Grammatica dell’assenso

per l'edizione inglese, cfr.: An Essay in Aid of a Grammar of Assent, a cura di I. Ker, Clarendon Press, Oxford 1985, 20012

testo a fronte bilingue e tr. it. in Scritti filosofici, a cura di M. Marchetto, Bompiani, Milano 2005, pp. 847-1701.


 

Collocazione dell’opera nell’itinerario del suo Autore

Il contributo di John Henry Newman (1801-1890) in campo apologetico nasce dall’esperienza del suo vissuto e dalla sua sollecitudine pastorale ancor prima che dalla sua elaborazione intellettuale. Finalità dichiarata della Grammatica dell’assenso (Essay in Aid of a Grammar of Assent, 1870) è illustrare l’itinerario con cui un credente può giungere a prestare un assenso in materia di fede, una volta riconosciutolo come ragionevole e pienamente umano. Un lettore che esaminasse in modo frettoloso l’itinerario logico–argomentativo proposto dall’Essay in Aid of a Grammar of Assent difficilmente vi riconoscerebbe — come vorrebbe invece il suo titolo — un “aiuto” a comprendere la logica della fede, specie in contesti (come quello contemporaneo) ove l’analisi razionale dell’atto di fede, o comunque l’idea di esporre larazionalità della fede, hanno da tempo abbandonato i trattati di Teologia fondamentale. In realtà, l’opera di Newman è il contrario di ciò che essa sembra a prima vista. La sua è una prospettiva antropologica, non razionale-astratta, e dunque assai prossima alla sensibilità odierna. È infatti sulla dimensione personale della conoscenza che Newman centra l’attenta valutazione di quali siano le condizioni gnoseologiche e fenomenologiche, di natura generale, che consentano di giungere con certezza ad una decisione da prendere in campi ove non vi fosse la possibilità di controllare tutte le variabili e gli aspetti del problema, condizioni che egli poi applicherà nei riguardi dell’assenso in materia religiosa. Il principale risultato di questo saggio viene comunemente indicato nel fatto che Newman vi abbia elaborato una convincente rivalutazione dell’assenso reale — cioè esperienziale, vissuto, ed eventualmente legato ad inferenze non formali — rispetto all’assenso nozionale, generalmente affidato all’inferenza formale.

L’opera vede la luce nel febbraio del 1870 e si giova delle riflessioni maturate da Newman sia nei Sermoni universitari (pubblicati nel 1843 raccoglievano discorsi tenuti nel ventennio precedente, poi rivisti e conclusi nel 1872), sia nelle lezioni impartite a Birmingham, in particolare quelle intitolate Sulla natura della fede (1847) e Sulla certezza della fede (1853). In merito al rapporto fra fede e ragione, i principali argomenti che vi ritroviamo, e che ci proponiamo di presentare qui in maggiore dettaglio, sono i tre seguenti: a) il riconoscimento dell’assenso reale (real assent) del soggetto, — oltre le possibilità fornite dall’inferenza formale e dagli assensi di carattere nozionale — quale contesto conoscitivo–razionale proprio della credenza e dunque della fede, espressione di vera “conoscenza umana”; b) il ruolo che il “senso illativo” ed una strategia per “convergenza di probabilità” possono svolgere nella determinazione di un simile assenso, con possibili applicazioni per una teologia della credibilità aperta al valore dell’esperienza del vissuto e della testimonianza; c) il valore universale-propedeutico della autentica religiosità umana — nel cui nucleo giace per Newman la “coscienza” — quale contesto di credenze e di principi capace di assumere le caratteristiche tanto di un “preambolo della fede”, quanto di un contesto di conoscenze sullo sfondo del quale è possibile riconoscere le “prove di verità” che la Rivelazione cristiana reca con sé.

Bisogna subito osservare che, in senso stretto, il percorso concettuale proposto dalla Grammatica non è un itinerario apologetico dalla non credenza alla credenza, bensì una illustrazione della ragionevolezza dell’assenso della fede; ovvero la spiegazione di come sia possibile che, in materia religione, l’essere umano, quando corroborato da sufficienti criteri di certezza, sia ragionevolmente in grado di aderire a realtà che non possono qualificarsi mere opinioni o solo idee probabili. La prospettiva fenomenologico–gnoseologica, prima che apologetica, del saggio, è mostrata anche dal fatto che il percorso svolto non è orientato a convincere della fede, ma a presentare la umanità/ragionevolezza dell’adesione alla fede, o ad una credenza religiosa in genere, per sostenere nel suo passo finale la ragionevolezza di un assenso certo alla Rivelazione — essendo i contenuti di tale assenso previamente accettati nella fede. Tale percorso, articolato nelle due parti in cui la Grammatica è stata divisa dall’Autore, può così riepilogarsi: nella prima parte si dimostra che “si può credere anche ciò che non si comprende formalmente”; nella seconda parte, si dimostra che “si può credere ciò che non si può provare in modo apodittico”. Non è tuttavia ingiustificato sostenere che la Grammatica possa anche concepirsi come una difesa filosofica della fede. Lo rileviamo da alcuni elementi. In essa si contribuisce a dare corpo, in sede filosofica, ad una idea allargata di ragione, non più identificabile con la ragione logico–formale delle scienze, un canone dominante nell’empirismo inglese al tempo di Newman. Inoltre, l’opera mostra di voler proporre un vero e proprio praeambulum fidei per il riconoscimento della verità del cristianesimo, indicandolo nella religione naturale, in certo modo espressione di recta ratio, conoscibile anch’essa in sede storico–filosofica. Infine, il saggio elabora, ancora in sede filosofica, una modalità per associare una conoscenza certa a materie oggetto di assensi reali e non nozionali, come lo è appunto la fede religiosa, mostrando la raggiungibilità di tale certezza non mediante inferenze formali e universali, bensì per convergenza di probabilità.

   

Inferenza e assenso. Assenso nozionale ed assenso reale

Il percorso proposto da Newman mette in luce, in modo propedeutico, una certa separabilità fra inferenza ed assenso. Vi sono infatti dei ragionamenti logici piuttosto stringenti che non sono tuttavia in grado di conquistare l’assenso del soggetto, mentre l’assenso può perdurare anche quando le inferenze logiche che lo avevano preparato non si ricordano più, o non si riconoscono più come probanti. Inferenza ed assenso sono due atti diversi ma non indipendenti, in quanto l’assenza della prima può certamente ostacolare il secondo. Una differenza importante è che l’inferenza resta sempre condizionata, mentre l’assenso è incondizionato; la prima si fonda sulla presenza di probabilità, poche o molte, e non può mancare di mescolarsi col dubbio, mentre il secondo esprime l’adesione a un contenuto o a una cosa reale, colti come verità e, pertanto, non può essere simultaneamente un atto dubbioso (cfr. tr. it. in Scritti filosofici, a cura di M. Marchetto, Bompiani, Milano 2005, pp. 1163-1165). In sede religiosa, ma anche semplicemente esistenziale, è l’assenso ad acquistare importanza. Mediante assensi si esprimono la fede e le credenze, il soggetto aderisce ai giudizi della prudenza e del buon senso. Si tratta assai spesso di assenso a ragionamenti non dimostrativi: tale è il modo ordinario con cui la conoscenza umana si esprime, cresce ed intesse relazioni inter-personali. «L’assenso in base a ragionamenti non dimostrativi è un atto troppo universalmente riconosciuto per essere irrazionale. […] Nessuno di noi può pensare o agire senza accettare le verità, non intuitive, non dimostrate, eppure sovrane. Se la nostra natura possiede una costituzione, delle leggi, una di esse è questo assoluto accettare come vere proposizioni che si trovano al di fuori del limitato raggio delle conclusioni nelle quali è impastoiata la logica, formale o virtuale» (p. 1145).

Ancora propedeuticamente, Newman distingue poi l’assenso nozionale, che prestiamo a formulazioni in genere universali ed astratte, dall’assenso reale, col quale aderiamo ad una realtà vitale o comunque da noi percepita come tale. Risulta chiaro che l’assenso sia un atto della volontà con il quale si accetta una proposizione (assenso nozionale) o un realtà (assenso reale) riconoscendole come vere, grazie ad opportune inferenze e criteri di certezza, ovvero in presenza di ragioni o di motivi che sostengono tale riconoscimento: l’assenso non ammette gradi, perché non si può essere più o meno certi di una verità. Per mostrare la possibilità, in materia religiosa (Dio, i suoi misteri, ecc.), di passare da un assenso nozionale ad uno reale — cose di per sé non evidente — Newman sviluppa la sua prova dell’esistenza di Dio dalla coscienza, la quale, in certo modo, ci assicura un accesso reale, cioè immaginativo e non meramente proposizionale, alla realtà-presenza di Dio.

Fondare la possibilità di un assenso reale in materia religiosa equivale a mostrare che oltre al “Dio dei teisti” (che nel discorso di Newman possiamo ragionevolmente assimilare al Dio dei filosofi), si può avere anche una cognizione di Dio proveniente dall’ambito della vita reale, come dettato appunto dalla coscienza, grazie alla quale il soggetto esercita un’apprensione reale circa un Sovrano e Giudice, un Dio provvidente e rimuneratore. Ne risultano così legittimati sia l’accesso religioso a Dio, sia la ricerca di un efficace raccordo con quanto ricavato dal ragionamento per inferenza (prove filosofiche della sua esistenza) oppure da assensi di natura nozionale (formulazioni teologico–razionali sui suoi attributi).

 

Come raggiungere conoscenze certe in base ad assensi reali, nell’ambito delle conoscenze pratiche e non formalizzabili?

L’analisi proposta da Newman si imbatte a questo punto in un problema: una volta mostrata l’importanza dell’assenso in materia religiosa, resta da vedere come raggiungere in questo ambito delle conoscenze certe, essendo la certezza una proprietà delle inferenze formali, non raggiungibile quando si ha a che fare con conoscenze pratiche. «La scienza, lavorando per se stessa, raggiunge la verità in astratto, e la probabilità in concreto; ma ciò a cui aspiriamo è la verità in concreto» (p. 1315). Se volessimo, in modo forzoso, risolvere dei problemi concreto–particolari (qual è il miglior medico del paese?) mediante delle inferenze logiche, non potremmo mai farlo in modo apodittico, ma giungeremmo soltanto a delle probabilità. Inoltre, fra i limiti del ragionamento logico è da annoverarsi il fatto che esso dipende a sua volta da basi indimostrabili, ovvero da principi primi collegati al contesto esistenziale del soggetto (cfr. p. 1301).

Perché non lasciarsi allora guidare, anche in materia religiosa, solo dall’opinione e dalle probabilità, come facciamo in molte altre scelte umane? Tuttavia, osserva Newman, sostenere che la conoscenza e la prassi umane su temi esistenzialmente importanti siano guidate esclusivamente da una analisi delle probabilità è falso. Senza alcuni principi fermi, colti dall’intelletto come verità indubitabili, non ci possono essere decisioni: la probabilità presuppone un corpo di verità accertate. Una condotta religiosa coerente e matura non può muoversi solo sulla base di probabilità, ma necessita di certezze. Anche se il mondo può giudicare la religione cristiana come un’illusione, chi la vive e ne rispetta le esigenze lo fa perché è certo della sua verità. Come opera allora l’acquisizione di tale certezza e che rapporto essa ha con certezze di carattere logico–scientifico? Per rispondere a questa domanda, cioè come giungere ad esseri certi di qualcosa che appartiene alla sfera del vissuto–concreto, egli svilupperà la teoria del “senso illativo”. La certezza verrà riconosciuta come una qualità prima delle mente e poi delle proposizioni: chiamiamo certe le proposizioni di cui siamo certi. Vediamo brevemente come l’Autore giunge a questa formulazione.

Già nelle citate lezioni di Birmingham, Newman aveva distinto verità che si vedono e verità che si sentono. Le prime si giovano di informazioni dirette e complete e sono suffragate da prove logiche, mentre le seconde sono colte con una visione di insieme, suffragate da ragioni evidenti, anche se la verità cui si presta assenso non lo è. Queste ultime si poggiano su principi primi indimostrabili e si giovano di contesti gnoseologici remoti, posseduti implicitamente dal soggetto. Collegandosi esplicitamente alla nozione di phronesis (saggezza, prudenza) come discussa da Aristotele nell’Etica a Nicomaco, Newman aveva già in quella sede proposto la nozione di prudentia come atto in grado di unificare in un giudizio certo i vari elementi posseduti dal soggetto, anticipando le caratteristiche del “senso illativo”, come verrà poi esposto in modo compiuto nella Grammatica dell’assenso.

 

L’accumulo degli indizi e il senso illativo

Nel contesto della Grammatica, il teologo di Oxford chiarisce che l’assenso reale può giovarsi di inferenze non formali, e che queste ammettono un “accumulo di probabilità”. Tale accumulo o convergenza è possibile grazie all’azione della prudentia e delle conoscenze di carattere personale, contestuale, istintivo e non formali, che rappresentano nel loro insieme una forma di “ragione implicita”. Tuttavia, a motivo del contesto personalista in cui esso si realizza, tale accumulo ha una valenza, appunto, personale: una convergenza di probabilità riconosciuta significativa da una determinata persona potrebbe non esserlo per un'altra. Con tale procedimento il soggetto, su aspetti concreti del suo credere e del suo agire, raggiunge di fatto delle certezze. Si tratta di una certezza in continuità con ciò che chiamiamo abitualmente “certezza morale”. La ragione che coglie l’evidenza di tale certezza non è riducibile alla ragione scientifica, che opera in senso logico–formale ed è diretta al possesso completo di tutti i dati in questione. «Questo è ciò che si intende dicendo che una proposizione “vale come provata”, una conclusione innegabile “come se fosse provata”, e dicendo che le ragioni a suo sostegno “equivalgono ad una prova”, poiché una prova è il limite delle probabilità convergenti» (p. 1389).

La certezza raggiunta per convergenza di probabilità — sul cui procedimento Newman si sentì debitore a Joseph Butler autore di una influente The Analogy of Religion (1736) — è chiamata anche inferenzanaturale. Tale certezza la si riconosce collegata all’azione di un “senso illativo”, tema al quale viene dedicato l’intero cap. IX della Grammatica: «È la mente che ragiona, e che controlla i propri ragionamenti, non un apparato tecnico di parole e di proposizioni. Questa facoltà di giudicare e di concludere, quando è nella sua perfezione, la chiamo senso illativo (Illative Sense)». Esso opera non in forza dell’istruzione e della abilità al ragionamento formale, ma in virtù della naturale esperienza, della maturità, sulla base della pratica e del contesto di conoscenze previamente acquisito. Come nelle opere che prepararono laGrammatica, anche qui il riferimento è alla phronesis di Aristotele (cfr. 1441-1443).

Chiara è la valenza personale e personalista del senso illativo. Esso agisce nel centro della persona; anzi le virtualità che lo rendono operativo hanno la loro origine nella viva storia degli assensi che la persona ha maturato con la sua libertà e che costituiscono pertanto la sua personalità. Detto in termini a noi più vicini, il risultato di Newman equivale ad affermare che la mente è più del linguaggio: «Per quanto grandi siano i servigi del linguaggio nel renderci capaci di estendere l’ambito delle nostre inferenze, di provarne la validità e di comunicarla ad altri, tuttavia la mente è in sé più versatile e vigorosa di qualunque sua opera, delle quali una è il linguaggio […]. Essa decide ciò che la scienza non può decidere, il limite delle probabilità convergenti e la ragione sufficiente di una prova» (p. 1453).

In quanto alle modalità del suo esercizio e alla maniera di offrire le sue conclusioni, il senso illativo è lo stesso nonostante la diversità dei campi di applicazione, mentre in quanto alla sua concreta applicabilità, una persona può possederlo più sviluppato per un ambito che per un altro. Se persone diverse possono pervenire a conclusioni diverse, tali differenze sono ascrivibili al loro diverso vissuto, alla assunzione di premesse e principi primi diseguali. L’inferenza formale e il ragionamento possono aiutare fino ad un certo punto a sgombrare il campo dagli errori e a ridurre le differenze: sono l’ascolto della coscienza e l’amore alla verità che devono in certo modo guidare la ricerca di una comune convergenza di giudizio. L’esercizio del senso illativo è infine associato ad una sorta di compito morale: poiché è quanto di migliore noi possediamo per esercitare il giudizio in quegli ambiti (teologia compresa) nei quali nessun ragionamento potrebbe fornirci una prova apodittica della verità o dell’errore delle nostre inferenze, ciascuno di noi ha l’obbligo di svilupparlo al fine di esercitarlo nel modo sempre più corretto ed efficace.

   

Assenso in materia religiosa e credibilità della Rivelazione cristiana

Essendo il percorso di Newman finalizzato a poter valutare la ragionevole certezza della credenza/fede religiosa, la Grammatica dedica il suo ultimo capitolo, il decimo, a discutere i rapporti fra inferenza e assenso (non già quelli fra apprensione e assenso) in materia religiosa. Maggiormente fruibile in sede di teologia della credibilità, ritroviamo in questa parte dell’opera sia il riferimento a motivi di credibilità della Rivelazione (credentials, evidences), sia quello a preamboli della fede, questi ultimi specialmente riconoscibili in principi e verità naturali di ambito religioso–comune percepite dalla coscienza di ogni uomo. Va subito notato la modernità della sua concezione, che colloca le prove della Rivelazione internamente alla rivelazione stessa: essa «porta con sé le prove (the evidence) del suo carattere divino», mentre avrebbe potuto esserci stata donata «senza queste credenziali»; portando in sé «valide testimonianze (valid testimonials) del suo diritto ad esigere il nostro omaggio», la Rivelazione deve essere «accettata come un tutto» (cfr. pp. 1497-1501).

Prendendo avvio dalla citazione di s. Paolo all’Areopago di Atene, Newman sviluppa una sommaria ma significativa analisi della religione naturale, riconoscendo in essa la presenza di alcuni principi propedeutici alla fede, aventi cioè il ruolo di praeambula fidei. Ne vengono segnalati, in modo specifico, tre: la coscienza, il consenso dell’umanità e il corso del mondo. La coscienza, chiamata «la grande maestra di religione che è in noi», ci consente di formulare assensi reali verso il Creatore del mondo, riconosciuto e amato come Essere personale. Il consenso universale del genere umano in materia religiosa pone in luce non solo il senso di dipendenza da Dio, ma anche un fondato senso di colpa, ovvero la percezione di una dimensione morale di carattere interpersonale che reclama purificazione, giustifica il sacrificio e legittima il sacerdozio. Anche il corso del mondo rappresenta un accesso al tema di Dio, che si realizza però, paradossalmente, attraverso la sorpresa per il silenzio di Dio, per la sua apparente assenza di fronte al male del mondo, un interrogativo che può risolversi solo persuadendosi che Dio esiste (perché il male viene percepito come privazione ed esistono sufficienti elementi a favore dell’esistenza di una Provvidenza) ma dovendo al contempo ammettere che i nostri rapporti con Lui sono compromessi dalla colpa e dal disordine che quella ha introdotto nel mondo. Fedeli alla logica dell’itinerario newmaniano (e a quella intrinseca all’impiego dei preamboli della fede), si può affermare che i preamboli desunti dalla religiosità naturale non rappresentano alcuna prova della fede, ma individuano un contesto di ragionevoli forme del credere che può mostrare come i contenuti della Rivelazione, ricevuti ed accettati nella fede, risultino per l’uomo significativi ed in certo modo attesi.

Nella sua riflessione sulla religione Newman distingue i suoi aspetti filosofico e civile da quello genuinamente naturale: mentre i primi due sono incapaci di dare voce alla propria situazione esistenziale, segnata primariamente dal senso di colpa e dalla realtà del peccato, l’ultimo ha invece per soggetto la coscienza personale e lì vi si insedia. La tripartizione tipologica impiegata dal teologo di Oxford non corrisponde alla classica tripartizione fra theologia physica, civilis e mythica, presente in Varrone e poi in Agostino, poiché l’idea newmaniana di religione naturale, che include preghiera, mediazione, sacrificio ed anche qualche forma di rivelazione, sembrerebbe comprendere sia aspetti universali desunti dalla theologia physica, purché in quanto colti dalla coscienza, sia aspetti esistenziali validi, di genuino fondo antropologico, presenti nel mito.

Se la religione naturale può servire da base (diremmo da preambolo) per il riconoscimento della validità della Rivelazione cristiana non è attraverso un collegamento logico–inferenziale di verità, ma attraverso un collegamento fra modalità di formulare assensi, ovvero fra le modalità che un soggetto riconosce pertinenti ad una sfera religioso–naturale e quelle che un interlocutore credente ha impiegato per giungere all’opzione della fede. Newman formula così tale articolazione: «invece di dire che le verità della rivelazione dipendono da quelle della religione naturale, è più pertinente dire che la credenza nelle verità rivelate dipende dalla credenza in quelle naturali» (p. 1543). Newman è in sostanza persuaso che la prova della rivelazione del Cristianesimo sia riconoscibile da coloro i quali sono preparati, nel loro intelletto e nella loro coscienza, da quelle idee e sentimenti religiosi corrispondenti alla religione naturale. La religione naturale rappresenta pertanto un grande, organico preambolo della fede nella Rivelazione, una «preparazione formale» propedeutica alla successiva considerazione di «quelle che sono chiamate le prove del Cristianesimo (Evidences of Christianity)» (p. 1549).

Avendo ormai di fronte la Rivelazione cristiana e sancitane la preparazione attraverso la credenza nelle verità religiose naturali, Newman passa ad esplicitare alcune prove del Cristianesimo. Si tratta di prove che hanno, per così dire, due gambe: una poggiata ancora sulla dimensione “preambolare” della religione naturale, l’altra che guarda ormai al contenuto delle Rivelazione, donata insieme alle sue credenziali. In sequenza argomentativa, le prove proposte dall’Autore vertono sui seguenti temi: a) la religione naturale come sede di un senso morale che troverà poi la sua pienezza nel cristianesimo; b) la religione naturale come anticipazione e attesa della rivelazione; c) la presenza di molteplici coincidenze fra quanto la reale esistenza di Dio suggerirebbe o manifesterebbe, anche in assenza di espliciti miracoli, e quanto il corso della vita e della storia manifestano nei singoli e nei popoli; d) una accorata esposizione della attrattiva della dottrina cristiana e della sua conformità alle aspirazioni tanto individuali che universali dell’umanità. In quest’ultimo caso si tratta, è facile notarlo, di quei motivi di credibilità del cristianesimo che il successivo vocabolario neoscolastico avrebbe qualificato, rispettivamente, come oggettivo–esterni intrinseci e come soggettivo–interni. Di questi motivi di credibilità, evidentemente recati con sé dalla Rivelazione stessa, la sensibilità storica di Newman ne enfatizza l’universale capacità di appello, trattandosi di qualcosa sotto gli occhi di tutti, qualcosa che emerge dalla sua stessa storia (on the surface of its history). Vengono ancora inclusi da Newman fra i motivi di credibilità della Rivelazione cristiana: e) il compimento dell’Ebraismo nel cristianesimo, suffragato dal valore delle profezie; f) Gesù Cristo stesso come compimento messianico delle profezie; g) il rapido ed universale sviluppo storico del cristianesimo e del suo messaggio di salvezza; h) il ruolo che in tale diffusione ha giocato l’unicità della persona di Gesù, proposto da Newman con venature romantico–idealiste; i) la grande prova dei martiri, sulla quale egli si sofferma con lunghe e vibranti citazioni. In questo caso si tratta di motivi che ricorrono al segno classico delle profezie, proposto in chiave cristocentrica, alla stessa persona di Gesù Cristo e al valore della testimonianza cristiana, cui si ricollega implicitamente la Chiesa stessa. L’approdo finale sviluppato nel capitolo conclusivo della Grammatica mostra l’irrinunciabile presenza, per la compiutezza del discorso teologico–fondamentale, del duplice snodo “preamboli della fede nella Rivelazione – motivi di credibilità della Rivelazione”. Qui i motivi classici di credibilità (quasi di taglio neoscolastico) coesistono insieme a motivi che assomigliano a quelli elaborati dalla teologia successiva, rintracciabili anche nel Vaticano II. Della credibilità Newman appare chiaramente preoccupato di dover offrire una sistematica, necessità di cui è divenuto consapevole a motivo della sua quotidiana esperienza a contatto con il razionalismo e lo scetticismo. È tale preoccupazione che va oggi ereditata, al di là dello specifico percorso che egli traccia, dal quale possiamo in ogni caso imparare ancora molte cose.

 

Osservazioni conclusive

L’odierno contesto scientifico non può non mostrare interesse per la grande affinità esistente fra la rivalutazione newmaniana delle ragioni implicite, delle conoscenze contestuali, della phronesis in definitiva, e quelle analisi dell’epistemologia contemporanea che hanno rivalutato sia i fattori personali e taciti della conoscenza, sia il carattere indimostrabile, e ultimamente di assenso personale, meta-scientifico, dei principi fondanti della logica e del linguaggio formale in genere. I primi, ad esempio, sono stati discussi convincentemente da Michael Polanyi e da Thomas Torrance in sede epistemologica, mentre il secondo è stato segnalato altrettanto convincentemente da Ludwig Wittgenstein in sede di filosofia del linguaggio e da Kurt Gödel in sede logica, restando entrambe le prospettive fra loro collegate perché si confrontano con (ed in certo modo accedono a) i fondamenti stessi del conoscere.

Nel suo insieme, la Grammatica dell’assenso ci pone di fronte ad un percorso articolato, non di rado difficile da seguire, ma lucido nella mente del suo Autore. Vi è un delicato, e in certo modo geniale, equilibrio fra l’appello al vissuto esistenziale e personalista dell’assenso della fede e l’insistenza circa la capacità che tale assenso abbia di mostrarsi ragionevole, umano, certo, fondato. La forza di questo secondo aspetto non viene impiegata da Newman per legare razionalmente la ragione alla fede, bensì la religione alla verità della Rivelazione, dando per scontato che l’uomo ragionevole sia anche l’uomo naturalmente religioso, l’uomo con una coscienza. Come già Agostino e Pascal, Newman non conosce un modo diverso di essere uomo.

Giuseppe Tanzella-Nitti
Ordinario di Teologia Fondamentale, Pontificia Università della Santa Croce