Stuart Kauffman, Reinventing the Sacred. A New View of Science, Reason, and Religion, Basic Books 2008; tr. it., Reinventare il sacro. Una nuova concezione della scienza, della ragione e della religione, Codice, Torino 2010.
L'autore
Il biochimico Stuart Kauffman immette in ogni sua opera lo spirito di quella 'Nuova Atene' che, nel cuore degli anni Ottanta, venne a stabilirsi sulle pendici delle Montagne Rocciose nel New Mexico, dando vita al centro pulsante di idee sorprendenti e rivoluzionarie noto come l'Istituto di Santa Fe, culla di alcuni degli studi e delle intuizioni più geniali intorno ai sistemi complessi, fisici, biologici, computazionali, sociali o d’altra natura. Un tale spirito trabocca, oltre che dagli articoli specialistici, anche dai libri di alta divulgazione come A casa nell'universo (Editori Riuniti, 2001), Esplorazioni evolutive (Einaudi, 2005) e, appunto, Reinventare il sacro. Lo spirito dell'Istituto di Santa Fe – reso forse nella maniera più accurata ed entusiasmante dalla ricostruzione di Morris Mitchell Waldrop, Complessità (Instar, Torino 1996; tit. or., Complexity. The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos, New York 1992) –, è quello del Grande Olismo Unificato, delle dinamiche non lineari, della simulazione come novum organon conoscitivo, dell'Artificial Life (ben aldilà delle pretese dell'Artificial Intelligence), dell'autorganizzazione e, soprattutto, con qualche spanna di distanza sul resto, dell'emergenza come indizio principale per il segreto dell'universo. E un fenomeno emergente era lo stesso Istituto di Santa Fe, nato proprio come una sorta di esperimento per verificare cosa sarebbe potuto venir fuori dal riunire, in una 'collaborazione aperta', un gran numero di esperti nei diversi ambiti disciplinari – George Cowan, Murray Gell-Mann, Philip Anderson, Ken Arrow, John Holland, tra i primi - buona parte dei quali già insigniti con il Premio Nobel. Stuart Kauffman, in questo simposio, porta in dote idee decisamente innovative di biologia evoluzionistica, con studi specifici, ad esempio, sui sistemi macromolecolari, sulle reti genetiche e sugli insiemi autocatalitici, contribuendo ad alimentare quella effervescenza di pensiero sulla complessità che non ha più abbandonato la scena scientifica e filosofica fino ad oggi. La lezione di Kauffman non cessa di mietere riconoscimenti: una lunga serie di titoli onorifici che inizia con la Medaglia d'oro per la Cibernetica del Memorial Wiener nel 1973 e, passando, tra gli altri, per l'Accademia dei Lincei e l'Herbert Simon Award, si conclude, al momento, con la Medaglia Prigogine assegnatagli dall'Università di Siena nel settembre 2018.
Contenuto dell'opera
“Il titolo del libro, Reinventare il sacro, coincide con la sua dichiarazione di intenti. Presenterò infatti una nuova concezione di Dio – un Dio calato profondamente nella natura – e del senso del sacro, che fonderò su una nuova ed emergente visione scientifica del mondo”: queste sono le parole iniziali, nonché il piano programmatico, dell'opera, che vede seguire la buona norma metodologica di far precedere, al dispiegamento della tesi (la nuova concezione di Dio), l'esposizione dei fondamenti (la nuova ed emergente visione scientifica del mondo). È tuttavia subito da avvisare che l'esposizione del fondamento, ovvero della nuova visione della scienza, impegna circa il novanta per cento del libro e la riflessione intorno alla re-invenzione del sacro (e dell'etica) è relegata nelle ultime trentatré pagine. La parola 'Dio' s'accende, invero, a intermittenza lungo il testo, ma più per ricordare - o giustificare - il titolo, che per un'effettiva funzione nell'economia del discorso.
Quando Kauffman annuncia nella presentazione programmatica la sua “nuova ed emergente visione scientifica”, il termine “emergente” giuoca, nell'espressione, un duplice ruolo: intende indicare che una nuova concezione della scienza sta affiorando da più parti fra gli epistemologi e gli stessi scienziati e vuole già offrire la connotazione fondamentale di tale nuova concezione, che sarà basata appunto sul paradigma 'emergentista', in contrapposizione al paradigma 'riduzionista', su cui poggiava la 'vecchia', tradizionale visione scientifica. Il vero scopo del libro è, in effetti, trovare tutti gli argomenti più affilati per convincere il lettore che il modello riduzionista della scienza abbia ormai fatto il suo tempo, pur dopo più di tre secoli di encomiabile servizio, e che sia giunto ormai il momento di passare al modello emergentista, l'unico capace di oltrepassare i limiti su cui il riduzionismo finisce inevitabilmente per infrangersi.
Rompere l'incantesimo galileiano
Il modello scientifico riduzionista non è altro, secondo le parole di Kauffman, che la scienza così come la conosciamo oggi e come abbiamo imparato a conoscerla sin dalle sue origini galileiane. Comprendere un fenomeno, per la scienza riduzionista, ovvero per ciò che fino ad oggi è stata la scienza tout court, significa spiegare il comportamento del fenomeno medesimo sulla base delle caratteristiche, delle proprietà e delle leggi tipiche delle entità di livello inferiore che lo compongono. Per il riduzionismo “i fenomeni sono spiegati nei termini di interazioni tra particelle fondamentali … in ultimo dalla fisica” (pp. XVIIs.), perché tutta la realtà “è riducibile a particelle o stringhe in movimento” che, in estrema conclusione, sono “le uniche entità ontologicamente reali” (p. 5). Schematizzando e semplificando, “il riduzionismo è la concezione per cui la società deve essere spiegata in termini di persone, le persone in termini di organi, gli organi di cellule, le cellule di biochimica, la biochimica di chimica, e la chimica di fisica. In parole ancora più semplici, il riduzionismo è la concezione che tutta la realtà è null'altro di ciò che c'è 'laggiù' alla base attuale della fisica: i quark e le celebri stringhe della teoria delle stringhe, incluse le interazioni tra queste entità” (p. 13). Il simbolo di questo metodo di ricerca è rintracciato da Kauffman nella celebre frase del premio Nobel per la fisica Steven Weinberg: “tutte le frecce esplicative puntano verso il basso”, mentre l'ideale ultimo è stato ritratto in maniera insuperabile nei primi dell'Ottocento da Pierre Simon de Laplace per cui un'intelligenza adeguata che conoscesse la posizione e la velocità di tutte le particelle che compongono il cosmo, nonché le leggi delle loro interazione, potrebbe calcolare esattamente l'insieme degli eventi futuri e ricostruire la totalità di quelli passati.
Per questa visione del mondo e della scienza Kauffman inventa addirittura un'espressione: “incantesimo galileiano”, che, in via breve, è definita come la fede “che l'universo, e tutto ciò che esso contiene, sia regolato da leggi naturali: leggi di Newton e di Einstein, leggi di Schrödinger” (p. 136). Tale incantesimo ha il suo remoto prototipo nel sillogismo aristotelico, per cui da enunciati universali (poi tradotti scientificamente con il termine 'leggi') si deducono i casi specifici; ha la sua logica nel determinismo e, nello sviluppo storico, ha originato l'Illuminismo, prodotto il divario tra fede e ragione e, infine, ha formato la società laica (cf. p. 3). Tale visione scientifica ha retto per più di tre secoli, ha guadagnato successi eccezionali, ma, purtroppo, ha sacrificato sull'altare della regolarità indefettibile ciò che con la sola fisica non si riesce a spiegare: i significati, i valori, le azioni intenzionali mirate ad un fine, i sentimenti … insomma proprio quelle realtà che sono centrali nella vita di ogni essere umano. Di fronte a questo cosmo 'emergente', il riduzionismo, quando non tenta di negarlo ontologicamente, si impegna a ricondurlo al determinismo fisico, ma, in questo modo, finisce per snaturarlo nella sua essenza. Per restituire dignità a tutto questo occorre avanzare la “pretesa scientifica più radicale”, che consiste nel convincersi che “possiamo, e dobbiamo, rompere tale incantesimo” (p. XIX), che è anche il titolo del capitolo centrale del libro.
More is Different
Per assolvere questa missione, Kauffman chiama a raccolta i migliori alleati in circolazione, cioè tutti gli scienziati che al presente si battono, come lui, non tanto per rifiutare o rinnegare il tradizionale paradigma scientifico, quanto per svilupparlo, ampliarlo e così renderlo maggiormente adeguato al fine conoscitivo.
Il primo ad essere per così dire convocato a testimoniare è il premio Nobel per la Fisica, nonché collega e co-fondatore dell'Istituto di Santa Fe, Philip Warren Anderson, autore di quell'articolo su “Science” dell'agosto del 1972 il cui titolo è divenuto lo slogan per tutti gli scienziati emergentisti: “More is Different”. In lingua italiana non cattura con la stessa forza, ma il concetto rimane chiaro: quando un aggregato cresce in scala e in complessità, esso acquisisce proprietà differenti rispetto a quelle dei suoi costituenti e il suo comportamento non è più descrivibile – e comprensibile – tramite le leggi valide per le parti che lo compongono. Dai fermioni e i bosoni agli atomi, alle molecole, alle cellule e, su su, fino agli individui, ai gruppi, agli ecosistemi, ogni grado di realtà è incontestabilmente costituito dagli elementi del piano sottostante, ma, per ciascun livello, sono necessarie nuove comprensioni e nuovi concetti e non si deve cedere alla tentazione, o presunzione, che quando si dispone di un buon principio a un dato livello questo varrà automaticamente anche per gli altri. Il secondo scienziato menzionato a supporto da Kauffman è un altro premio Nobel per la Fisica, Robert Laughlin che, in Un universo diverso (2005), contrassegna il nostro tempo come la transizione dall'Era del Riduzionismo all'Era dell'Emergentismo, una fase scientifica nella quale risalta ormai chiaramente che “il tutto è più della somma delle parti”, che l'organismo acquisisce indipendenza di comportamento rispetto alle leggi essenziali dei componenti da cui deriva e che, oltre al concetto di 'emergenza epistemologica', occorre anche difendere quello di 'emergenza ontologica', perché il riduzionismo finisce non di rado per negare ciò che non rientra nelle sue griglie, come ad esempio, la coscienza, l'intenzionalità, il libero arbitrio. I supporti si moltiplicano. Vengono ancora chiamati in causa altri “fisici in rivolta” (espressione che dà il titolo al cap. 3), come Leo Kadanoff, Lee Smolin con La vita del cosmo, Leonard Susskind, Freeman Dyson … a ribadire, all'unisono, che i fenomeni di livello superiore “fanno parte dell'inventario dell'universo e hanno un potere causale tutto loro, che cambia l'effettiva evoluzione fisica dell'universo” (p. 47).
I preadattamenti darwiniani
In questo coro emergentista, Kauffman si concede un assolo con il concetto di 'preadattamento darwiniano', che dovrebbe suonare come ulteriore prova a sostegno della bontà della tesi. “Una delle idee brillanti di Darwin consiste in quello che oggi noi chiamiamo preadattamento darwiniano. Il grande naturalista inglese osservò che un organo, come il cuore, poteva avere caratteristiche che, pur avendo una qualche efficacia causale, non erano essenziali alla funzione dell'organo e non avevano alcun significato selettivo nel suo ambiente normale, ma che avrebbero potuto acquisirlo in un ambiente differente. Con il termine 'preadattato' Darwin non intendeva che un'ipotetica intelligenza avesse forgiato il preadattamento; semplicemente, egli pensava che un carattere incidentale senza alcun significato selettivo in un ambiente potesse invece acquisire quel significato in un ambiente diverso” (p. 137). Un tale genere di eventi, continua Kauffman, ha costellato la storia evolutiva degli esseri viventi, ed ogni volta che se ne è presentato un caso, la biosfera ha visto originarsi una nuova funzionalità. Non è naturalmente specificabile quale esito ogni preadattamento attuerà, perché non è possibile prevedere tutti i possibili ambienti selettivi in cui esso finirà per trovarsi. Questa semplice osservazione vanifica il modello conoscitivo deterministico a cui Newton ci ha abituati, perché l'evoluzione futura della biosfera non somiglia affatto ad un tavolo da biliardo dove, una volta conosciute le variabili, le forze e le condizioni iniziali, non si danno mai sorprese. Nell'evoluzione della biosfera, insomma, il concetto di 'legge di natura' perde la sua forza vincolante. E ciò vale non solo per la biosfera, ma, a maggior ragione, anche per l'ambito del mentale, dell'economico, dell'etico e di ogni altra sfera della cultura umana. In tali contesti si può solo parlare di 'causalità anomala' afferma Kauffman, riprendendo l'espressione del filosofo Donald Davidson.
Il procedere del discorso è maturo, secondo Kauffman, per far lampeggiare il segnale della 're-invenzione del sacro'. Infatti, “in questa incessante creatività dell'universo, della biosfera e della storia e della cultura umane, noi possiamo reinventare il sacro e trovare una nuova concezione di Dio interamente naturale come la grandiosa creatività che ci circonda” (pp. 140s.). Aver reintrodotto nel mondo, dopo i secoli di incantesimo galileiano, un margine ampio e nuovo di libertà, in grado di oltrepassare le note leggi naturali vale, per Kauffman, come motivo per poter tornare a parlare di Dio e di spiritualità, superando quella scissione fede-ragione che lo statuto originario della scienza sembrava pretendere.
A scanso di equivoci, Kauffman passa subito a precisare il rapporto tra la sua concezione e la teoria dell'Intelligent Design secondo cui – egli la presenta così – alcuni caratteri della natura sono talmente complessi che non potrebbero essere nati casualmente e quindi comportano la presenza, a monte, di un progetto iniziale che, nella fattispecie, sarebbe da ricondurre alla mente di un Dio Creatore. Da scienziato, Kauffman confessa che non dovrebbe neppure prendere in considerazione una tale teoria, come fa legittimamente la maggior parte dei suoi colleghi, ma, volendo assumere “una posizione più moderata” (p. 151), concede la sua replica che si concretizza con l'aneddoto di quello scienziato che, nel corso di una deposizione in un processo, si presentò con una trappola per topi scomposta in vari pezzi e ne usò una parte come fermacarte, un'altra come accessorio per la cravatta e così via. Con grande appoggio al senso visivo, egli aveva spiegato in modo efficace la teoria dei preadattamenti darwiniani, che rappresenta anche la confutazione maggiore dell'Intelligent Design, mostrando come non sia necessario il ricorso ad un progetto per formare entità utili anche molto complesse, ma solo il combinarsi, in un ambiente congeniale, di forme e funzionalità che la natura spontaneamente e incessantemente crea. [Il concetto di 'preadattamento darwiniano', nell'elaborazione successiva di Kauffman, assume la forma più generale della teoria del 'possibile adiacente', per cui l'evoluzione, anziché selezionare i caratteri più idonei alla sopravvivenza nel breve termine, lascia fiorire una generosa abbondanza di caratteri, anche se non immediatamente fittest, affinché, mutati con il tempo gli ambienti, siano a disposizione soluzioni per eventuali nuovi bisogni, riadattando, o ricombinando, ciò che già c'è, dopo varie “esplorazione evolutive”. Questo vale soprattutto per la biosfera, ma anche per l'ambiente culturale e cognitivo].
Il nuovo senso del sacro
Da qui decolla la lunga traiettoria che, facendo tappa sull'evoluzione dell'economia (cap. 11), sulle recenti teorie del cervello e della mente (capp. 12 e 13) e sull'evoluzione di un'etica globale (capp. 17 e 18), giunge fino all'ultimo capitolo (il 19), dedicato propriamente a “Dio e la reinvenzione del sacro”. Il punto di partenza è giusto la rottura dell'incantesimo galileiano e la scoperta di un modo di operare della natura libero e creativo. “Io credo che questa nuova visione infranga l'incantesimo galileiano della sufficienza della legge naturale. Al suo posto, una libertà che ancora non comprendiamo, ma la creatività incessante nell'universo, la biosfera e la vita umana sono i suoi talismani. Io credo che la creatività sia sufficiente per reinventare il sacro inteso come la straordinaria realtà in cui viviamo … noi viviamo, in realtà, una vita in avanti, verso il mistero. E dunque anche noi facciamo parte del sacro da reinventare” (pp. 155s.).
I capitoli che precedono il gran finale ruotano intorno ai concetti di intenzionalità, di agency, di significato, di valore … tutti elementi di una realtà che non ha possibilità di essere spiegata tramite le varie versioni del riduzionismo e del determinismo, che non può essere negata nella sua lampante esistenza e che, per giunta, neppure può essere deprivata della sua forza causale, dato che è proprio essa a scandire la vita di ogni essere umano.
Il messaggio, nella sua essenza è perfino semplice e ben ribadito: “Sia Dio il nome che attribuiamo alla creatività nell'universo” (p. 240); questo conduce a “onorare ogni forma di vita e il pianeta che le alimenta” (p. 287), e diventa il perno di un'etica globale, “spazio sacro condivisibile da tutti” (p. 290), dove lo scontro plurisecolare tra società laica e religiosa trova finalmente pacificazione.
L'ultimo scrupolo di Kauffman si dirige verso coloro che potrebbero percepire un amaro sapore sacrilego sia nell'uso del termine 'Dio' in questa nuova accezione, sia per coloro che potrebbero essere disturbati anche dalla sola espressione 'reinvenzione del sacro', dato che il sacro, per loro, propriamente non è un'invenzione umana. Per Kauffman, tuttavia, questa impostazione perde ogni ombra sacrilega nel momento in cui l'umanità riesce a istillare anche nella visione religiosa un sano seme di evoluzione: “il nostro senso di Dio si è evoluto dal Dio dell'Antico Testamento al Dio deista dell'Illuminismo, al nostro creatore teista e ad altre accezioni contemporanee di Dio” (p. 296). La chiesa di Notre Dame è stata eretta sopra un sito sacro druidico; il santuario di Chimayò su un sito sacro dei nativi americani: il lungo sguardo della storia, anche della storia delle religioni, insegna che il sacro rimane immutato nel mutare delle forme con cui esso si presenta. Oggi, forse, il tempo è maturo per presentarlo come “creatività naturale nell'universo” (p. 299).
Reinventare il sacro o reinventare la scienza
Appare piuttosto chiaro che l'intento primariamente perseguito da Kauffman con questo libro sia quello di re-inventare la scienza piuttosto che il sacro, e che l'unica sacralità ivi rinvenibile stia nell'ossequio che l'autore rivolge nei confronti della sua idea di una visione scientifica fondata sul concetto di 'emergenza'. Sulla presentazione di tale idea, sulla raccolta delle argomentazioni a suo favore – sia proprie che di altri autori –, sulle esemplificazioni della sua bontà in vari ambiti di ricerca, il testo dà il meglio di sé, tanto da poter essere annoverato tra i manifesti dell'emergentismo più corposi e convincenti. Con tanta forza argomentativa Kauffman avanza la sua pars construens e con pari incalzante vigore compie la sua opera destruens nei confronti del riduzionismo, sineddoche per l'intero apparato dell'attuale scienza ufficiale. È certamente per questo che Kauffman si è guadagnato un ruolo da protagonista nel libro La fine della scienza (Adelphi, 1998; tit. or., The End of Science. Facing the Limits of Knowledge in the Twilight of the Scientific Age, Basic Books,1996), con cui John Horgan fotografa la paradossale situazione culturale contemporanea in cui gli avanzamenti scientifici più innovativi finiscono per incrinare gli stessi fondamenti sopra cui hanno potuto elevarsi.
Kauffman è spesso considerato un polimata (uomo universale, alla Leonardo da Vinci) per la vastità e varietà delle sue conoscenze. E i suoi testi legittimano il titolo. Se indiscutibili sono le sue competenza di biochimica, fisica, medicina, genetica e filosofia, forse però è possibile sollevare un appunto proprio sotto l'aspetto teologico, dove la soluzione religiosa 'ecumenica' proposta dal libro e basata sul concetto di 'Dio' quale creatività nell'universo, non sembra raggiungere appieno gli esiti auspicati. È, infatti, più probabile che essa, anziché diventare anello di congiunzione, o spazio condiviso di dialogo, tra credenti e atei, incontri l'anelata unanimità solo nello scontentare un po' tutti: i primi, perché vedono diluire la propria relazione personale con Dio in un vago e anonimo sentore di trascendenza; i secondi, in quanto si vedono rientrare dinanzi, almeno come nome e come simbolo, quella realtà che strenuamente avevano tentato di combattere ed eliminare.
Per quanto riguarda la decifrazione della singolare posizione religiosa prospettata, essa può essere fatta rientrare, abbastanza riconoscibilmente, in una forma di panteismo, di cui la storia ha mostrato modulazioni diverse, spesso molto sottili (v. la voce 'panteismo' nel Dizionario del DISF). La versione di Kauffman ha molti tratti in comune con quella che è definita come 'panteismo immanente', per cui la divinità, lungi dall'essere un Dio personale, creatore ex nihilo, giunge in ultimo a identificarsi con un'eterea 'energia vitale' che anima l'universo dall'interno e lo spinge a creare incessantemente forme nuove. Anche certi legami con il 'vitalismo', a tratti, risaltano chiaramente. Al termine del libro Kauffman, per precisare la propria posizione, stabilisce un breve confronto con il panteismo di Spinoza, confessandone la vicinanza di spirito, ma contrassegnandone anche le distinzioni concettuali. E tali distinzioni si arroccano, ancora una volta, sulla nuova visione scientifica del mondo proposta. Come Spinoza e con Spinoza, Kauffman può sottoscrivere il 'Deus sive Natura', ma, mutando in maniera consistente il concetto di 'natura', si trasforma, concomitantemente, anche quello di 'deus'. Dio è sì “dispiegamento della natura” (p. 299), ma la natura non è più da intendere galileianamente come un sistema normato da leggi fisse che regolano deterministicamente il Tutto, quanto piuttosto come una forza creativa che non cessa mai di far emergere novità di forme e comportamenti. Alla posizione teorica si attaglia bene la considerazione di Enrico Fermi: “Nella Bibbia non si dice che tutte le leggi di natura sono esprimibili linearmente”, citata eloquentemente da James Gleick nella sua bella ricognizione sull'ambiente teorico della complessità (Caos. La nascita di una nuova scienza, Rizzoli 1989, che segue di due anni l'edizione originale). Non si deve, al contempo, confondere la posizione di Kauffman con quella del cosiddetto Theistic Emergentism, di cui informa recentemente Benedikt Göcke in “Concepts of God and Models of the God-world relation” (in Philosophy Compass, 12, 2, 2017) e che designa propriamente una visione in cui Dio è un'entità in via di formazione, che troverà il suo compimento con il definitivo svolgimento dell'universo (cf., ad esempio, Nancy Ellen Abrams, A God that Could Be Real. Science, Spirituality and the Future of Our Planet, Beacon Press 2016). A questo proposito, è significativo che l'espressione più frequentemente usata nel testo per designare Dio sia “creatività nell'universo” e non “creatività dell'universo”, ad indicare che il vero Soggetto e Motore del Tutto mantiene un qualche tratto distintivo rispetto al puro dato materiale. Dinanzi al Dio cristiano, la versione di Kauffman perde quasi tutto del Dio personale (fatta salva, forse, una volontà rivolta ad un fine), ma mantiene, se non, addirittura, enfatizza, l'attributo creante, specie nell'aspetto della 'creatio continua', di cui l'emergentismo potrebbe rappresentare la 'traduzione' nelle categorie linguistiche della contemporanea cultura scientifica. Una traduzione che, più di un'operazione di de-mitizzazione, sembra essere una trans-mitizzazione (v. “Un'interpretazione filosofico-religiosa 'trans-mitizzante'” di Adriano Fabris, in Il Nuovo Giornale di Filosofia della Religione 7, 2018), passando dai simboli del mito religioso al linguaggio del mito scientifico, anzi post-scientifico, se la nuova visione della scienza segna veramente un superamento della tradizionale impostazione scientifica. E lo sforzo profuso da Kauffman di riesprimere il sacro in un altro linguaggio sembra essere la coraggiosa risposta ad un'esperienza che si fa sempre più percepita.
Per il suo essere figura contemporanea della fenomenologia del sacro; per il suo tentativo di riesprimere il 'senso religioso' tramite le categorie scientifiche, piuttosto che filosofiche, avendo ormai l'epoca contemporanea segnato questa preferenza; per la capacità di aprire spiragli transdisciplinari su tematiche rilevanti e attuali, il testo interessa e sollecita anche la riflessione teologica.