Prima edizione: Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova – Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985
Nel 1985, sotto il titolo Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano (Città Nuova – Libreria Editrice Vaticana), vide la luce per la prima volta in maniera complessiva la cosiddetta “grande Catechesi del mercoledì di Giovanni Paolo II”, avviata dal papa polacco il 5 settembre 1979 e ultimata cinque anni dopo, il 28 novembre 1984. La pubblicazione, a cura dell’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia (Roma), eretto dallo stesso pontefice nel 1981, divenne una chiave centrale del suo insegnamento sull’amore umano, il matrimonio e la trasmissione della vita, nonché un punto di riferimento obbligato per gli studiosi di questo imponente ciclo, che apparve sin dall’inizio carico di novità e di originalità, sia dal punto di vista metodologico che contenutistico.
Al volume originale seguì alcuni anni dopo una nuova edizione, oggi in commercio e che qui presentiamo, intitolata Giovanni Paolo II. L’amore umano nel piano divino. La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio nelle catechesi del mercoledì (1979-1984), pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia (Città del Vaticano, 2009). Il nuovo volume curato da G. Marengo, non solo rappresenta un notevole sforzo di revisione, di approfondimento e di ampliamento, sia della prima edizione (1985) che di quelle successive (a partire dal 1987), ma costituisce anche un sensibile miglioramento dell’opera originale, per quanto riguarda la cura e la qualità scientifica della pubblicazione, come illustreremo in seguito.
Struttura e contenuto dell’opera
L’amore umano nel piano divino è un volume corposo e di grande spessore, come mettono in luce la stessa struttura, i contenuti sviluppati e il completo e anche verificato materiale messo a disposizione dei lettori. Dopo lo studio introduttivo di G. Marengo, docente di Antropologia teologica presso l’Istituto Giovanni Paolo II e curatore dell’edizione (pp. 5-76), il tomo ripresenta la sempre valida introduzione generale di Carlo Caffarra alla prima edizione del 1985 (pp. 77-99), offre in seguito la raccolta dell’intero ciclo delle 129 catechesi (pp. 101-495), e si conclude con due sezioni dedicate ad Apparati e Indici, di particolare utilità per gli studiosi: la prima include una sinossi che permette di confrontare la presente edizione con quella del 1985, una rassegna bibliografica sulle diverse edizioni e traduzioni delle catechesi, un’ampia bibliografia riguardante il tema in diverse lingue (inglese, italiano, tedesco, francese e spagnolo) e una tavola di abbreviazioni (pp. 497-525); la seconda raccoglie gli indici delle citazioni bibliche, del magistero della Chiesa, dei nomi e l’indice generale (pp. 527-542).
Lo studio introduttivo, che fa da portico d’ingresso al volume, riprende evidentemente aspetti già presenti nelle precedenti edizioni, come quelli riguardanti i contenuti e il metodo, a cui faremo riferimento più avanti, mentre propone una lettura di maggiore ampiezza in cui vengono presi in considerazione nuovi e significativi elementi, quali la collocazione storico-ecclesiale di questi interventi e il loro genere letterario, aspetti che consentono al lettore una comprensione più contestualizzata e una chiara specificazione del valore dottrinale degli interventi di papa Wojtyla.
Le catechesi, sebbene siano state preparate a partire da materiale elaborato precedentemente dall’allora arcivescovo di Cracovia, rappresentano una forma di esercizio della funzione ordinaria d’insegnamento del Romano Pontefice e, in quanto tali, si possono annoverare tra i testi autentici del suo magistero. Di conseguenza, dichiara il curatore, «noi assumiamo queste catechesi come l’espressione di un intento magisteriale, ben preciso, che il Sommo Pontefice ha messo in atto nell’arco degli anni 1979-84 e intendiamo offrire al lettore la documentazione di tale intento» (p. 11).
Il discorso sviluppato da papa Wojtyla lungo questo quinquennio, come preparazione al Sinodo sulla famiglia e all’approfondimento della dottrina dell’enciclica Humanae vitae, ha messo anche in rilievo la continuità e lo stretto rapporto delle catechesi con l’evento del Concilio Vaticano II, che Giovanni Paolo II volle assumere sin dall’inizio come punto di riferimento centrale del suo pontificato. In effetti, amore, matrimonio, famiglia, trasmissione della vita, sono state tra le preoccupazioni emerse durante le sedute dell’assise conciliare, in particolare nella preparazione della costituzione pastorale Gaudium et spes, a cui aveva partecipato attivamente l’arcivescovo di Cracovia, contribuendo anche a delineare ciò che sarebbe stato il centro dell’insegnamento conciliare e i nodi sui quali si sarebbe giocato il cammino della sua recezione e attuazione: l’indole pastorale, lo sguardo all’uomo concreto e la centralità di Cristo Verbo Incarnato. Non a caso, questo nucleo riappare proprio al centro delle udienze nonché di riprenderlo ripetutamente lungo tutto l’arco del suo pontificato.
Ci soffermeremo in seguito sulla parte centrale del volume, cioè sul testo delle catechesi sull’amore umano, con lo scopo di tratteggiare brevemente alcune delle loro caratteristiche, e di individuarne il tema, la prospettiva, il metodo, l’articolazione e la struttura interna del ciclo.
Una riflessione “metamatrimoniale”
L’argomento esaminato in questo ciclo non è direttamente il matrimonio e la famiglia. L’affermazione può suscitare qualche perplessità poiché la Catechesi, come abbiamo detto, è stata pensata come preparazione prossima al Sinodo sulla missione della famiglia cristiana nel mondo di oggi, che si sarebbe dovuto svolgere nel 1980. Logicamente, questo legame ha portato spesso a equiparare l’argomento centrale di queste udienze a quello della riunione dei vescovi. Tuttavia, Giovanni Paolo II si è richiamato, sin dal primo incontro, all’indole “metamatrimoniale” o “metafamiliare” della riflessione. Difatti, in quella stessa occasione, il papa affermò senza esitazioni il rapporto delle catechesi con il Sinodo, definendo così il contenuto e gli obiettivi della riflessione che stava per intraprendere: «accompagnare», «seguire da lontano» le riunioni sinodali, «non toccandone però direttamente il tema, ma volgendo l’attenzione alle profonde radici, da cui questo tema scaturisce» (p. 104).
Ma quali erano per papa Wojtyla quelle “profonde radici” da cui scaturiscono il matrimonio e la famiglia? La risposta, pur essendo stata pazientemente elaborata lungo tutta la durata della Catechesi, si concentra principalmente nel discorso sul “principio” genesiaco, esposto nella Prima parte, a partire dalla risposta data da Cristo ai farisei sull’indissolubilità del matrimonio (cf. Mt 19,3-8). Tali radici rimandano in sostanza a una visione integrale dell’uomo, cioè a una visione in grado di dare ragione di tutte le dimensioni dell’essere personale, compresa quella corporeo-sessuata. In ultima analisi, il pontefice ha voluto dire all’uomo, ad ogni uomo, anche a quello d’oggi, chi è: «ha voluto mostrargli la verità intera del suo essere alla luce del mistero della creazione e della redenzione» (Caffarra, p. 78). E non poteva essere altrimenti perché senza una visione integrale della persona umana, a cui si era anche richiamato Paolo VI nell’Humanae vitae, «non può essere data alcuna risposta adeguata agli interrogativi connessi con il matrimonio e la procreazione» (p. 173) che l’uomo di oggi si pone in maniera particolarmente urgente e intensa.
Da ciò consegue che la finalità immediata e, di conseguenza, la tematica diretta della Catechesi, sia l’elaborazione di una “antropologia adeguata”, vale a dire, di una antropologia integrale e, nel suo contesto, di una «”teologia del corpo”, da cui tragga origine anche la visione, pienamente cristiana, del matrimonio e della famiglia» (p. 173). Questo sforzo paziente e laborioso, dunque, appare indirizzato a gettare le fondamenta in cui affondano le radici la verità e l’ethos della persona umana corporeo-sessuata e, in intimo rapporto ad essa, il matrimonio e la procreazione umana.
La prospettiva e il metodo dell’analisi
L’elaborazione di una antropologia in grado di dare ragione della verità intera dell’uomo, non è soltanto lo scopo principale della riflessione del pontefice, ma anche la chiave per scoprirne l’originalità metodologica. Ora, qual è la via che percorre Giovanni Paolo II per costruire un’antropologia integrale e, nel suo contesto, una teologia del corpo? Che prospettiva adotta per arrivare a una visione dell’uomo che si adegui al suo essere personale e si sottragga ai diversi riduzionismi? Un’”antropologia adeguata”, infatti, richiede la scelta di un metodo proprio, confacente all’oggetto, cioè “adeguato”, che consenta di accedere alla realtà del soggetto personale: un essere di grande complessità ma unitario, dotato di una dimensione oggettiva e anche soggettiva.
Dinanzi alle visioni parziali delle scienze positive che hanno ridotto l’uomo e il corpo umano a semplice “oggetto”, Giovanni Paolo II cerca una via che superi tali approcci. Serve un cammino di accesso all’uomo concreto e reale, al soggetto e non a un oggetto. Il percorso, pertanto, deve essere quello di una riflessione che parta e si nutra di un’esperienza essenzialmente umana. Solo a partire da un’esperienza che rifletta sia la complessità della realtà personale che la sua profonda unità, si potrà giungere ad una visione integrale e, per ciò stesso, essenzialmente umana. Strumento per interpretare e comprendere tale esperienza è il “principio di riduzione” (da non confondere con il riduzionismo), in ordine a individuare i significati perenni dell’esistenza umana.
Dinanzi a questo traguardo, ci si chiede se sia possibile e necessario integrare alla riflessione razionale sull’esperienza essenzialmente umana la conoscenza di fede, che procede dalla Rivelazione cristiana, stabilendo un rapporto fra questi due ambiti di accesso al reale. La risposta di Giovanni Paolo II è perentoriamente affermativa: «Abbiamo (…) il diritto di parlare del rapporto tra l’esperienza e la rivelazione, anzi abbiamo il diritto di porre il problema della loro reciproca relazione, anche se per molti tra l’una e l’altra passa una linea di totale antitesi e di radicale antinomia. Questa linea a loro parere, deve senz’altro essere tracciata tra la fede e la scienza, tra la teologia e la filosofia. Nel formulare tale punto di vista, vengono presi in considerazione piuttosto concetti astratti che non l’uomo quale soggetto vivo» (pp. 114-115 [7]).
La via metodologica proposta da papa Wojtyla richiede, pertanto, di sorpassare non solo i contrasti e le contrapposizioni tra fede e scienza, tra filosofia e teologia, ma anche le giustapposizioni. Occorre prospettare una reale e possibile integrazione, una convergenza tra rivelazione ed esperienza. E in questa integrazione, assai significativa sul piano metodologico, si scopre l’originalità e la novità di questa Catechesi.
Il principio metodologico assunto dal papa poggia sulla convinzione che una riflessione adeguata sul mistero dell’uomo non possa fare a meno né della ragione né della fede come vie di accesso al soggetto reale; più specificamente di una fede che, nel suo momento riflessivo (teologico), assuma al suo interno il pensiero e l’esperienza umana, e sia in grado non solo di esprimere tale mistero accessibile unicamente nella fede, ma anche di dar ragione della totalità delle sue dimensioni. A monte di questa convinzione si trova la nota affermazione di Gaudium et spes 22, che papa Wojtyla ha ripreso ripetutamente nel suo magistero: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione». È, dunque, alla luce di Cristo, il Verbo incarnato, che si disvelano all’uomo nuovi significati e si dispiega la verità intera su se stesso.
Il modello di razionalità ripreso da Giovanni Paolo II è quello dell’intellectus fidei, così nuovo e così antico nella grande tradizione ecclesiale, caratterizzato dall’intrinseca e feconda integrazione di fede e ragione, in cui la luce della prima eleva alla massima potenzialità l’intelletto dell’uomo, rendendolo così in grado di accedere non solo a più conoscenze, ma innanzitutto all’intera verità su se stesso.
Ma come viene operata l’effettiva integrazione di fede e ragione in ordine alla conoscenza dell’integrum dell’uomo? L’analisi del pontefice, effettuato nella e dalla fede –non suo malgrado –, ha come cardine a livello di metodo il principio di analogia. Anche qui il papa si colloca in continuità con la grande tradizione patristica e con il pensiero cristiano. Da qui scaturisce non solo l’originalità della prospettiva, ma anche la circolarità del discorso, da cui deriva una notevole fecondità di approccio. La riflessione, infatti, torna e riprende continuamente gli stessi argomenti in un procedere per via analogica che, però, non è semplice reiterazione, ma un accostarsi in maniera più penetrante e acuta alle stesse realtà: l’uomo-corpo, l’amore umano, la sessualità, il matrimonio e via dicendo, alla luce delle verità rivelate ad esse analoghe.
La portata conoscitiva del principio di analogia, applicato in questo ambito, poggia sulla creazione dell’uomo a immagine di Dio. In effetti, secondo la Rivelazione biblica, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27), e questa sua condizione di “a immagine” – deteriorata, ma non cancellata dal peccato originale, e ristabilita dalla grazia di Cristo – costituisce un principio ermeneutico fondamentale nella riflessione teologica sull’uomo.
Ma che cosa vuol dire essere creato “a immagine di Dio”? L’affermazione dell’imago Dei va effettivamente al di là di una semplice traccia o vestigia di Dio nella creatura. Il principio teologico dell’immagine significa innanzitutto che l’atto creatore divino, oltre a partecipare l’essere alla creatura, esprime e comunica in maniera reale ma imperfetta Dio stesso. Di conseguenza, la creatura è espressione imperfetta, ma vera, di Dio. L’uomo, perciò, è una sorta di “analogia” di Dio perché dal “principio”, ossia dalla sua stessa creazione, porta incisa nel suo essere l’immagine divina. E in ragione di questa sua sublime condizione, si può e si deve parlare di Dio e dell’uomo in maniera analogica.
Articolazione e struttura interna della Catechesi
Si è detto che «l’inizio delle risposte del santo padre è abbastanza spesso arida. Egli ara il problema, solco dopo solco, con una pazienza che non teme di mettere alla prova quella del suo ascoltatore. Ma poi, quando ritorna per l’ultima volta al suo punto di partenza dopo aver rivoltato tutto il terreno, e a seguire con gli occhi questa dura fatica d’agricoltore si sente ormai prossimo un colpo di sole, il raccolto delle verità sboccia improvvisamente, fresco e colorato come un campo di tulipani» (André Frossard dialoga con Giovanni Paolo II. “Non abbiate paura!”, Milano 1982, 123). Questo modo di sviluppare la riflessione coincide con il discorso non lineare e con la trattazione ampia e articolata delle tematiche affrontate in queste udienze. Perché infatti, la Catechesi sull’amore umano nel piano divino è anche una generosa raccolta che, come ogni coltivo, offre i suoi frutti soltanto alla fine, dopo un’impegnativa lettura complessiva e organica. È necessario perciò percorrere pazientemente l’intero terreno per cercare di scoprire la sua complessa strutturazione che risponde a un disegno unitario, presente però sin dall’inizio.
Difatti, come spiega il curatore del volume, «numerosi sono stati i tentativi con i quali l’intero corpus delle catechesi è stato indagato per coglierne una struttura interna che, data la modalità di pubblicazione delle medesime, non è esplicitata in modo univoco» (p. 74). Questo spiega la scelta, dichiarata nel volume, di distaccarsi sia dalla divisione in cicli, come hanno fatto le precedenti edizioni, sia da una presentazione tripartita dei testi. In ogni caso, ci sembra un dato non trascurabile ciò che lo stesso pontefice afferma nel momento di concludere l’intero ciclo: «L’insieme delle catechesi che ho iniziato da oltre quattro anni e che oggi concludo, può essere compresso sotto il titolo “L’amore umano nel piano divino”, o con maggiore precisione: “La redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio”. Esse si dividono in due parti» (p. 492).
«La prima parte è dedicata all’analisi delle parole di Cristo, che risultano adatte ad aprire il tema presente. (…) C’è anzitutto il testo in cui Cristo si riferisce “al principio” nel colloquio con i farisei sull’unità e indissolubilità del matrimonio. Proseguendo, ci sono le parole pronunziate da Cristo nel discorso della Montagna sulla “concupiscenza” come “adulterio commesso nel cuore”. Infine ci sono le parole trasmesse da tutti i sinottici, in cui Cristo si richiama alla risurrezione dei corpo “nell’altro mondo”» (p. 92).
«La parte seconda della catechesi è stata dedicata all’analisi del sacramento in base alla lettera agli Efesini che si riporta al biblico “principio” del matrimonio espresso nelle parole del Libro della Genesi “… L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”» (p. 93).
«Le catechesi dedicate all’Enciclica “Humanae vitae” costituiscono solo una parte, la parte finale, di quelle che hanno trattato della redenzione del corpo e la sacramentalità del matrimonio» (p. 495).
Seguendo questo schema, delineato dallo stesso pontefice, cercheremo di presentare brevemente il contenuto e l’articolazione interna di ciascuna delle tre parti della Catechesi.
Nella Prima parte sulla “teologia del corpo” o la “redenzione del corpo”, il papa, sempre partendo da testi biblici-chiave, getta le basi di quella ”antropologia adeguata” e di quella “teologia del corpo”, a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Questa visione sulla verità intera della persona-corpo, viene costruita a partire da quelli che sono gli stati fondamentali della condizione umana nella storia della salvezza e nel suo compimento escatologico: lo stato del “principio” o di innocenza originaria, lo stato di concupiscenza a causa del peccato, lo stato di redenzione in Cristo, e, infine, lo stato di glorificazione definitiva.
Nell’esposizione del primo stato, Giovanni Paolo II cerca di individuare il “significato” della persona-corpo (la verità della persona deve essere compresa e attuata dalla sua libertà) attraverso il “linguaggio del corpo” (il corpo in quanto è interiormente orientato ad esprimere la persona). L’analisi porta alla scoperta del “significato sponsale” dell’uomo, maschio e femmina, tramite la ricchissima analisi fenomenologica di tre esperienze originarie essenzialmente umane: la solitudine, l’unità e la nudità originaria. Questo significato svela che la persona-corpo è dono ed è chiamata al dono di sé nella comunione interpersonale nell’amore. Nell’analisi degli stati successivi, il “significato sponsale” della persona-corpo si svela deformato nell’uomo storico dalla concupiscenza, attraverso l’esperienza dell’“adulterio commesso nel cuore”; si mostra ricostruito dalla redenzione in Cristo, per mezzo dell’annuncio della legge nel discorso della Montagna e del dono dello Spirito, in quanto esso porta all’uomo il frutto della purezza; e si rivela nella sua piena realizzazione nella comunione interpersonale con Dio e con gli altri, nello stato dell’uomo risorto.
Dinanzi a questa visione, ci si può chiedere: ma è valido costruire un’antropologia che considera sia uno stato originario, perso definitivamente, in cui l’uomo non si trova più, sia un altro stato, in cui l’uomo non è stato ancora introdotto e, perciò, su cui non ha alcuna esperienza? In altre parole, questa antropologia può avere un valore universalmente valido? La Catechesi formula una risposta a partire dalla convergenza tra esperienza e Rivelazione cristiana: l’esperienza della nostalgia originaria e dell’anelito del riscatto del corpo di fronte ai limiti, propri di ogni uomo, fa capire che egli non è uscito definitivamente da tale stato; d’altronde, un uomo è già entrato nella gloria: Cristo risorto. Egli, grazie al dono dello Spirito, introduce l’uomo in quello stato in maniera incoativa, e, attraverso lo stesso Spirito, ha donato alla Chiesa uno stato di vita che anticipa lo stato finale: la verginità. In essa, dunque, la Chiesa ha esperienza di quella condizione.
Nella Seconda parte, la Catechesi considera la corporeità della persona-dono in ordine alla comprensione della sacramentalità del matrimonio; e, reciprocamente, esamina la sacramentalità del matrimonio come via per un’intelligenza della dimensione corporea della persona.
La parte finale della Catechesi è dedicata all’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae. Come lo stesso Giovanni Paolo II spiega a conclusione del ciclo,
per affrontare gli interrogativi che suscita l’Enciclica “Humanae vitae”, soprattutto in teologia, per formulare tali interrogativi e cercarne la risposta, occorre trovare quell’ambito biblico-teologico, a cui si allude quando parliamo di “redenzione del corpo e di sacramentalità del matrimonio”. In questo ambito si trovano le risposte ai perenni interrogativi della coscienza di uomini e donne, e anche ai difficili interrogativi del nostro mondo contemporaneo a riguardo del matrimonio e della procreazione (p. 495).
Di fatto, il papa focalizza l’analisi sull’affermazione centrale dell’enciclica, cioè sull’inseparabile connessione tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale, approfondendo tale connessione alla luce di ciò che considera la chiave interpretativa dell’affermazione di Paolo VI: il linguaggio del corpo, portatore di un significato sia unitivo che procreativo. La contraccezione, conclude, non è altro che la distruzione del significato del linguaggio del corpo, attraverso il quale la persona si esprime e si realizza come dono. Come corollario, il pontefice afferma la differenza etica e antropologica essenziale tra contraccezione e regolazione naturale della fertilità.
Bibliografia
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