L’autrice
L’interesse di Simone Weil (1909-1943) per la scienza appare in giovane età e l’accompagnerà per tutta la vita. A spingerla in questa direzione fu il confronto con il fratello maggiore, André Weil (1906-1998), le cui doti di matematico apparvero chiare ai genitori e alla sorella già in tenera età: Simone scriverà che André ebbe «un’infanzia e un’adolescenza paragonabili a quelle di Pascal»[1], e il confronto con quelle capacità furono la causa di una forte crisi esistenziale. Non che provasse invidia per il fratello (i loro rapporti furono sempre molto stretti e complici): era piuttosto la consapevolezza di «non poter sperare in alcun modo di accedere a quel regno trascendente ove entrano soltanto gli uomini di autentica grandezza e ove abita la verità»[2]. Ma Simone era di carattere troppo fiero e brillante per arrendersi all’evidenza di non essere portata per la matematica: continuò per tutta la vita a tenersi informata sugli sviluppi delle scienze e sul grande progetto di cui il fratello fu promotore, ossia la redazione degli Éléments de Mathématique del gruppo Bourbaki, un tentativo di riformulazione della matematica sulla base della teoria dei gruppi, frutto di quell’epoca pionieristica a cui appartengono anche i Principia Mathematica di Whitehead e Russell, e di cui Bourbaki rappresenta una sorta di risposta francese. Sappiamo che Simone partecipò a due incontri dei matematici del gruppo, insieme al fratello, ma dai suoi scritti traiamo l’evidenza che il progetto bourbakista si scontrasse radicalmente con la sua idea di una scienza che doveva essere invece aperta alla comprensione di ogni essere umano: idea che si legava strettamente al suo pensiero filosofico e politico, in cui l’alienazione del lavoratore è innanzitutto conseguenza della difficoltà di comprendere i princìpi matematici su cui si basano le macchine.
Fu allieva, alle superiori, del filosofo Alain, che perorava una riformulazione su basi etiche della matematica e della scienza. Alain era vicino alle idee dei radicali, lontano dunque da interessi metafisici; ma Simone, in seguito alla sua conversione spirituale, riformulò quel progetto come una rifondazione della scienza su basi spirituali. A “Scienza e percezione in Cartesio” dedicò la sua tesi di laura (diplôme) alla Scuola normale superiore, propedeutica all’abilitazione all’insegnamento, scritta nel 1929-30. Era una tesi in cui seguiva una strada tutta sua, che anticipa i temi della sua filosofia, in cui la scienza, Dio, il lavoro, l’emancipazione sociale si fondono strettamente. Il suo relatore «non fu per nulla entusiasta di questo testo» e gli assegnò «il voto più basso che potesse dare senza bocciare la candidata»[3]. Dopo l’abilitazione, iniziò l’insegnamento di filosofia nelle scuole superiori, integrando sempre lezioni di storia della scienza. Rimase colpita dalla difficoltà delle sue allieve nel comprendere le più elementari dimostrazioni geometriche, e ne attribuì la responsabilità all’assenza di un metodo didattico di tipo pratico-sperimentale e di un approccio storico all’insegnamento dell’impresa scientifica. Maturò il progetto di un manuale scolastico dedicato alla scienza fondato su queste idee. Ma gli impegni nel sindacato la spinsero verso altre preoccupazioni.
Durante l’esperienza in fabbrica, che scelse volontariamente chiedendo un’aspettativa dagli incarichi scolastici (1934-35), tornò al progetto di una riformulazione della scienza che consentisse agli operai di comprendere e padroneggiare le macchine industriali. Le Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, scritte nel 1934 ma pubblicate postume, contengono l’esposizione più precisa della sua tesi sul rapporto tra lavoro e scienza: «Il giorno in cui fosse impossibile comprendere le nozioni scientifiche, anche le più astratte, senza coglierne chiaramente, nello stesso istante, il rapporto con le possibili applicazioni, e fosse egualmente impossibile applicare anche indirettamente queste nozioni senza conoscerle e comprenderle a fondo, la scienza sarebbe diventata concreta e il lavoro cosciente; e soltanto allora l’uno e l’altra avrebbero il loro pieno valore. Fino a quel giorno scienza e lavoro avranno sempre qualcosa d’incompleto e d’inumano»[4].
L’avvicinamento al cristianesimo, dopo la drammatica esperienza in fabbrica, la spinse a cercare un collegamento tra pitagorismo e platonismo da un lato e il Vangelo dall’altro. Nell’esperienza dei pitagorici identificava i semi di una “rivelazione” che avrebbe anticipato quella del Cristo: la scoperta dei rapporti incommensurabili sarebbe stata interpretata dai pitagorici come la rivelazione del Logos, la cui verità non è esprimibile in termini matematici. Su questo punto disputerà con André in uno scambio di lettere nel periodo della carcerazione del fratello nel 1940 per renitenza. Forte di questa convinzione, iniziò a scrivere una storia della scienza greca che rimase in forma di frammenti. La caduta della Francia costrinse i Weil a spostarsi a Marsiglia. Qui, mentre consolidava il suo misticismo nel confronto con il padre domenicano Jean-Marie Perrin e il filosofo cristiano Gustave Thibon, proseguìil suo interesse per la scienza: risalgono a questo periodo l’abbozzo La scienza e noi e due articoli pubblicati con lo pseudonimo Emile Novis sulla rivista “Cahiers du Sud”, che ospiterà gli altri suoi grandi saggi sull’Iliade e sul catarismo.
Nel maggio 1942 i Weil lasciarono la Francia, giungendo in America dopo una tappa a Casablanca. Simone non ci restò molto, partendo in novembre per Londra con l’intenzione di rientrare in patria per partecipare alla Resistenza, dati anche i suoi trascorsi in Spagna durante la Guerra civile (terminata prematuramente per una maldestra ferita al piede che le eviterà la morte in combattimento, destino a cui andò incontro tutta la sua brigata). Il suo progetto di infermiere volontarie da mandare in prima linea, grazie al quale avrebbe voluto farsi paracadutare sul fronte dal governo francese in esilio, fu liquidato da De Gaulle («Ma è matta![5]»), ma trovò il modo di lavorare negli uffici di France Combattante con Maurice Schumann, suo compagno di liceo, che le affidò scritti politici intrisi di misticismo. Trascurando la sua salute da sempre malferma, convinta di dover sperimentare su di sé le privazioni dei francesi ridotti alla fame, si ammalò di tubercolosi per morire a soli 34 anni in un sanatorio ad Ashford (24 agosto 1943).
La struttura e i temi dell’opera
I testi raccolti seguono l’ordine cronologico di stesura, benché il frammento di apertura (Fantasticheria sulla scienza greca) risente chiaramente del dialogo a distanza con André del 1940 ed è databile a quel periodo (si tratta forse di un abbozzo del testo più completo La scienza e noi del 1941). Segue Scienza e percezione in Cartesio. La scelta di Weil di dedicare la tesi a Cartesio è resa esplicita da un passo dell’abbozzo L’insegnamento delle matematiche (1932), in cui ella ricorda come Cartesio «avrebbe voluto fondare un’università operaia in cui ogni lavoratore avrebbe acquisito le nozioni teoriche necessarie per capire il proprio mestiere», un’idea che ritiene più vicina «all’idea marxiana della “divisione degradante del lavoro in lavoro intellettuale e lavoro manuale” di quanti oggi fanno appello a Marx». Weil aveva scoperto il marxismo tra gli ultimi anni di liceo e il periodo della Scuola normale, studiandone i testi ma prendendone presto le distanze. Evidentemente conosceva già Cartesio e in quel suo progetto dovette trovare un’alternativa alla concezione marxiana dell’alienazione, come poi espliciterà nei testi successivi. Il progetto cartesiano sarà alla base delle Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale e della critica al macchinismo, ma leggendo Scienza e percezione in Cartesio scopriamo quanto già all’epoca fossero formati i punti cardine della sua visione della scienza. La tesi (che in esergo porta la frase attribuita a Platone: «Dio è sempre geometra») introduce il tema delle conseguenze dell’algebrizzazione della geometria. È noto che Cartesio sia stato il pioniere di questo processo, con i primi sviluppi della geometria analitica. Weil riconosce che la matematica «regna sulla fisica cartesiana», ma «non come sulla nostra». La matematica non è il linguaggio della fisica, ma solo strumento di conoscenza del mondo: non è ancora avvenuta, cioè, la sostituzione dell’algebra alla geometria. «È poco dire che la fisica cartesiana è puramente geometrica, benché lo dica Cartesio stesso; la verità è che la geometria, in Cartesio, è essa stessa una fisica». Viceversa, la legittimazione della geometria per mezzo dell’algebra ottiene come risultato «che ciò che legittima sia dimenticato; solo nella geometria e nella meccanica l’algebra trova il suo significato». Nella geometria analitica, Weil vede un efficace metodo al tempo stesso di comprensione della realtà e di insegnamento: ciò nella misura in cui, essendo l’universo cartesiano ancora essenzialmente meccanicistico, è più facile avvertire i collegamenti con la geometria e l’esperienza reale; mentre al tempo stesso«ogni scolaro, seguendo lo stesso ordine che caratterizzerebbe l’invenzione sistematica da parte sua di quegli stessi contenuti», apprenderebbe più chiaramente anziché limitarsi a «recepire l’insegnamento altrui».
Al 1932, ossia al periodo dell’insegnamento a Le Puy, risalgono la Lettera ad un collega e la bozza di articolo L’insegnamento delle matematiche, che riprendono questi temi. Nella prima Weil racconta di come le sue allieve ritengano la scienza una mera collezione di conoscenze esposte nei testi, a cui ella ha provato a rimediare abbozzando una storia della scienza e in particolare della geometria greca, fino a spiegare «in qual modo il calcolo infinitesimale sia stato la premessa all’applicazione della matematica alla fisica e poi all’attuale progresso della fisica stessa». Nella bozza di articolo prevede un insegnamento della scienza che includa lo sviluppo storico a partire dalla lettura dei testi originali, la «ripetizione delle esperienze fatte dagli inventori«, la ricostruzione dei rapporti tra scienza e tecnica e «il tirocinio e la pratica di un mestiere produttivo», collegando tale mestiere con la scienza e la tecnica che lo rendono possibile (è appunto l’idea di Cartesio, che in questo articolo è esplicitata).
La Risposta ad una lettera di Alain è probabilmente del 1935, dopo che il filosofo aveva letto le Riflessioni weiliane. Si ritorna su Cartesio, sostenendo che la sua avventura «è finita male». La lettera presenta la critica implicita di Simone al progetto bourbakista, considerato l’espressione del principale errore della scienza moderna, «che consiste nel non ragionare più se non su segni convenzionali, i quali sono degli oggetti particolari in quanto segni neri su carta bianca e sono universali per loro definizione». A questa formulazione della scienza Weil contrappone il concetto di “analogia”, concependo «un libro di fisica per le scuole primarie in cui l’interpretazione dei fenomeni naturali sarebbe presentata esclusivamente sotto l’aspetto di analogie successive sempre più esatte».
Il Frammento di una lettera ad uno studente (1937) riprende questo tema, sostenendo come il problema della inconciliabilità tra la visione ondulatoria e quella corpuscolare della meccanica quantistica potrebbe risolversi trovando una nuova analogia che ricomprenda entrambi. Weil rifiuta l’idea che la meccanica quantistica minacci il determinismo, e per capirlo bisogna tenere conto della sua interpretazione della scoperta degli irrazionali nell’antica Grecia: che la diagonale del quadrato non sia esprimibile in termini di numeri interi nel rapporto con il lato del quadrato non rappresenta, per Weil, che la dimostrazione che esistono verità non esprimibili attraverso i numeri, ciò che i pitagorici sostenevano. Analogamente, nei paradossi della fisica quantistica ella vede un’analoga prova dell’inadeguatezza dell’algebra nel descrivere la realtà. È per questo che nella lettera Weil scrive di credere «che la scienza sia entrando in una crisi più grave di quella del V secolo e che, come allora, essa sia accompagnata da una crisi della morale e da un cedimento di fronte ai valori puramente politici, cioè alla forza». L’idea è che, così come alla crisi degli incommensurabili seguì l’ascesa della dittatura in Grecia, resa possibile per Weil dal relativismo dei sofisti e di Gorgia, così la crisi della fisica contemporanea dovuta alla scoperta del dualismo onda-particella è l’anticamera dell’ascesa di totalitarismi. Da qui «ne risulta un dovere evidente: rifare uno sforzo di pensiero analogo a quello di Eudosso».
Il grande scritto La scienza e noi è la più compiuta elaborazione del pensiero weiliano sulla scienza dopo quella contenuta nelle Riflessioni. La spinta preminente è ora l’interesse per la meccanica quantistica, anche se André nelle sue lettere lamentava che la sorella ne avesse frainteso gli assunti. Per Weil l’idea di discontinuo introdotta dalla concezione quantistica della realtà non è solo «contraria alla scienza», ma comporta il fallimento del progetto di ricongiungere la mente umana all’universo, cioè a Dio, attraverso lo studio dei rapporti matematici. La realtà è continua e se viene quantizzata, cioè resa discontinua, non può produrre altro che alienazione, separazione netta tra l’Uomo e la realtà, che diventa così incomprensibile e inconoscibile: ciò che appunto la meccanica quantistica sembra postulare. Al contrario i Greci, che consideravano il numero come intermediario, ossia come rapporto tra l’unità e l’Uomo, riuscirono a conciliare questa separazione tra la mente umana e l’universo mediante la ricerca dei rapporti numerici, che è una ricerca di tipo religioso («ovunque i Greci si insegnarono a leggere la proporzione per amare Dio»). Nella meccanica quantistica Weil vede l’algebra diventare «il linguaggio della fisica, un linguaggio che ha questo di particolare: non significa niente». Il numero, che per i Greci non era lo stesso numero con cui contare o fare le operazioni aritmetiche, è ormai diventato puro simbolo di qualcosa che semplicemente non esiste. Viene così meno l’obiettivo di rendere la scienza intelleggibile alla gente comune, ciò che in effetti André riteneva impossibile[6] e che invece per Simone costituiva la conditio sine qua non per superare l’oppressione del macchinismo e ottenere l’autentica liberazione dall’oppressione sociale.
Weil riprende questi temi negli articoli L’avvenire della scienza e Riflessioni a proposito della teoria dei “quanta” pubblicati nel 1942 sui “Cahiers du Sud”, come recensione rispettivamente ai libri L’avvenire della scienza (di Louis de Broglie e altri) e Initiations à la physique di Max Planck (in italiano La conoscenza del mondo fisico). Lamentando la deriva del pur necessario algebrismo nella scienza contemporanea, che produce risultati radicalmente slegati dall’esperienza fisica, Weil biasima l’inaccessibilità del sapere moderno: «Anche avendo studiato vent’anni i libri degli scienziati, quando non si è uno scienziato di professione, si è un profano nei riguardi della scienza e le opinioni dei profani non hanno alcun credito nel villaggio». Evidente la frustrazione nei riguardi del linguaggio incomprensibile dei barboukisti, anche quando André aveva provato a tradurre in parole le sue ricerche recenti in una lettera della quale Simone ammetterà di non aver «capito niente»[7]. Ma non è solo un problema di divulgazione. Come anticipato nella sua lettera a uno studente del 1937, l’incomprensibilità del linguaggio scientifico produce incomprensibilità del reale. La conseguenza che ella prevede è che «tra pochissimo tempo, forse due o tre generazioni, forse meno, gli scienziati si fermeranno». Accadrà cioè qualcosa di simile a quanto «accadde quando l’impero romano uccise la scienza greca». È il mezzo che sostituisce il fine, l’utile che soppianta il vero. «Da quando la verità è scomparsa, l’utilità ha subito preso il suo posto».
Seguono alcuni estratti di lettere e minute ad André Weil, oggi integralmente tradotte nel volume L’arte della matematica (2018), e che evidenziano come il rapporto con il fratello sia stato fondamentale nello sviluppo del suo pensiero, benché proprio in ragione della loro radicale difformità di vedute. Chiudono quattro frammenti senza data, ma databili con certezza sempre al 1941-42, poiché riprendono queste considerazioni (A proposito della meccanica ondulatoria è chiaramente un abbozzo dell’articolo L’avvenire della scienza) e anticipano l’ultimo scritto sulla scienza di Weil, L’abbozzo su una storia della scienza greca inviato da Casablanca e qui non proposto (ora in La rivelazione greca, 2014). In particole le due varianti Sul fondamento di una scienza nuova tradiscono l’obiettivo di quella riformulazione su basi spirituali della scienza i cui fondamenti appaiono chiari negli appunti dei Quaderni di Marsiglia: qui ricompare, in particolare, l’immagine della bilancia come rappresentazione dei rapporti fisici, che si sovrappone nel pensiero di Weil da un lato all’immagine della leva di Archimede, dall’altro ai bracci della Croce[8].
L’attualità della filosofia della scienza di Simone Weil
La scelta dell’editore Gallimard di dedicare un volume ai “saggi, lettere e frammenti inediti” di Weil sulla scienza giungeva quando ormai già tutte le principali opere di taglio politico, sociale e religioso erano state proposte al grande pubblico. La sensazione che la produzione weiliana dedicata alla scienza fosse una produzione “minore” è evidente nel mondo in cui il suo pensiero è stato presentato nel corso della seconda metà del XX secolo, al punto che nell’edizione italiana dei Quaderni sono stati espunte molte parti (soprattutto nei primi Cahiers) in cui Weil si dedicava a calcoli di tipo algebrico o a dimostrazioni di teoremi di geometria. Pesava, senza dubbio, anche l’evidenza che i suoi scritti editi sull’argomento (quelli dei “Cahiers du Sud” del 1942) suggerivano un’opposizione ideologica alla fisica contemporanea, più che una reale comprensione dei suoi fondamenti scientifici.
Si può decisamente parlare di riscoperta del pensiero scientifico di Simone Weil negli ultimi vent’anni circa. Non è solo per il fatto che il pensiero weiliano sia sempre più studiato e compreso grazie alle indispensabili operazioni editoriali che ne hanno portato alla luce la produzione (l’edizione italiana dei Quaderni da parte di Adelphi tra il 1982 e il 1993, le Œuvres complètes di Gallimard a partire dal 1988 in 17 volumi, tuttora in corso, dal cui volume Correspondance familiale del 2012 Adelphi ha tratto il fondamentale volumetto L’arte della matematica); ma anche perché molte di quelle riflessioni hanno anticipato questioni oggi all’ordine del giorno. È il caso, soprattutto, della critica al macchinismo, che all’epoca della pubblicazione delle Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale nel dopoguerra subì probabilmente la concorrenza con il pensiero marxista ancora dominante in Francia e in Italia, mentre la sua carica profetica è resa oggi evidente nella società algoritmica, in cui il trionfo delle macchine digitali sta operando una trasformazione profonda del pensiero umano, sempre più portato a quella “attenzione meccanica” che Weil riteneva essere l’opposto dell’autentica attenzione necessaria a comprendere il fine ultimo di ogni attività umana. Il collegamento tra algebrizzazione e macchinismo posto da Weil ha anticipato gli odierni dibattiti sugli algoritmi e il pensiero meccanico, dimostrando quanto fosse in anticipo sui tempi rispetto al “datismo” che oggi viene identificato come possibile nuova religione universale[9].
Anche la critica all’eccesso di astrazione della fisica contemporanea ci appare oggi in straordinario anticipo sui tempi. Pur auspicando (e lo auspicava anche Weil) che la sua profezia di una imminente “fine della scienza” non si realizzi, il tema è da tempo al centro di un ampio dibattito[10] che nella sostanza riprende le considerazioni weiliane sull’eccesso di matematizzazione della fisica e sulla necessità di una riformulazione della fisica quantistica che risolva le sue apparenti contraddizioni senza richiedere soluzioni fantasiose e irreali, per uscire da quella “fase di crisi” in cui si troverebbe oggi la fisica teorica[11]. Strettamente collegate a queste considerazioni sono quelle riguardo ai nuovi approcci alla divulgazione scientifica, che attraverso nuove metafore e analogie rendano comprensibile per i profani il linguaggio della scienza e della tecnica contemporanea. Il rischio di un’élite scientifica rinchiusa in una torre d’avorio, ben avvertito da Weil, rende questa sua preoccupazione su una divulgazione efficace più attuale che mai (e si consideri che allora il concetto moderno di divulgazione scientifica, che risale al secondo dopoguerra, era ancora di là da venire): è l’idea di una comprensibilità della scienza come compito “politico”, freno al sorgere di tecnocrazie dietro le quali si nasconde il germe del totalitarismo. È forse questo il senso più profondo della critica di Simone Weil all’astrattezza del linguaggio matematico della fisica. Si tratta di un linguaggio, e come ogni lingua esso va appreso e impiegato, ma occorre anche saperlo “tradurre”: è la rinuncia a questo lavoro di traduzione, e al lavoro di cercare nell’analogia dei legami intelligibili con la realtà, che Weil segnalae recensisce con coraggio.
Giorgio de Santillana aveva espresso qualcosa di simile nella sua opera Le origini del pensiero scientifico (1961), in cui ricostruiva le scoperte della scienza greca e ci metteva in guardia «contro l’avanzata del formalismo meccanizzato e dei dinosauri elettronici»: «L’Impero Ellenistico e quello Romano avvertirono per primi l’esigenza di un’ingegneria sviluppata su vasta scala. Il metodo di Eudosso, di Euclide, di Archimede, basato com’era sull’astrazione e sulla pura logica, perse d’interesse, e al suo posto subentrarono l’approssimazione e l’imperfezione misurata. Le forme furono sostituite dalle formule, i matematici dai tecnici»[12]. È Santillana che scrive, ma potrebbe essere Weil.
Bibliografia
Bourbaki, N. (1963) Elementi di storia della matematica, Feltrinelli, Milano.
Cabaud Meaney, M. (2016)Understanding Simone Weil’s “Science of the Supernatural” within the Context of Rationalism, in SpazioFilosofico, n. 17.
Castellana, M. (2017) Simone Weil e la scienza come preparazione alla libertà, in Studium, n. 3.
Cosgrove, J.K. (2008) Simone Weil’s Spiritual Critique of Modern Science: An Historical-Critical Assessment, in Zygon, vol. 43, n. 2.
Moser, S. (2011) La fisica soprannaturale, San Paolo, Cinisello Balsamo.
Olsson, K. (2019)The Weil Conjectures: On Math and the Pursuit of Unknown, Bloomsbury, Londra.
Paura, R. (2023) “God does not algebra”: Simone Weil’s search for a supernatural reformulation of mathematics, in Labyrinth, vol. 25, n. 2.
[1]Simone Weil, L’autobiografia spirituale, in Attesa di Dio, Adelphi, Milano, 2008, p. 25.
[2]Ibidem.
[3] Simone Pétrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano, 1994, p. 102.
[4]Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano, 1983,p. 104.
[5] Pétrement, op. cit., p. 640.
[6] «Quanto a parlare delle mie ricerche o di qualsiasi altra ricerca matematica ai non-specialisti, tanto varrebbe spiegare una sinfonia a dei sordi», cfr. Lettera 3 in Simone Weil, André Weil, L’arte della matematica, Adelphi, Milano, 2018, p. 18.
[7] Lettera 9, in Ivi, p. 85.
[8] Cfr. in particolare Forme dell’amore implicito di Dio, in S. Weil, Attesa di Dio, cit., pp. 99-169.
[9]Cfr. Yuval Noah Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro, Bompiani, Milano, 2018, pp. 449 ss.
[10] Per limitarsi ai titoli principali:La fine della scienza di John Horgan (1997), Neanche sbagliata di Peter Woit (2006), The Trouble With Physicsdi Lee Smolin (2006, in italiano L’universo senza stringhe), Farewell to Reality di Jim Baggott (2013), Fashion, Faith, and Fantasy in the New Physics of the Universe di Roger Penrose (2016, in italiano Numeri, teoremi & minotauri) e Lost in Math di Sabine Hossenfelder (2018, in italiano Sedotti dalla matematica).
[11] Cfr. Gian Francesco Giudice, The Dawn of the Post-Naturalness Era, arXiv, 18 ottobre 2017.
[12]Giorgio de Santillana, Le origini del pensiero scientifico, Adelphi, Milano, 2023, p. 365.