Fra le edizioni in lingua francese: Voltaire [François-Marie Arouet], Traité sur la tolérance, Éditions Gallimard, Paris, 2017.
Il Trattato sulla tolleranza di Voltaire è uno dei testi più rappresentativi dell’Illuminismo francese. In questo scritto breve e agile, apparso per la prima volta nel 1763 e adesso pubblicato nell’edizione del 1765, si colgono alcuni degli elementi chiave del progetto filosofico illuminista. Prima di tutto, la fiducia incondizionata nella Ragione, riportata emblematicamente con la lettera maiuscola, arma di cui l’uomo, creatura privilegiata tra le altre, può servirsi per leggere, commentare, contestualizzare e dare significato a eventi, situazioni e concetti. Questo non per mera curiosità o per una sorta di vizio speculativo ma con l’intenzione precisa di intervenire nelle vicende storiche, tratteggiarne le conseguenze, modificarne la realtà. In questa maniera il progetto illuministico prevede di superare la distanza tra le storie degli uomini e la teoresi degli intellettuali.
Il caso Calas
Per le ragioni appena dette l’esordio di questo testo ci porta a collocarci in uno spazio e in un tempo precisi. Siamo a Tolosa, nel Sud della Francia, il 12 ottobre 1761. A sera il ricco mercante Jean Calas rinviene il cadavere di suo figlio Marc Antoine, impiccato. La disperazione dei familiari, ci racconta Voltaire, lascia subito la scena alla reazione dei tolosani. Più indiscreti che semplici curiosi, si raccolgono nei pressi della scena. Ben presto, in un crescendo di mormorii e di passaparola, la folla condanna il suo colpevole: ad impiccare il figlio è stato proprio il padre, potendo contare su una rete di supporto e di copertura. Il padre omicida avrebbe temuto che Marc Antoine, protestante come il resto della famiglia, stesse per annunciare una sua imminente conversione al cattolicesimo. Tanto basta ai tolosani per seppellire il defunto nel camposanto cattolico, attribuendogli la venerazione dei martiri, e alla giustizia terrena di ratificare la condanna già decisa dalla folla. Il padre viene dunque condannato alla tortura della ruota e alla morte, la famiglia alla rovina.
All’epoca della prima pubblicazione del Trattato, nel 1763, l’episodio raccontato da Voltaire si chiudeva in questa maniera. Ma, come accade a pochi testi filosofici, fu proprio la ricerca di giustizia che Voltaire propone in questo testo a rendere provvisoria la conclusione appena detta. Nell’edizione del 1765, infatti, compare un breve capitolo in cui si racconta di come il processo a Calas sia stato riaperto, gli indizi riesaminati e i testimoni riascoltati. La vicenda si concluderà definitivamente solamente il 9 marzo 1765, data in cui si giunge all’annullamento del processo e alla riabilitazione tanto della famiglia Calas quanto della memoria del padre Jean.
Da un episodio di cronaca giudiziaria, Voltaire imbastisce, nelle pagine del Trattato sulla tolleranza, un vero e proprio processo. Non per la morte di Marc Antoine – senz’altro suicida secondo la circostanziata ricostruzione proposta da Voltaire – ma per l’ingiusta condanna del padre Jean. Sul tavolo degli imputati l’intolleranza e il fanatismo, impersonati dalla folla, disordinata e informe, degli abitanti di Tolosa. Costoro, infatti, eleggono il colpevole assecondando un istinto viscerale di intolleranza nei confronti dei protestanti e rigettando la ricerca razionale della verità fattuale. Voltaire si riferisce a questo istinto con il termine fanatismo: è infatti in nome di superstizioni e pregiudizi di natura religiosa che la ragione si lascia obnubilare, permette l’intolleranza e con essa lo spargimento di sangue in tutta Europa.
Il contesto storico
L’episodio di Tolosa è, per il lettore moderno, una testimonianza vivida della tensione che caratterizzava la Francia del diciottesimo secolo. La gestione della pluralità confessionale era una questione complicata e aveva prodotto diversi conflitti. Dopo un periodo in cui l’Editto di Nantes (1598) aveva lasciato immaginare la possibilità di una convivenza pacifica tra cattolici e i protestanti francesi, gli ugonotti, la situazione era nuovamente precipitata con le posizioni meno concilianti dell’Editto di Fontainebleau (1683) che aveva negato la libertà religiosa per tutti tranne che per i cattolici e aveva diffuso nel territorio un clima di diffidenza e, per l’appunto, di intolleranza.
Questo è lo sfondo del Trattato di Voltaire. La critica decisa nei confronti dell’intolleranza, allora, si deve evidentemente basare su elementi circostanziati ed episodi chiave che, allo stesso tempo, portino forza alla sua argomentazione e che appaiano emblematici per il suo lettore. Più di una volta, nel corso del testo, leggiamo il riferimento alla Notte di San Bartolomeo, il sanguinoso massacro di protestanti compiuto dai cattolici a Parigi la notte tra il 23 e il 24 agosto 1572. Un avvenimento avvenuto circa due secoli prima degli eventi di Tolosa ma che doveva ancora suscitare orrore e raccapriccio.
Temi e contenuti dell’opera
Il Trattato sulla tolleranza presenta, nei suoi ventisei brevi capitoli complessivi, un andamento molto vario. Voltaire non ha remore a inserire, all’interno del testo, dossografie, aneddoti, dialoghi, recensioni, lettere private, cronache e persino una preghiera. Alla pluralità linguistica e stilistica si associa anche la tendenza ad affrontare in maniera parallela più piani della sua argomentazione. Da una parte, Voltaire intende ricostruire una sorta di genealogia storica della tolleranza, interrogandosi sulla sua evoluzione e interpretazione nelle varie civiltà, e dall’altra invece vuole proporre degli elementi teorici universalmente validi per chiarire l’importanza di estirpare questo male dalla società. Per comprendere meglio quanto Voltaire riesca a tenere coerenti, pur nell’andamento discontinuo, questi vari temi, forse vale la pena ripercorrere, le tematiche affrontate dall’autore chiarendo alcuni punti che più volte nel corso della riflessione vengono ripresi, ampliati e chiariti con accenni diversi.
Voltaire sceglie di aprire il suo trattato con una ricostruzione storica degli eventi che hanno condotto alla Riforma protestante, e quindi alla disgregazione confessionale dell’Europa, e alla successiva reazione, non tanto del clero quanto piuttosto dei regnanti i quali, ergendosi a difensori del cattolicesimo, hanno non solo squalificato le istanze riformiste ma anche iniziato un’opera di violento sradicamento delle eresie. Il riferimento esplicito di Voltaire è al progetto politico di governanti e regnanti che ritengono che l’unità politica, ovvero la tutela del proprio controllo del territorio, e l’unità confessionale debbano coincidere necessariamente. Permettere la coesistenza di più confessioni significa, per questi regnanti, mettere a rischio l’intero Stato o quantomeno la tenuta della casa regnante ed è dunque un pericolo da cui guardarsi. Voltaire, allargando lo sguardo a situazioni provenienti da contesti lontani come l’America, il Giappone e la Persia, può però dimostrare che non è così altrove. Anzi, l’imposizione di un unico credo religioso indebolisce lo Stato da un punto di vista economico e favorisce disordini e guerre civili.
Ma a Voltaire non basta smascherare gli intenti politici che muovono i fili dell’intolleranza religiosa. Il suo obiettivopolemico è, ancora più precisamente, la convinzione che la definizione di una verità possa essere appannaggio di una autorità. Si tratta, a suo modo di vedere, di una pratica storicamente superata, che ha avuto la sua massima espressione, tempo addietro, nel conformare la verità all’auctoritas aristotelica e che proprio in quegli anni sta realizzando la sua parabola discendente. Si percepisce, infatti, come Voltaire abbia l’impressione di trovarsi sull’orlo di un decisivo cambiamento culturale. Egli ritiene che imposizioni di verità dottrinali e dogmatiche siano sostanzialmente una questione del passato che i suoi contemporanei non sono più propensi ad accettare. La recente bolla Unigenitusdi Clemente XI, contenente la condanna del giansenismo, e le reazioni da questa prodotte, sono secondo Voltaire la dimostrazione di questo processo in atto. Allo stesso modo ogni discussione teologica è considerata sterile e controproducente. Questioni dottrinali come la disputa, esplicitamente citata, tra Lanfranco di Pavia e Berengario di Tours sulla transustanziazione sono agli occhi di Voltaire quisquilie evitabili responsabili di incomprensioni, conflitti, violenze. In una parola: di intolleranza. Per queste dispute teologiche Voltaire ha una definizione precisa: «malattie epidemiche», gravissimi pericoli che l’umanità è in procinto di debellare alla luce della nuova era nascente: l’Età della Ragione.
Non è un caso che Voltaire utilizzi l’aggettivo ‘epidemica’ per connotare questo centrale aspetto della patologia-intolleranza. Ricercando un fondamento giuridico all’intolleranza, infatti, Voltaire conduce la sua indagine riferendosi alla distinzione classica tra il diritto naturale e il diritto umano. Il diritto naturale, che deriverebbe dalla natura stessa dell’uomo, e quello umano, che sul primo si fonda, valgono per gli uomini di ogni latitudine. Ma l’intolleranza, dimostrano gli esempi portati, non è un fenomeno presente ovunque. Voltaire allora può concludere: l’intolleranza è fomentata e dalle contingenze storico-politiche europee e, proprio per questo, può essere vinta.
Riprendendo una analisi storica, Voltaire mostra che persino i popoli greci, che non conoscevano una precisa distinzione tra l’ambito politico e quello religioso, furono abbastanza lungimiranti da permettere la presenza di una infinità di divinità minori e la compenetrazione della religione di stato con teorie e culti anche stranieri. Allo stesso modo si comportarono i romani, i quali salvaguardarono, esercitando un genere di tolleranza, la libertà religiosa dei popoli sottomessi e conquistati. Vi è stato un momento, durante le persecuzioni dei primi secoli dopo Cristo, tuttavia, in cui l’intolleranza si è scagliata contro gli stessi cristiani. Voltaire stenta a riconoscere l’autenticità di questi avvenimenti, spesso riportati da fonti confuse e inverosimili. Queste ricostruzioni storiche rimangono, tuttavia, funzionali allo scopo: sostenere che anche nel più buio dei periodi non si sono raggiunte le crudeltà e le nefandezze delle guerre di religione a lui contemporanee.
Ebraismo e cristianesimo
Gli episodi di intolleranza religiosa rappresentano per Voltaire veri e propri abomini, più ingiustificabili della intolleranza derivata dalla politica perché perpetrati in nome di Dio o direttamente dalla Chiesa. Voltaire non si esime allora dall’indagare il rapporto tra la storia della salvezza e il concetto di intolleranza, a partire dall’Antico Testamento. Persino il popolo ebraico, nonostante fosse il popolo eletto di un unico Dio, ebbe a confrontarsi con altre religioni. Ciò prova, secondo Voltaire, come in un certo modo il Dio degli ebrei si sia confrontato con altri modi di interpretare il rapporto con la divinità, di fatto riconoscendoli.
Con maggiore attenzione andrà anche indagato, in un approccio che non può che essere figlio della tendenza deistica di Voltaire e di cui si dirà oltre, il profilo di Gesù di Nazareth, nel nome del quale venivano giustificati atteggiamenti repressivi e violenti. I passi evangelici utilizzati per motivare azioni intolleranti nei confronti dei non cristiani e dei cristiani di confessioni diverse, sono per Voltaire letti strumentalmente o palesemente travisati. A una lettura più attenta emergono, invece, molti episodi in cui il messaggio evangelico profondo e cristallino è quello della tolleranza nei confronti della diversità e del rifiuto della violenza, come emblematicamente mostrato dall’episodio del tradimento di Gesù. L’intolleranza, sostiene Voltaire, in un certo senso è proprio la causa terrena della Passione di Gesù. Con questo excursuspuò concludersi, infruttuosamente, la ricerca di una qualche giustificazione divina alla intolleranza. Non il diritto umano, non quello naturale e nemmeno quello divino possono giustificare la violenza che reprime il diritto di ciascuno di professare la propria fede, il proprio credo e di praticare i propri riti. Nessuno è titolare del diritto di ritenere la violenza uno strumento utile per mettere a tacere la posizione che si ritiene sbagliata.
Il ruolo della Ragione e dell’individuo
Per mostrare l’insensatezza della disputa teologica Voltaire utilizza, allargando il novero della pluralità stilistica tipica di questo testo, una modalità espressiva peculiare. Mette in scena la disputa teologica in una ambientazione estranea, la Cina, sottraendo il contesto europeo che è il terreno di crescita dell’“epidemia” di cui si è detto sopra, e attuando così nel lettore un effetto di straniamento che, a dire il vero, risulta molto efficace. Ascoltate le motivazioni di gesuiti e domenicani, al mandarino cinese non resta che constatare la vacuità delle argomentazioni e di mostrare la possibilità che le opinioni di questi possano conciliarsi e gli interlocutori perdonarsi, con la sola volontà delle parti.
Riportando il ragionamento in un contesto più teorico, Voltaire sostiene che leggere gli eventi e interpretare la realtà con un riferimento continuo e diretto alla Ragione, in piena conformità con le posizioni illuministiche, possa dissolvere anche i mali prodotti dalla intolleranza. L’analisi razionale, depurata di ogni convinzione dogmatica e resa disponibile all’ascolto dell’alterità, porterà inevitabilmente a disvelare la natura compossibile, cioè reciprocamente compatibile, delle identità collettive. Garantire l’esistenza di una pluralità di identità non minerebbe, infatti, l’appartenenza alla propria. Raggiunto questo punto è tuttavia necessario che venga identificato chi possa essere garante di questa pluralità, chiarito che questa possibilità debba essere negata tanto al potere politico quanto a quello religioso.
Se nessuno di questi poteri ha a sua disposizione l’autorità di definire il vero dal falso, il giusto dallo sbagliato, questo esercizio dovrà essere demandato al singolo individuo, in virtù della sua propria razionalità, di fatto eliminando il fondamento stesso della nozione di autorità. Così facendo sarà altresì necessaria una riformulazione del concetto di verità che non potrà essere più definita, paradossalmente, dalla condivisione di un’opinione ma potrà essere instaurata dalla convinzione personale con sufficiente legittimazione. L’esito di questo procedimento, confida Voltaire, è la possibilità, per ciascuno, di poter essere giudicato sulla base delle proprie azioni piuttosto che sulla stretta osservanza a regole, costumi e dogmi. Questi, infatti, pagano la loro contingenza storica e vanno scartati nella misura in cui si riferiscono al sovrannaturale.
Politica e religione
Viene quindi meno la possibilità, da parte del potere politico, di utilizzare ai propri fini il potere religioso. Una pratica per cui l’autore tiene a ricercare la genealogia. Esiste, secondo Voltaire, un momento preciso in cui l’autorità politica e quella religiosa hanno trovato il connubio perfetto per poter arrogarsi il diritto di imporre il vero e il giusto e quindi consentire l’intolleranza per il falso e l’errore. Il momento decisivo è collocato all’inizio del IV secolo d.C., in coincidenza dell’arrivo in Occidente dei barbari e il proliferare della eresia ariana. L’imperatore Costantino, allora, avrebbe dato spazio a posizioni teologiche diverse, tutte egualmente legittime e di difficile ricomposizione. Per reazione, avrebbe così dovuto imporre un unico credo esclusivo, da difendere rispetto alle altre convinzioni religiose.
La possibilità che ognuna delle posizioni presenti debba essere legittimata è, per Voltaire, scontata. Per eliminare il rischio dell’intolleranza susseguente è allora necessaria la definizione di una autorità che discrimini il vero dal falso. L’esercizio della tolleranza deve essere allora garantito anche nei confronti di chi è radicalmente diverso, chi non condivide nulla con la identità collettiva alla quale il “noi” appartiene. Ma a motivare questo atteggiamento non è una apertura fraterna o un afflato sentimentalistico. Lo spazio della condivisione è piuttosto il regno della Ragione, garante autentico della concordia. Paradossalmente, questo è evidente proprio nella preghiera a Dio, uno dei capitoli del trattato. È chiaro che, espressione massima del deismo, qui Dio è la Ragione, una potenza ordinatrice più che una intelligenza creatrice, alla quale si chiede di perdonare i limiti dell’uomo. I limiti che si chiede a Dio di perdonare, si potrebbe dire, consistono nell’incapacità dell’uomo di agire solo ed esclusivamente nel solco della razionalità, che è unica via per pacificare posizioni contrastanti e tutelare quelle minoritarie.
Questa visione deistica porta Voltaire a tenere insieme, come se fossero un legame inscindibile, la fede e l’adesione a una dottrina, un atteggiamento etico esclusivo rispetto a tutti gli altri, da imporre come unica verità assoluta, valida sempre e per tutti. Il cammino per la pace, allora, sembra essere possibile solo sottraendo dall’esperienza umana la componente fideistica e scommettendo che la pace possa costruirsi prescindendo da una autorità, in un cammino di comprensione e di ascolto anche dei più lontani e recalcitranti al dialogo. Una opzione teorica ben precisa ma non l’unica soluzione alla questione. Ripercorrendo a ritroso la storia della riforma protestante e collocandoci al suo esordio, quando già erano evidenti spaccature e divisioni, altri autori come Erasmo da Rotterdam hanno proposto un cammino simile che, salvaguardando il rispetto per ognuno, portasse alla pace per tutti, anche facendo a meno della teologia razionale e rimanendo nel solco delle religioni storiche.
Qui Voltaire ribadisce, con un testo che possiamo leggere come un grido di libertà e, insieme, come una riflessione misurata, il valore della tolleranza, al tempo stesso intrinseco e strumentale, per una società pacifica, giusta ed equilibrata. E proprio questo equilibrio, come già accennato, non è mai acquisito una volta per tutte. Necessita invece di interventi, correzioni e aggiustamenti con il mutare delle condizioni storiche e delle situazioni contingenti, nel corso della Storia, all’epoca di Voltaire e ancora ai giorni nostri.
Osservazioni conclusive
Il caso di Calas, la ricerca di una soluzione al problema della violenza religiosa e la strenua difesa della tolleranza si fondano su posizioni teoriche qui non esplicitate ma comunque rilevanti. Un esame del Trattato sulla tolleranzadi Voltaire non potrà dunque dirsi completo senza aver tentato di chiarirle. Nel ribadire in maniera inappellabile la fiducia nella Ragione, Voltaire, silenziosamente ma scientemente, espunge la Rivelazione dal novero delle verità credibili e accettabili. Preliminarmente all’analisi di qualsiasi posizione viene infatti imposto il filtro della Ragione, spesso più censorio che emendatore.
Ricomporre la totalità del reale nel razionale vuol dire imporre che l’origine e il fine del reale stesso si ricompongano e si esauriscano completamente nel dominio della razionalità. Qualsiasi esperienza che, anche a titolo di ipotesi, si collochi fuori da questa rigida corrispondenza non potrà essere accettata ma dovrà essere combattuta. Écrasez l’infâme, «schiacciate l’infame!», è il motto di Voltaire nei confronti della Chiesa Cattolica, incarnazione non solo dell’autorità ma anche di una diversa, se non opposta, soluzione alla questione.
Il cattolicesimo infatti intende il Mistero non come una zona d’ombra (ancora) non illuminata dalla Ragione, ma come ciò che invece la fonda, la instaura e la rafforza nel suo tentativo di esplicare la realtà. Inoltre essa propone un rapporto fruttuoso tra ricerca razionale e Rivelazione, che ai tempi di Voltaire ha già una storia secolare alle spalle. Tale equilibrio, fondato sul dialogo e sul confronto, riesce a mantenere insieme e valorizzare razionalità e Rivelazione, talvolta in maniera persino problematica ma in ogni caso proficua.
Resta da notare, in conclusione, come la posizione di Voltaire sulla tolleranza rimanga intricata in una petitio principii, non riesca cioè a trovare un fondamento diverso dalla stessa posizione che impone. Al tempo stesso sembra essere inefficiente nel rispondere alla varietà di questioni che si propone di risolvere, lasciando problematicamente aperte domande fondamentali. L’esempio più evidente è legato al mutuo riconoscimento. Questo, infatti, viene imposto senza che si riesca del tutto a rispettarlo. L’invito alla tolleranza crea, infatti, uno spazio franco della condivisione ma allo stesso tempo di fatto lo si viola imponendo la Ragione come unico orizzonte di vita e criterio di creazione di significato.
Bibliografia
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