La metafora del Libro della Natura: selezione di pagine agostiniane

Proponiamo la lettura, con testo latino a fronte, di alcune pagine del Vescovo di Ippona che applicano al creato la metafora del libro. Ne risultano coinvolti diversi contesti: l’appello morale, l’universalità del messaggio, il rapporto con il libro della Scrittura.

L’appello morale del libro della natura

Se avessi per prima cosa posto il tuo sguardo sulla creazione, avresti riconosciuto Dio come suo autore, come chi legge nel gran libro della natura delle cose. E se in esso vi è qualcosa che ti infastidisce, in luogo di ardire di rimproverare le opere di Dio, avresti più ragionevolmente riconosciuto che, in quanto uomo, ti si nasconde piuttosto la ragione di qualcosa, e non saresti così caduto in piccinerie sacrileghe o in farse blasfeme, con le quali, non sapendo donde provenga il male, attribuisci a Dio ogni male. At si universam creaturam ita prius aspiceres, ut auctori Deo tribueres, quasi legens magnum quendam librum naturae rerum atque ita si quid tibi te offenderet, causam te tamquam hominem latere posse tutius credere quam in operibus Dei quicquam reprehendere auderes, numquam incidisses in sacrilegas nugas et blasphema figmenta, quibus non intellegens, unde sit malum, Deum implere conaris omnibus malis
Contra Faustum, XXXII, 20

 

L’universalità del libro della natura

Sia il tuo libro la pagina divina che devi ascoltare; sia il tuo libro il mondo intero che devi osservare. Nelle pagine della Scrittura possono leggere soltanto quelli che sanno leggere e scrivere, mentre tutti, anche gli analfabeti, possono leggere [nel libro del] l'universo. Liber tibi sit pagina divina, ut haec audias; liber tibi sit orbis terrarum, ut haec videas. In istis codicibus non ea legunt, nisi qui litteras noverunt; in toto mundo legat et idiota
Enarrationes in Psalmos 45, 7 (PL 36, 518)

 

La voce del libro della natura

Altri, per trovare Dio, leggono un libro. È un gran libro la stessa bellezza del creato: guarda, considera, leggi il mondo superiore e quello inferiore. Dio non ha tracciato con l'inchiostro lettere per mezzo delle quali tu lo potessi conoscere. Davanti ai tuoi occhi ha posto ciò ch'egli ha creato. Perché cerchi una voce più forte? Grida verso di te il cielo e la terra: “Io sono opera di Dio” Alius, ut inveniat Deum, librum legit. Est quidam magnum liber ipse ipsa species creaturae: superiorem et inferiorem contuere, attende, lege. Non Deus, unde eum cognosceres, de atramento litteras fecit: ante oculois tuos posuit haec ipsa quae fecit. Quid quaeris maiorem vocem? Clamat ad te caelum et terra: Deus me fecit.
Sermones, 68, V, 6 (=Mai 126, PLS 2,501-512)

 

Il firmamento come simbolo della Scrittura

15. 16. Chi, se non tu, Dio nostro, creò per noi un firmamento di autorità sopra di noi, nella tua Scrittura divina? Il cielo sarà ripiegato come un libro, e ora si stende su noi come pelle di tenda: l’autorità della tua divina Scrittura è più sublime da che i mortali per cui ce l’hai comunicata incontrarono la morte della carne. Tu sai, Signore, tu sai come rivestisti di pelli gli uomini, allorché per colpa del peccato divennero mortali. Perciò hai disteso come una pelle il firmamento del tuo libro, le tue parole sempre coerenti, che hai posto sopra di noi con l’ausilio d’uomini mortali. Anche grazie alla loro morte il bastione d’autorità delle tue parole per loro mezzo annunciate si stende eccelso sopra ogni cosa, che sta più in basso di loro, mentre non si stendeva così eccelso durante la loro vita quaggiù. Non avevi ancora disteso il cielo come una pelle: non avevi ancora diffuso in ogni luogo la risonanza della loro morte.

15. 17. Fa’ che vediamo, Signore, i cieli, opera delle tue dita. Schiudi ai nostri occhi il sereno oltre la foschia in cui li avvolgesti. Là si trova la tua testimonianza, che comunica la sapienza ai piccoli. Completa, Dio mio, la tua gloria con la bocca degli infanti che ancora succhiano il latte. Davvero non conosciamo altri libri, che stronchino tanto bene la superbia, tanto bene stronchino il nemico, il difensore restio a riconciliarsi con te mentre difende i propri peccati. Non conosco, Signore, non conosco altre espressioni così pure e capaci d’indurmi alla confessione, di ammansire la mia cervice al tuo giogo, di sollecitare a prestarti un culto disinteressato. Fa’ che le capisco, Padre buono; concedimi questa grazia, perché mi sono sottomesso a te e tu hai stabilito saldamente quelle parole per le anime sottomesse.

15. 18 [...] Ti lodino le schiere sopracelesti dei tuoi angeli che non hanno bisogno di alzare lo sguardo a questo nostro firmamento, e di leggerlo, per conoscere la tua parola. Essi vedono in continuazione il tuo volto e vi leggono senza sillabe distribuite nel tempo il volere della tua eterna volontà. Leggono, eleggono e prediligono; leggono perennemente e ciò che leggono non passa mai, perché leggono, eleggendo e prediligendo, l’immutabilità stessa del tuo volere, codice che mai si chiude, libro che mai si ripiega; tu stesso infatti sei il looro libro, e lo sei in eterno [...]

15. 16. Aut quis nisi tu, Deus noster, fecisti nobis firmamentum auctoritatis super nos in Scriptura tua divina? Caelum enim plicabitur ut liber, et nunc sicut pellis extenditur super nos. Sublimioris enim auctoritatis est tua divina Scriptura, cum iam obierunt istam mortem illi mortales, per quos eam dispensasti nobis. Et tu scis, Domine, tu scis, quemadmodum pellibus indueris homines, cum peccato mortales fierent. Unde sicut pellem extendisti firmamentum Libri tui, concordes utique sermones tuos, quos per mortalium ministerium superposuisti nobis. Namque ipsa eorum morte solidamentum auctoritatis in eloquiis tuis per eos editis sublimiter extenditur super omnia, quae subter sunt, quod, cum hic viverent, non ita sublimiter extentum erat. Nondum sicut pellem caelum extenderas, nondum mortis eorum famam usquequaque dilataveras.

15. 17. Videamus, Domine, caelos, opera digitorum tuorum; disserena oculis nostris nubilum, quo subtexisti eos. Ibi est testimonium tuum sapientiam praestans parvulis. Perfice, Deus meus, laudem tuam ex ore infantium et lactentium. Neque enim novimus alios libros ita destruentes superbiam, ita destruentes inimicum et defensorem resistentem reconciliationi tuae defendendo peccata sua. Non novi, Domine, non novi alia tam casta eloquia, quae sic mihi persuaderent confessionem et lenirent cervicem meam iugo tuo et invitarent colere te gratis. Intellegam ea, Pater bone, da mihi hoc subterposito, quia subterpositis solidasti ea.

15. 18. [...] Laudent nomen tuum, laudent te supercaelestes populi angelorum tuorum, qui non opus habent suspicere firmamentum hoc et legendo cognoscere verbum tuum. Vident enim faciem tuam semper, et ibi legunt sine syllabis temporum, quid velit aeterna voluntas tua. Legunt, eligunt et diligunt; semper legunt et numquam praeterit quod legunt. Eligendo enim et diligendo legunt ipsam incommutabilitatem consilii tui. Non clauditur codex eorum nec plicatur liber eorum, quia tu ipse illis hoc es et es in aeternum [...].

Confessiones, Libro XIII