La bellezza dell'universo e il rischio dell'idolatria

Panteismo e idolatria sono state le tentazioni comuni di quei filosofi che, attratti dalla bellezza dell’universo, si arrestarono alla contemplazione delle creature senza ascendere fino all’Autore della bellezza.

XXXVII, 68. Da qui scaturisce ogni empietà, non solo di coloro che peccano, ma anche di quelli che sono stati condannati per i loro peccati. Infatti, non solo vogliono esplorare le creature contro il precetto divino e godere di esse anziché della legge e della verità – in questo consiste il peccato del primo uomo che fece cattivo uso del libero arbitrio – ma, in questa loro dannazione, fanno anche dell'altro: non solo amano, ma servono anche le creature piuttosto che il Creatore [Cf. Rm 1, 25] e le venerano in tutte le loro parti, dalle più alte fino alle più basse. Alcuni si limitano a venerare, invece del sommo Dio, l'anima e la prima creatura dotata di intelletto, che il Padre creò per mezzo della verità perché contemplasse sempre quella stessa verità e, attraverso essa, Lui stesso, in quanto gli è somigliante sotto ogni aspetto. Quindi passano alla vita generativa, attraverso la quale Dio eterno ed immutabile produce gli esseri che generano le cose visibili e temporali. Poi procedono a venerare gli animali, quindi i corpi stessi e, tra questi, in primo luogo scelgono i più belli, tra i quali danno la preminenza ai corpi celesti. Di essi il primo che si incontra è il sole, e al sole alcuni si arrestano. Altri giudicano degno di culto anche lo splendore della luna; infatti è più vicina a noi, come si crede, per cui si pensa che abbia un aspetto più familiare. Altri aggiungono altri corpi celesti e l'intero cielo con le sue stelle. Altri al cielo etereo uniscono l'aria e sottomettono le loro anime a questi due elementi corporei superiori. Ma tra questi si reputano i più religiosi quelli che riguardano come l'unico grande Dio, del quale tutte le altre cose sono parti, tutta quanta la creazione, cioè il mondo intero con tutto ciò che contiene, e il principio vitale per il quale respira ed è animato, e che alcuni credono corporeo, altri incorporeo. Infatti, non conoscendo l'Autore e Creatore dell'universo, si gettano sugli idoli e, dopo essersi immersi nelle opere di Dio, si immergono nelle proprie, che tuttavia sono ancora visibili.

 

De vera religione, XXXVII, 68, trad. it. a cura di A. Pieretti, Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova, Roma 1995, p. 105.