Autonomia delle scienze e libertà della ricerca

Uno dei fattori che ha maggiormente influito sul progresso della scienza è stata la sua libertà da condizionamenti esterni, e dunque la capacità di approfondire l’oggetto del proprio studio prescindendo da imposizioni derivanti dalla cultura, dalla tradizione, dall’ambiente. La storiografia scientifica ha spesso evidenziato il carattere di “rottura” o di “rivoluzione” di una determinata scoperta o teoria scientifica rispetto a quanto, fino a quel momento, era comunemente accettato o perfino creduto. L’importanza della libertà di ricerca trova un suo importante riflesso storico nell’autonomia delle università come elemento caratterizzante di queste Istituzioni, fin dal loro sorgere, volto a proteggere il lavoro ed il servizio prestato da esse alla società nel suo complesso. Oltre al dibattito sorto in merito ai rapporti con i poteri legislativi ed amministrativi dello Stato, e a quello, più ampio, con la società civile e l’opinione pubblica, la libertà di ricerca scientifica è stata talvolta oggetto di discussione anche nei suoi confronti con il pensiero religioso. Se, in epoca contemporanea, i rapporti con la società e l’opinione pubblica hanno avuto per oggetto questioni quali l’uso pacifico dell’ energia nucleare, i rischi della tecnologia, il problema della salute pubblica o l’ ecologia, il pensiero religioso è stato più spesso chiamato in causa — tralasciando alcuni nodi storici altrove già trattati — soprattutto nell’ambito della bioetica, a motivo del suo stretto collegamento con tematiche esistenziali (e dunque religiose) come la vita e la morte, che coinvolgono da vicino la morale. La necessità di una regolamentazione della ricerca scientifica, e dunque di una comprensione dell’autonomia della scienza che sia al contempo in accordo con determinati princìpi o valori fondativi, è testimoniata anche dal recente sviluppo di un’etica filosofica la quale, prescindendo da una specifica confessione religiosa, intende individuare delle vie da percorrere in una società pluralista.

Nei suoi rapporti con la fede religiosa — ci riferiremo qui al cristianesimo in modo particolare — il problema della libertà di ricerca deve essere visto in continuità con quanto suggerirebbero in proposito la filosofia e l’etica. Considerare la fede cristiana in alternativa o in opposizione a quanto detterebbe la retta ragione, contraddirebbe quell’armonia che deve esistere fra teologia e filosofia, fra fede e ragione, espressione in ultima analisi di quella convergenza fra cristologia e antropologia che il cristianesimo colloca nel nucleo della sua fede religiosa e del suo servizio all’uomo (cfr. Gaudium et spes, 22; Redemptor hominis 13-18). Poiché molti degli interventi del Magistero ecclesiale sulle questioni etiche collegate con la ricerca ed il progresso delle scienze hanno ricevuto sviluppi nelle voci corrispondenti di quest’opera, ci limiteremo qui ad offrire alcune considerazioni generali. Può essere significativo segnalare, a riprova della delicatezza del tema, che nella coscienza di molti scienziati credenti permane l’erronea percezione di una possibile conflittualità fra libertà di ricerca e verità della fede, e la tendenza, interrogati su questo punto, a porre la libertà della scienza al vertice più alto delle priorità da seguire (cfr. A. Ardigò e F. Garelli, Valori, scienza, trascendenza, 2 voll., Fondazione Agnelli, Torino 1989-1990).

Alla base di ogni riflessione sulla libertà di ricerca dovrebbe situarsi una corretta comprensione del rapporto fra libertà e verità. La libertà di ricerca scientifica non è libertà della scienza, ma libertà del soggetto. Essa partecipa pertanto di quelle caratteristiche che rivelano il significato della libertà personale come auto-determinazione che trova il suo pieno compimento nell’opzione per la verità e per il bene. Non è libertà normativa, ma libertà normata da una natura e da una verità che devono essere lette nelle cose e non poste a priori dal soggetto. Ad essa è collegata la percezione di una corrispondente responsabilità: come per la persona umana la libertà non può comprendersi come libertà di essere ciò che non si è, ma di diventare e di realizzare ciò che si è chiamati ad essere, così la libertà di ricerca non può comprendersi come libertà di fare tutto ciò che sia scientificamente possibile e tecnicamente praticabile, ma come libertà di orientare la scienza verso quei fini che le sono propri. Un nuovo senso profondo dell’“autonomia” della scienza sta qui nel fatto che tali fini non divengano mai per essa fini “eteronomi”, cioè imposti dal di fuori, ma possano essere letti, certo non senza lo sforzo di una riflessione personale, dall’interno dell’attività scientifica stessa. Essi vanno riconosciuti nel legame con la verità e con il servizio all’uomo.

A proposito dell’autonomia o dell’eteronomia della ricerca scientifica, e nel quadro di un’ampia riflessione sulla dimensione umanistica dell’attività dello scienziato, facendo appello alla ragione e non ad una visione confessionale, Giovanni Paolo II ricordava che parlare di umanesimo nella scienza non vuol dire «temere che si prospetti una sorta di “controllo umanistico sulla scienza”, quasi che, sul presupposto di una tensione dialettica tra questi due ambiti del sapere, fosse compito delle discipline umanistiche dirigere ed orientare in modo estrinseco i risultati e le aspirazioni delle scienze naturali, protese verso la realizzazione di sempre nuove ricerche e l’allargamento dei loro orizzonti applicativi» (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 13.11.2000, n. 2). La scienza possiede gli strumenti per riconoscere l’esistenza di verità che divengono normative per il proprio lavoro, non ultima la singolarità dell’essere umano, e dunque la sua trascendenza sul resto della natura. Ciò fa sì, continua il citato discorso, che «le responsabilità etiche e morali collegate alla ricerca scientifica possono essere colte, perciò, come un’esigenza interna alla scienza in quanto attività pienamente umana, non come un controllo, o peggio un’imposizione, che giunga dal di fuori. L’uomo di scienza sa perfettamente, dal punto di vista delle sue conoscenze, che la verità non può essere negoziata, oscurata, o abbandonata alle libere convenzioni o agli accordi fra i gruppi di potere, le società o gli Stati. Egli, dunque, a motivo del suo ideale di servizio alla verità, avverte una speciale responsabilità nella promozione dell’umanità, non genericamente o idealmente intesa, ma come promozione di tutto l’uomo e di tutto ciò che è autenticamente umano» (ibidem, n. 3).

Una scienza che rinunciasse al suo legame con la verità, perché la ritenesse qualcosa di provvisorio o di troppo ideale, ed accettasse così una visione puramente strumentale e funzionalista della sua attività, perderebbe per questo proprio la sua autonomia, lasciando che le finalità del suo operare vengano determinate dall’economia, dal gioco dei consensi o dalla politica (cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli scienziati e agli studenti nella Cattedrale di Colonia, 15.11.1980, n. 3). A ciò va aggiunto che la ricerca della verità scientifica — cui la libertà di ricerca è in ultimo termine orientata e per la quale difende la sua autonomia — non procede semplicemente indagando tutte le strade tecnicamente percorribili, indipendentemente da questioni di altro genere, a volte assai rilevanti, che la scelta di tali percorsi potrebbe implicare; non è alla continua “novità” della sperimentazione o dell’applicazione a qualunque costo che si affida normalmente il compito di rivelare i segreti più profondi della natura. L’esistenza di criteri morali che possono consigliare o sconsigliare la scelta di particolari itinerari di ricerca non è per lo scienziato qualcosa di inedito, perché egli è comunque abituato a realizzare il suo studio in conformità con numerosi altri criteri limitativi: disponibilità di risorse materiali o umane, competenze adeguate, fattori ambientali o naturali legati all’occorrenza dei fenomeni da studiare, legislazione esistente in materia, ecc.; i quali, senza essere avvertiti come vincoli coercitivi alla propria libertà di ricerca, condizionano inevitabilmente le strade da intraprendere nel proprio lavoro.

In realtà, la componibilità della legittima libertà di ricerca con una dimensione etica e morale presente nell’attività della scienza non andrebbe interpretata nei soli termini di un’“etica del limite”, come risultato di un accordo su esperimenti, applicazioni o procedimenti che debbano essere evitati o del tutto esclusi. Sebbene a livello pragmatico e legislativo ciò si renda necessario e divenga la prima strada percorribile, un’etica del limite presenta essa stessa i propri limiti. Una volta compresa come partecipazione alla libertà “della persona”, la libertà di ricerca è chiamata a manifestare anch’essa quella dimensione virtuosa che deve illuminare l’esercizio della libertà personale. La virtù non si muove né si sviluppa “entro i confini imposti da un limite”, sia esso posto dall’esterno o riconosciuto come ragionevole dall’interno dell’attività dello scienziato: essa si dirige al bene in modo illimitato, perché “libero” e ricerca dunque le strade verso la verità e il bene secondo un criterio di crescita virtuosa, non di limitazione. Si può allora parlare della ricerca scientifica come «una grande esperienza di libertà», che non viene affatto diminuita dal riconoscimento di criteri etici che ne indirizzano l’esercizio: «Colta in questa chiave, la scienza risplende in tutto il suo valore, come un bene capace di motivare un’esistenza, come una grande esperienza di libertà per la verità, come una fondamentale opera di servizio. Attraverso di essa, ogni ricercatore sente di poter crescere lui stesso ed aiutare gli altri a crescere in umanità» (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 13.11.2000, n. 3). E a questa crescita in umanità guida principalmente l’esercizio della virtù, non l’accordo sul limite.

La Rivelazione cristiana si pone in continuità con la percezione della dimensione etica e personalistica presenti nell’attività scientifica. Essa sottolinea che l’orientamento della libertà di ricerca verso la verità del servizio all’uomo trova fondamento nella dignità trascendente della persona umana come immagine di Dio, dignità alla quale la sua emergenza sulla natura ed il suo valore sempre di fine, mai di mezzo, ultimamente rimandano. Tutto ciò aiuta a non dimenticare in cosa consistano la vera autonomia della natura e la vera autonomia e libertà dell'uomo, l’oblio delle quali ha generato preoccupanti conseguenze specialmente evidenti nella società contemporanea. Ne sono esempio lo smarrimento dell'istanza di verità della scienza, non poche volte ridotta ad un ruolo di puro funzionalismo pragmatico che ne facilita l’impiego in termini di mero profitto economico; lo studio, la produzione e l’utilizzo delle risorse del pianeta secondo modalità che non rispondono al progresso materiale e spirituale dei popoli; ma soprattutto la legittimazione di interventi arbitrari sulla vita umana, specie nella fase del suo concepimento, segno eloquente di un modo di comprendere l’autonomia e libertà dell’uomo ormai separate dalla verità sull'uomo. Dal pensiero cristiano, fondato sul messaggio biblico, la cultura odierna può ancora trarre notevoli ispirazioni per superare le conflittualità fra etica e tecnica, per riassegnare a tutte le cose, alla persona umana in primo luogo, il significato che queste posseggono nei piani del Creatore, e dunque restituirle alla loro verità e, con essa, alla propria autonomia.

 

G. Tanzella-Nitti, “Autonomia”, in Dizionario Interdisciplinare di Scienze e Fede, 2 voll., Urbaniana University Press, Roma 2002, ad vocem.