivo dei sospetti è la diversità di registro tra la premessa e la lettera dedicatoria del De revolutionibus: mentre la lettera annuncia che saranno sostenute tesi di cui il suo autore si assume ogni responsabilità (“me nullius omnino subterfurgere iudicium”), la premessa definisce il sistema eliocentrico una mera raccolta di ipotesi, non necessariamente vere o verosimili (“neque enim necesse est, eas hypotheses esse veras, imo ne verisimiles quidem”).

Il De revolutionibus è dedicato a papa Paolo III, nell’intenzione da parte di Copernico di legittimare una tesi che, a ben vedere, all’epoca risultava molto problematica. La posizione espressa nella lettera è esplicita: “mathemata mathematicis scribuntur” (“la matematica si scrive per i matematici”). È quindi affermata la distinzione tra il campo di indagine della scienza e quello della teologia, difficilmente conciliabili se il teologo non si attiene alle Scritture. Nondimeno, Copernico ritiene che le sue teorie saranno utili anche per la Chiesa (“reipublicae ecclesiasticae”), che già nel Concilio Lateranense V aveva dibattuto della riforma del calendario.

A seguire, nel I libro Niccolò Copernico descrive i movimenti planetari e il movimento della Terra, quasi come una sorta di presentazione generale del nuovo sistema astronomico. Il II libro ha come oggetto le sfere celesti; il III spiega il moto apparente del Sole; il IV è dedicato alla Luna; il V libro è di carattere tecnico e, insieme all’ultimo, si sofferma sui dettagli della teoria delineata all’inizio dell’opera.

 

Il sistema copernicano

La nuova proposta di Copernico tiene fermi, ricaratterizzandoli e in parte correggendoli, alcuni principi dell’astronomia e della cosmologia antiche. Egli considera l’universo sferico e finito, circondato dal cielo delle stelle fisse. Certo, nel De revolutionibus sono estesi in maniera significativa i confini del cosmo, descritto come immenso (“De immensitate caeli ad magnitudinem Terrae” è il titolo del capitolo VI), ma pur sempre limitato. Di conseguenza, Copernico distingue lo spazio in maniera gerarchica, ritenendo che il centro, occupato dal Sole, sia il “luogo” più nobile e che la Terra nella sua rotazione sia molto vicina a esso. Ancora, come nell’astronomia antica, il sistema copernicano prevede che i pianeti si muovano secondo moti circolari e che le loro orbite siano costituite di materia solida. Altro punto di accordo tra Copernico e la fisica aristotelica è l’opposizione tra movimento naturale e movimento violento, per cui il movimento circolare è eterno, mentre quello rettilineo avrebbe un termine, giacché tenderebbe a riportare l’armonia che è stata alterata. Da qui la necessità di una meccanica celeste costruita su movimenti circolari.

In particolare, l’assunta circolarità delle orbite planetarie causa a Copernico problemi inattesi. Egli, infatti, sostiene di dover semplificare l’astronomia aristotelico-tolemaica per rispondere alle esigenze della fisica che, in quanto descrizione della natura, deve essere semplice come lo è la natura stessa, mentre il sistema tolemaico, con il suo complesso intersecarsi di deferenti ed epicicli, prevedeva un gran numero di circoli e calcoli molto complicati. Copernico, tuttavia, propone un sistema non molto più semplice di quello geocentrico, perché le orbite planetarie circolari che egli descrive non sono in grado di spiegare tutti i fenomeni celesti, giustificabili solo con l’introduzione delle orbite ellittiche (sarà Keplero a riconoscerle per i pianeti, mentre Brahe le attribuirà solo alle comete). Pertanto, al fine di integrare nel proprio sistema sia le osservazioni che i calcoli, Copernico introduce per ogni pianeta un epiciclo avente lo stesso tempo di rivoluzione del deferente. In tal modo, a ciascun pianeta corrisponde più di un ciclo: ciò fa sì che anche l’universo copernicano sia strutturato secondo numerosi circoli e che il sistema eliocentrico risulti solo un po’ meno complesso di quello geocentrico.

Il De revolutionibus riconosce alla Terra un moto diurno di rotazione attorno al proprio asse e un moto annuale di rivoluzione attorno al Sole. Nucleo della nuova teoria è, pertanto, l’attestazione della centralità del Sole rispetto ai pianeti, e tra questi anche della Terra. Si tratta di un cambiamento di prospettiva dirimente non solo dal punto di vista astronomico perché, come ha sottolineato Koyré, l’eliocentrismo copernicano ha scardinato tre paradigmi consolidati dalla tradizione: quello filosofico, quello teologico e quello scientifico [10]. Il geocentrismo, infatti, era ritenuto fondato sull’autorità della Sacra Scrittura (per quanto concerne la teologia), sull’autorità di Aristotele (per quanto compete alla filosofia) e sui calcoli di Tolomeo (per quanto riguarda l’astronomia). Peraltro, la centralità della Terra spiegherebbe in maniera più o meno soddisfacente i fenomeni celesti. Introdurre un cambiamento radicale come quello proposto da Copernico significava, dunque, ripensare tutti i sistemi di riferimento della cultura antica e medievale.

Quali sono le conseguenze della tesi copernicana? Per prima cosa, affermare che la Terra è in movimento attorno al Sole significa considerarla alla stregua di tutti i pianeti, ovvero uno tra gli altri. Viene così meno la distinzione aristotelica tra fisica terrestre e fisica celeste, perché la Terra è soggetta alle medesime leggi che provocano il movimenti planetari. Inoltre, se la Terra perde il proprio posto privilegiato, allora anche l’uomo non è più al centro di tutto e, conclusione ancor più importante, non è più esso stesso il centro dell’universo. Eppure, come è noto, durante il Rinascimento si consolida la riflessione sul binomio microcosmo-macrocosmo, vale a dire sul rapporto uomo-mondo, su cui si basa l’antropocentrismo del XV e del XVI secolo. A tal riguardo, in Copernico resta l’intenzione astronomica e le sue tesi non presuppongono implicazioni antropologiche. Egli non intacca l’impianto umanistico che ripone l’uomo al centro del cosmo, ma descrive il cielo senza inserirsi nel discorso antropologico. Di fatto, il sistema copernicano non destruttura il primato ontologico e cosmologico che il Cinquecento aveva attribuito all’uomo. 

Il Sole è per Copernico anzitutto centro ottico dell’universo. Si tratta di una posizione cardine non soltanto dalla prospettiva astronomica, ma anche da quella filosofica. Esso illumina il cielo, essendo il luminare primo, che garantisce la luce agli altri corpi celesti: “chi, infatti, in questo bellissimo tempio, porrà questa lampada in un altro luogo, migliore di quello da cui può illuminare tutto nello stesso tempo?” [11]. Tale funzione ottica lo rende anche, di conseguenza, centro geometrico dell’universo. Resta allora da spiegare come Copernico giunga a sovvertire il sistema geocentrico della tradizione. Egli considera che, a partire dal principio di relatività ottica, il movimento che ci appare nella volta celeste può essere l’esito o del movimento del cielo, o del movimento della Terra, cioè del nostro punto di osservazione. Ebbene, per Copernico è più conveniente sostenere la tesi del movimento terrestre, perché essa spiega i fenomeni in una maniera più semplice di quanto faccia la tesi contraria.

Tale assunto, che ha come presupposto l’ammissione di un centro dell’universo diverso dal Sole, è guadagnato da Copernico a partire dall’osservazione dei moti di Venere e Mercurio. Egli calcola l’angolo da cui osserva la distanza apparente dei due pianeti rispetto al Sole e si convince che essi devono essere interni rispetto all’orbita della Terra, “infatti, poiché i pianeti erranti sono veduti più vicini alla Terra e più lontani, di necessità si arguisce che il centro della Terra non è il centro dei loro cerchi” [12]. Ancora, che la Terra non sia il centro di tutte le rivoluzioni, trova conferma nel movimento dei pianeti, apparentemente ineguale, e nella variabilità delle loro distanze dalla Terra: l’analisi di questi fenomeni era cruciale per tutta l’astronomia antica e medievale, che non era riuscita a spiegarli pienamente ricorrendo a cerchi omocentrici alla Terra, né alla combinazione di eccentrici ed equanti. Il calcolo dell’elongazione di Mercurio e Venere rispetto al Sole è dunque un motivo fondamentale che porta Copernico a optare per il sistema eliocentrico.

 

Influssi del De revolutionibus in età moderna

Nel 1551 l’astronomo Erasmus Reinhold si basa sulla Narratio prima del De revolutionibus per comporre le tavole pruteniche; esse, volendo sostituire quelle alfonsine, espongono i calcoli che fondano il sistema copernicano. Le nuove tavole godranno di una notevole diffusione e contribuiranno a divulgare le tesi di Niccolò Copernico e la sua fama di matematico e astronomo. Le tavole saranno ampiamente impiegate per calcolare le distanze tra i corpi celesti e Cristoforo Clavio le userà nell’operazione di riforma del calendario sostenuta da Gregorio XIII.

Immediatamente dopo la pubblicazione del De revolutionibus, infatti, Copernico non fu oggetto di particolari critiche, forse anche a motivo della tanto dibattuta premessa, che in qualche modo attenuava i toni della novità. Invece, un ruolo importante fu assunto nel 1616 dal decreto della Sacra Congregazione dell’Indice, che si inserì nella vicenda Galileo proibendo la lettura e la diffusione dell’opera copernicana. Eppure, al di là delle accuse di carattere dottrinale, il De revolutionibus influenzò in maniera decisiva sia la nuova scienza, sia la filosofia rinascimentale, e Copernico contribuì al processo di unificazione dell’astronomia osservativa con la cosmologia, tradizionale appannaggio rispettivamente dell’astronomo e del filosofo. Interessante, in proposito, osservare come ildibattito originato dalla ricezione delle tesi copernicane venga messo in scena da Giacomo Leopardi nel dialogo Il Copernico, tratto raccolto nelle sue Operette morali.

Tra i filosofi della natura, Giordano Bruno emerge come sostenitore delle tesi di Niccolò Copernico. È tuttavia opportuno riconoscere che il Nolano approva il sistema eliocentrico copernicano, ma si sposta dal piano prettamente astronomico e matematico a quello metafisico. Infatti, la concezione copernicana del movimento della Terra è intesa da Bruno in senso vitalistico, tanto che egli critica vivacemente il metodo copernicano: l’utilizzo della geometria quale strumento principale per indagare i moti celesti avrebbe portato l’astronomo polacco a non entrare nella verità della natura e a non andare oltre il semplice meccanismo fisico-geometrico che regge l’universo. Soprattutto, a differenza di Copernico, Bruno ritiene che l’universo sia infinito, pertanto elimina il concetto di centro in senso assoluto, pur riconoscendo il Sole come il centro della rotazione della Terra (queste tesi erano state in parte avanzate anche da Niccolò Cusano, sebbene le premesse metafisiche della sua cosmologia siano diverse da quelle bruniane).

In senso propriamente scientifico, invece, Copernico si pone all’inizio della nuova indagine astronomica, che tra il XVI e il XVII secolo determinerà un cambiamento radicale della concezione dell’universo, nonché della posizione e del ruolo del nostro pianeta. Così, Copernico fu interlocutore di Tycho Brahe, benché quest’ultimo propose un sistema geocentrico, cercando una mediazione tra il vecchio modello astronomico e le istanze delle nuove teorie. Ancor di più, Copernico fu fondamentale per Keplero, che lesse il De revolutionibus come la descrizione della verità fisica del cielo, non come una mera ipotesi matematica, e considerò se stesso un prosecutore della novità astronomica inaugurata da Copernico.


 

Bibliografia

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T.S. Kuhn, The Copernican Revolution. Planetary Astronomy in the Development of Western Thought, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1957.

O.E. Neugebauer, N. Swerdlow, Mathematical Astronomy in Copernicus’s De Revolutionibus, Springer, New York 1984.

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L. Pepe (ed.), Copernico e la questione copernicana in Italia dal XVI al XIX secolo, Olschki, Firenze 1996.

W. Shea, Copernico. Un rivoluzionario prudente, Le Scienze, Milano 1988.



[1] Cfr. De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione generale dell’universo, A. Koyré (ed.), p. VII.

[2] Ibidem, p. 15.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem, p. 19.

[5] Cfr. Cicerone, Disputationes academicae, IV 29.

[6] Cfr. pseudo-Plutarco, De placitis philosophorum, III 13.

[7] Per una ricostruzione di questo tema e del processo di revisione delle antiche tavole astronomiche cfr. F. Marcacci (ed.), Magna longeque admirabilia, Franco Cosimo Panini – Lateran University Press, Modena – Città del Vaticano, 2009, pp. 25 ss.

[8] La premessa è indirizzata “ad lectorem de hypothesibus huius operis”.

[9] Sempre nella premessa è chiarito che l’autore dell’opera non merita alcuna critica: “verum si rem excte perprendere volent, inveniunt authorem huius operis nihil, quod reprehendi mereatur, commisisse”.

[10] Cfr. De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione generale dell’universo, A. Koyré (ed.), p. VIII.

[11] Ibidem, p. 99.

[12] Ibidem, p. 55.

Pontificia Università Lateranense – Adjunct Professor, Rome Global Gateway, University of Notre Dame