«È verissimo che il fine dell’uomo non è questa vita; le sue nobili facoltà si riallacciano ad un’altra esistenza; queste facoltà, che si innalzano all’infinito e raggiungono l’eternità, sarebbero dei veri controsensi se fossero limitate ad una durata così circoscritta!»[1] Tali frasi, in cui trapela un afflato spirituale così intenso, sono state scritte da André-Marie Ampère, figura eminente della scienza del primo Ottocento, in una lettera indirizzata al figlio, Jean Jacques, nel luglio del 1818. Non c’è però da sorprendersi. Sebbene la fama di Ampère sia giustamente legata all’elettrologia, in particolare al campo dell’elettrodinamica e dell’elettromagnetismo, al punto da legare il suo nome all’unità di misura dell’intensità della corrente elettrica, la sua opera e la sua figura sono ben più ricche e sfaccettate, mostrandoci un uomo dalla notevole polivalenza di interessi e dalla straordinaria formazione culturale. Egli fu costantemente animato non solo da una seria competenza scientifica, ma anche da un vivo senso di responsabilità morale e sociale, nonché da un profondo sentimento religioso che, come un fiume carsico che di tanto in tanto affiora in superficie, percorse tutta la sua esistenza e contribuì a dare linfa vitale anche al suo lavoro di ricerca.
André-Marie Ampère nacque a Poleymieux-les-Mont-d’Or, nei pressi di Lione, il 22 gennaio 1775 e trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza in una piccola fattoria dove il padre si era ritirato dopo aver lasciato le attività commerciali. Entrambi i genitori – in particolare la madre – educarono il giovane Ampère ad una solida fede cattolica, animata tuttavia da una intelligente larghezza di vedute, connubio che lascerà una profonda impronta sulla sua personalità e che si rivelò determinante per l’intero corso della sua vita. Intorno ai quindici anni, Ampère si dedicò a leggere sistematicamente e a studiare tutti i volumi dell’Enciclopedia di D’Alembert e Diderot e, negli anni immediatamente successivi, senza seguire alcuna scuola, ma formandosi quasi esclusivamente come autodidatta, si interessò ad un ampio arco di problemi, che andava dalle scienze naturali alla metafisica. Nell’istruzione giovanile da lui ricevuta nel complesso, si possono riconoscere i pilastri fondamentali che connoteranno e struttureranno la sua opera: la cultura enciclopedica di derivazione illuminista, la religione cattolica intimamente sentita e concretamente vissuta, la spiccata propensione per il calcolo numerico, la passione per la scienza e l’avidità di nuove conoscenze. Nel 1796 Ampère conosce Julie Caron, di cui si innamora e che tre anni più tardi diventerà sua moglie. Proprio in questo periodo nasce il suo interesse per la filosofia, un interesse che si mostra essere subito vissuto in stretta connessione con i dubbi e le incertezze di carattere religioso che si manifestano allora in lui, tanto da affermare che: «Le idee di Dio e dell’eternità dominano completamente la mia immaginazione» [2]. L’intima lotta contro il dubbio avrà termine dopo la prematura morte di Julie, nel 1804, per la quale Ampère, addolorato, comporrà la seguente, toccante, preghiera: «O Signore, Dio di misericordia, degnati di unirmi in Cielo a coloro che Tu mi hai permesso di amare sulla terra»[3]. Le questioni metafisiche e religiose, inoltre, costituivano anche l’argomento principale delle discussioni di Ampère con gli amici più cari, insieme ai quali fondò a Lione, il 24 febbraio1804, la Società cristiana, della quale Ampère stesso divenne presidente. I partecipanti erano soliti riunirsi il venerdì sera per esaminare insieme i principi della dottrina cattolica e, con intenti apologetici, studiare le evidenze razionali che supportavano la Rivelazione e dare possibili risposte alle seguenti questioni teologiche: per quale scopo l’essere umano è stato creato? Quale influenza ha esercitato il cristianesimo sulla storia del mondo? Come coniugare conoscenza sensibile e orizzonte trascendente? Ampère, infatti, riteneva che «tutti i tipi di prove si combinano in favore del Cristianesimo. Per vedere la verità, il metafisico necessita soltanto di esaminare il modo in cui la religione rivelata simultaneamente spiega la grandiosità e l’abiezione dell’uomo, e la comprensione ci viene data dalle relazioni di Dio con le sue creature e dalle intenzioni della Provvidenza» [4].
Questi stessi anni segnano l’inizio ufficiale della ricerca e della produzione scientifica di Ampère, che si esplica inizialmente soprattutto in campo matematico, lavorando su problemi relativi al calcolo delle probabilità, gli sviluppi in serie e l’applicazione del calcolo delle variazioni alla teoria del moto. Pur essendo molto intensa e feconda, però, l’attività matematica di Ampère tese a precisarsi non tanto come fine a sé stessa, quanto piuttosto come strumento e mezzo, prezioso e insostituibile, per approfondire le conoscenze fisiche e studiare i fenomeni naturali, i quali costituivano il vero centro del suo interesse scientifico e filosofico. Nel 1805 viene introdotto nell’ambiente parigino dove viene nominato segretario del Bureaudes Arts et des Métierse, nel 1808, ispettore generale delle università. Nel 1809 diviene professore di analisi e di meccanica all’Ecole Polytechnique, mentre nel 1814 fu eletto membro, per i suoi lavori matematici, dell’Académiedes Sciences di Francia, nella sezione di geometria ed è in questa sede che egli renderà note la maggior parte delle sue scoperte e dei suoi esperimenti.
Fu, in particolare, nel 1820, dalla conoscenza degli esperimenti del fisico danese Hans Christian Oersted, il quale aveva osservato che una corrente elettrica circolante lungo un filo conduttore era in grado di far ruotare un ago magnetico, che iniziò per Ampère quell’attività di ricerca incessante che lo porterà alla scoperta dell’elettrodinamica e ai grandi risultati da lui raggiunti nel campo dell’elettromagnetismo. L’esperimento realizzato da Oersted, infatti, oltre a porre dubbi sulla possibilità di trovare spiegazioni sufficienti nell’ambito di teorie note e affermate, rendeva manifesta una fenomenologia sino ad allora inconsueta. Si riteneva che potessero esistere analogie tra l’elettricità e il magnetismo, ma si era, al contempo, convinti che i fenomeni elettrici e magnetici fossero tra loro indipendenti, mentre i risultati della ricerca di Oersted mostravano un’evidente interrelazione. Pertanto, dal punto di vista della scuola francese, non si trattava soltanto di tradurre in formule matematiche i dati ottenuti da Oersted, ma di interpretarli inserendoli all’interno di uno schema newtoniano di azioni a distanza e lungo rette. L’avvio alla soluzione del problema fu dato da Ampère. Ma, come spesso accade nelle vicende scientifiche, i primi passi verso la soluzione di un problema sono anche i primi passi che conducono alla scoperta di nuove questioni insospettate. Le indagini di Ampère sfociarono, in effetti, nella costruzione di una nuova teoria fisica – l’elettrodinamica – e, contemporaneamente, sollevarono inediti interrogativi sulla natura dei fenomeni elettromagnetici e sui rapporti tra elettrodinamica e teorie fisiche esistenti. Fu tra il 1820 e il 1825 che Ampère produsse la gran parte dei suoi lavori sull’elettrodinamica, i quali gli permisero di ottenere, in seguito ai grandi successi riportati, la nomina a professore di fisica generale al Collège de France. Le sue ricerche culminarono, poi, con l’importante Memoria redatta nel 1825 e pubblicata nel 1826 intitolata Teoria matematica dei fenomeni elettrodinamici unicamente dedotta dall’esperienza, nella quale sintetizzò, sviluppò e sistematizzò tutti i risultati raggiunti. Fin dal titolo, è possibile notare l’impostazione spiccatamente newtoniana di questa Memoria e del metodo seguito in essa da Ampère, che si appoggia, simultaneamente, su basi sperimentali e su rigorose dimostrazioni matematiche. L’articolarsi stesso delle argomentazioni messe in atto si ispira allo schema dei Principia di Newton, come viene efficacemente sottolineato dallo stesso autore: «Per stabilire le leggi di questi fenomeni ho consultato unicamente l’esperienza e ne ho dedotto la sola formula che può rappresentare le forze alle quali sono dovute» [5]. La teoria proposta, dunque, può essere definita unicamente dedotta dall’esperienza, perché, secondo Ampère, è dall’esperienza che viene ricavata la sua formula fondamentale; e può, allo stesso tempo, venire dichiarata “teoria matematica” perché è con algoritmi matematici che vengono derivate le leggi specifiche, cui obbediranno i singoli fenomeni elettrodinamici. Perciò, nel complesso, l’opera appare un vero capolavoro, rigoroso e analitico, di fisica matematica. A differenza di Newton, però, che si rifiutò sempre di cercare la causa della forza gravitazionale – ligio nel seguire il canone metodologico riassunto dal famoso motto “hypotheses non fingo”– Ampère non teme di avanzare una spiegazione dei fenomeni elettromagnetici. Dopo aver analizzato l’interazione elettrodinamica tra due correnti elettriche, egli dichiarava che la legge d’interazione elettrodinamica era la base per interpretare le azioni reciproche tra due magneti e tra una corrente e un magnete e ciò era possibile se si poneva un’ipotesi sulla natura del magnetismo, attribuendo «i fenomeni magnetici a correnti elettriche formanti piccolissimi circuiti chiusi intorno alle particelle dei corpi magnetizzati» [6]. Non vi erano dubbi che si trattasse di un’ipotesi e non di un fatto osservato, ma, se si accettava una simile impostazione, come lo stesso Ampère faceva notare, si giungeva a mostrare la natura elettrica del magnetismo e ad «accettare l’identità dei fluidi elettrici e magnetici» [7]. Si tratta di una teoria che, seriamente avversata dai suoi contemporanei, è oggi, benché in termini diversi, pienamente confermata. Com’è noto, infatti, i primi modelli atomici postulavano l’esistenza di elettroni rotanti intorno al nucleo e non è difficile riconoscere in ciò un’analogia abbastanza stretta con la geniale intuizione di Ampère, il quale, d’altronde, ben consapevole dello scetticismo che circondava la sua interpretazione del magnetismo dichiara rigorosamente che, per quanto fondata essa possa essere, egli si è servito di una simile ipotesi solo come strumento di lavoro, cosicché tutte le sue deduzioni matematiche, e in particolare la formula fondamentale, ne sono indipendenti e potenzialmente compatibili anche con altre modalità esplicative che non siano in contrasto con i fatti. Certo è che la teorizzazione dell’elettrodinamica proposta da Ampère era effettivamente in grado di ordinare un numero elevatissimo di fenomeni entro uno schema matematico soddisfacente ed euristicamente assai fecondo, aprendo per le scienze fisiche delle sorprendenti direttrici di sviluppo che sarebbero state più approfonditamente esplorate solo nei decenni seguenti.
In ogni caso, dopo il 1825, l’attività di ricerca scientifica e sperimentale di Ampère iniziò a diradarsi fino a cessare del tutto. Il motivo di questo progressivo disinteresse va ricercato soprattutto nel fatto che tornano a prevalere in lui gli interessi filosofici – d’altra parte mai del tutto abbandonati – concernenti, in particolare, problemi di ordine gnoseologico e metafisico, tanto che egli stesso in una lettera affermerà, riguardo alla metafisica, che «quest’ultima scienza è la sola veramente importante» [8]. Da un punto di vista epistemologico, la riflessione filosofica di Ampère fu guidata da un’istanza sistematica che aveva in Kant il principale punto di riferimento. La distinzione kantiana tra noumeno e fenomeno rappresentava il punto di partenza e lo scoglio da superare per la speculazione dello scienziato francese. Ampère riteneva, infatti che il limite posto da Kant alla inconoscibilità del noumeno si risolvesse nella rinuncia alla conoscenza del reale così com’è. A suo parere, invece - seguendo un’impostazione capace di andare oltre il criticismo kantiano e coniugando le istanze del realismo con il razionalismo e la ricerca scientifica con la filosofia della natura - la scienza è capace di inferire la vera struttura causale della realtà. Egli ammetteva l’inconoscibilità del noumeno, ma cercava di giustificare la conoscibilità delle relazioni tra i noumeni. La sua idea consisteva nel fatto che le leggi e le connessioni tra i fenomeni (stabilite scientificamente) fossero ontologicamente fondate in leggi e connessione tra i noumeni. Insomma, secondo Ampère, la nascosta e impenetrabile realtà noumenica si può conoscere inferenzialmente, tramite un procedere metodologico di tipo ipotetico-deduttivo, attraverso le relazioni profonde che la fisica scopre al di sotto dei fenomeni e che riesce ad esprimere in formule matematiche.
Interessato anche alla sistematizzazione e alla categorizzazione delle discipline scientifiche, Ampère nel 1834 pubblicò la prima parte del Saggio sulla filosofia delle scienze (la seconda parte uscirà postuma, a cura del figlio, nel 1843) a cui lavorava da diversi anni e che, nelle sue intenzioni, doveva essere un tentativo di classificazione armonica e ragionata delle varie scienze che mettesse anche in evidenza, attraverso le relazioni e i rapporti di complementarità che sussistono tra di esse e i risultati cui pervengono, la profonda unitarietà della conoscenza umana. I due grandi rami principali della classificazione sono costituiti dalle scienze cosmologiche (riguardanti il mondo esterno) e dalle scienze noologiche (riguardanti il nostro pensiero). Tale tassonomia, inoltre, secondo Ampère, avrebbe dovuto altresì delineare le vie per precisare e risolvere il problema dei rapporti tra scienza e religione, determinando la collocazione delle questioni che pertengono alla sfera della metafisica e della trascendenza nel quadro complessivo e interdisciplinare dei saperi. Infatti, «i problemi discussi dai metafisici non possono essere trattati convenientemente da coloro che ignorano le scienze cosmologiche» [9]poiché «per sviluppare le prove dell’esistenza di Dio, tratte dalla contemplazione dell’universo, bisogna pur conoscere l’universo stesso, per non unire a prove irrefragabili ragionamenti fondati su errori evidenti» [10]. In particolare, è nell’ambito dell’ontologia che Ampère colloca la teologia naturale, per mezzo della quale, dalle opere del Creatore, le sole che noi possiamo osservare, si risale al Creatore medesimo, e la teodicea, nella quale si esaminano gli attributi del Creatore, del quale la teologia naturale ci ha mostrato l’esistenza. Giustificando questa impostazione metodologica, Ampère stesso scriverà: «Ma può l’uomo conoscere Dio prima di conoscere il mondo e il proprio pensiero, che gli si manifestano in principio per mezzo della sensibilità, dell’attività e della coscienza? Non è l’ordine meraviglioso dell’universo che gli rivela l’intelligenza e la potenza infinite? Due vie conducono l’uomo a Dio: anzitutto, questo ordine stesso, in cui tutto è previsto, ma non da quegli esseri che gli devono la propria conservazione; in secondo luogo la necessità di una causa per tutto ciò che esiste, e di una causa intelligente per l’esistenza di un mondo nel quale l’intelligenza si manifesta dappertutto. Ma questa conoscenza conduce l’uomo ad una conoscenza molto imperfetta degli attributi del suo Creatore, dei doveri che questo esige da lui e del fine per cui lo ha creato. Perciò è stato necessario che Dio supplisse alla debolezza della mente umana, aprendogli, per mezzo della rivelazione, una seconda via che lo conducesse a lui» [11].
Nel 1836, Ampère, durante un viaggio intrapreso come ispettore generale delle università, logorato dal lavoro, cade malato a Roanne. Vorrebbe continuare il suo giro di ispezione, ma, nel collegio di Marsiglia, ha una ricaduta e il 10 giugno muore, lontano dagli affetti familiari.
Nel complesso, la sua notevole statura di scienziato e l’estrema rilevanza della sua attività di ricerca mostrano, come in filigrana, un appassionato desiderio di collegare, sistematizzare, armonizzare saperi differenti, di individuare e formalizzare un sistema capace di cogliere la convergenza sottostante i diversi fenomeni fisici. L’unità di elettricità e magnetismo che Ampère riuscì scoprire fu la più evidente e rilevante realizzazione di questo progetto. Al contempo, il suo impegno scientifico fu sempre animato dalla feconda alleanza tra fede e ragione che egli seppe adeguatamente realizzare. Dal punto di vista di Ampère, la scienza non solo non contrasta con la fede, ma, anzi, acquista essa stessa un valore religioso, poiché, nel suo aspetto conoscitivo e nelle sue applicazioni tecniche, rappresenta lo strumento più efficace per operare fattivamente sul creato al fine di promuovere il benessere dell’umanità. Proprio questa consapevolezza dell’intimo legame tra teoria e pratica, tra religione e attività scientifica spiega anche il carattere sociale ed etico che Ampère seppe dare al suo lavoro di ricerca: «Sotto l’apparente aridità delle formule si scoprirà un vivo desiderio per la felicità e il miglioramento degli uomini»[12], scriverà il figlio, J.J. Ampère, tracciando un ritratto del padre. Tutto ciò, costantemente sostenuto da una profonda e umile fede in Dio: «Secondo il mondo, oggi io sono giunto alla fortuna, alla fama, a ciò che molti uomini possono desiderare. Ebbene, caro Bredin, Dio ha voluto provarmi che tutto è vano, fuorché amarlo e servirlo»[13].
Note
[1] A. M Ampère, Lettera a J.J. Ampère, Parigi, luglio 1818, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, UTET, Torino 1969, p. 570.
[2] Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 14.
[3] P.J. McLaughlin, André Marie Ampère: Part II: A Great Soul in Anguish, in «Studies: An Irish Quarterly Review», Vol. 25, n. 100, 1936, pp. 631-642, qui p. 633.
[4] J.R. Hofmann, André-Marie Ampère. Enlightement and Electrodynamics, Cambridge University Press, Cambridge 1996, p. 93.
[5] A.M.Ampère, Teoria matematica dei fenomeni elettrodinamici unicamente dedotta dall’esperienza, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 247.
[6] Ibidem, p. 363.
[7] A.M. Ampère, Lettera a Roux di Ginevra, Parigi, 21 febbraio 1821, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 573.
[8] A.M. Ampère, Lettera a Roux di Ginevra, 11 marzo 1814, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 555.
[9] A.M. Ampère, Saggio sulla filosofia delle scienze, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 535.
[10] Ibidem, p. 538.
[11] Ibidem, p. 534
[12] J.J. Ampère, Avvertenza alla Parte Seconda del Saggio sulla filosofia delle scienze, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 525
[13] A.M. Ampère, Lettera a Bredin, 29 marzo 1818, in Opere di André-Marie Ampère, a cura di M. Bertolini, p. 570.
Bibliografia
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T. F. GALWEY, Ampère’s Struggle with Doubt, in Catholic World, Vol. 37, n. 219, 1883, pp. 418-423
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