«Non posso più guardare il lampo di un fulmine senza ricordare il piacere ch’egli traeva da un bel temporale. Come stesse alla finestra per ore, osservando gli effetti e godendosi la scena; mentre noi sapevamo che la sua mente era colma di alti pensieri, talvolta riguardanti il Creatore, talvolta le leggi attraverso le quali Egli ritiene giusto governare la terra»[1]. Così scriveva di Michael Faraday la nipote Margaret Reid nel 1867, poco dopo la morte dell’illustre chimico e fisico britannico il cui vasto contributo alla scienza è testimoniato dall’insieme di fenomeni, leggi e strumenti sperimentali che recano il suo nome (le leggi di Faraday, l’effetto Faraday, la gabbia di Faraday…). Faraday fu uno dei maggiori scienziati sperimentali del XIX sec. e, benché non avesse approfondite conoscenze in campo matematico, seppe scoprire e far valere nozioni di ampio respiro, disponendole all’interno di una concezione unitaria e armonica delle scienze fisiche. Al contempo, dalle parole sopra riportate si evince chiaramente che, come numerosi biografi sottolineano, l’attività di ricerca scientifica di Faraday non fu affatto slegata da un forte afflato spirituale che, anzi, animò costantemente la sua vita e contribuì notevolmente a guidare e orientare, in modo euristicamente fecondo, la sua indagine sperimentale della natura.
Michael Faraday nacque il 22 settembre 1791 a Newington Butts nel Surrey da una famiglia di umili condizioni (suo padre era un fabbro). Giovanissimo, cominciò a lavorare come apprendista presso un rilegatore di libri, ma il suo acuto interesse per la scienza – alimentato da autodidatta attraverso letture e conferenze – gli permise nel 1813 di ottenere il posto di assistente del chimico Humphry Davy presso la Royal Institution. I primi lavori scientifici di Faraday furono rivolti alla chimica: nel 1820 scoprì due composti (C2Cl4, C2Cl6) derivanti dalla sostituzione e dalla addizione, con cloro, di atomi di idrogeno dell’etilene; nel 1823 offrì il primo esempio di liquefazione di un gas (cloro) e nel 1825 isolò il benzene. Intanto, divenne membro, nel 1824, della Royal Society e, nel 1833, fu nominato Full Professor di chimica presso la Royal Institution. Contemporaneamente, i suoi interessi iniziarono a coinvolgere maggiormente l’ambito della ricerca fisica, convergendo soprattutto sulle analisi sperimentali relative alle proprietà elettriche e magnetiche della materia. È proprio in quest’ultimo settore che egli effettuò, con tenacia, innumerevoli esperienze, raccolte nelle trenta comunicazioni note come Experimental Researches in Electricity. In particolare, assai fruttuosa si rivelò la rivisitazione e interpretazione che Faraday fece dei risultati ottenuti da Oersted, il quale aveva mostrato che la corrente elettrica produceva magnetismo. Infatti, dopo circa un decennio di ricerche, nel 1831, Faraday riuscì a dimostrare che il magnetismo poteva produrre correnti elettriche e che, dunque, la relazione tra magnetismo ed elettricità era dinamica e non statica. Con questa osservazione fondamentale si mise in evidenza non solo che una variazione di campo magnetico genera elettricità (un campo elettrico) ma anche, reciprocamente, che una variazione di campo elettrico genera magnetismo (un campo magnetico). I due complessi fenomeni potevano, perciò, essere affrontati e studiati solo sul piano di un campo di studi nuovo e più comprensivo, l’elettromagnetismo. Inoltre, meditando sulle interazioni tra correnti e magneti, Faraday formulò anche la nozione di linee di forza: quando, ad esempio, una corrente circolava in un filo conduttore, rilevò che attorno al filo si formavano linee magnetiche la cui intensità diminuiva con il crescere della loro distanza dal filo stesso. I risultati e le ipotesi più rilevanti in tal senso vennero esposti in un articolo redatto da Faraday nel 1852, On the Physical Character of the Lines of Magnetic Force, il quale ispirò James Clerk Maxwell nella formulazione di quelle che sono oggi note come le equazioni dell’elettromagnetismo di Maxwell. Nel 1833, approfondendo la relazione tra elettricità e chimica, Faraday inizia lo studio dell’elettrolisi, ne determina le leggi e conia i termini ancora oggi usati nel descrivere il fenomeno: anione, catione, elettrodo, catodo, anodo. Alla fine del 1845 scoprì ancora due fenomeni nuovi: l’effetto magneto-ottico (un fascio di luce polarizzata linearmente attraversava un vetro pesante e, quando si eccitava un campo magnetico, si poteva osservare una rotazione del piano di polarizzazione) e il dimagnetismo, cioè la scoperta del fatto che tutte le sostanze, secondo Faraday, sono in grado di orientarsi perpendicolarmente alle linee di forza di un campo magnetico. Ciò mostrava a Faraday l’esistenza di un possibile legame tra la luce e l’elettromagnetismo, aprendo al contempo il campo a un livello di spiegazione che faceva appello ad un quadro unitario della fisica e chiamava in causa la comprensione delle mutue relazioni e delle connessioni rilevabili tra i diversi elementi agenti nella natura. Come risulta dai suoi quaderni di appunti, Faraday, sulla base dei fecondi risultati ottenuti in laboratorio, iniziò progressivamente ad interessarsi a un progetto di ricerca sui rapporti esistenti tra tutte le “forze” note alla fisica del tempo: elettricità, magnetismo, calore, luce, gravità. Egli si era da tempo convinto che dietro la poliedricità dei fenomeni naturali dovesse esserci una fondamentale unità. Una simile concezione olistica dell’universo e dell’indagine scientifica affondava le radici nella sua metafisica della natura che, a sua volta, traeva vigore da una salda fede in Dio creatore, Autore unico di una realtà molteplice, ma, in ultima istanza, intellegibile, ordinata, simmetrica, semplice, armonica, unitaria e coerente logicamente. È indubbio, infatti, che Faraday fosse un uomo profondamente religioso e che la religione non fu affatto una componente periferica della sua esistenza. Egli apparteneva alla piccola setta protestante dei Glasiti o Sandemaniani fondata in Scozia negli anni Venti del 1700 a partire da uno scisma interno alla Chiesa Presbiteriana. Da un punto di vista dottrinale i Sandemaniani adottano una lettura spiccatamente letterale della Bibbia e, ispirandosi alla descrizione paradigmatica della comunità cristiana primitiva contenuta negli Atti degli Apostoli, pongono una notevole attenzione a condurre le loro vite in stretto accordo con il dettato evangelico, riponendo la loro speranza unicamente in Gesù Cristo. La Chiesa Sandemaniana svolse un ruolo cruciale nella vita di Faraday, della quale egli fu un dei membri più autorevoli, rivestendo in essa dapprima il ministero di Diacono (1832) e poi di Anziano (1840) e impegnandosi, in tali vesti, nella predicazione e nella conduzione delle funzioni liturgiche comunitarie, nonché nell’assistenza spirituale dei poveri e dei malati. Da un punto di vista più strettamente epistemologico, l’influenza delle convinzioni teologiche di Faraday sul suo lavoro scientifico non possono essere in alcun modo sottovalutate, in quanto esse hanno da un lato concorso ad informare la concezione stessa della scienza che egli aveva – una collettività coesa, moralmente integra, fondata, come la sua comunità di fede, sui vincoli della fraternità e della verità - e dall’altro hanno contribuito a plasmare i presupposti metafisici e, più in generale, filosofici, che hanno orientato la sua ricerca e la comprensione e l’integrazione sistematica dei risultati via via ottenuti. Si tratta, in particolare, di una serie composita, ma coerente, di proposizioni interpretative che, all’interno di una visione empirista e sperimentalmente fondata dell’impresa scientifica, fungono da assunzioni ermeneutiche o da criteri metascientifici, svolgendo in tal modo, il ruolo di guide euristiche per la selezione delle ipotesi teoriche, l’interpretazione dei fenomeni e la risoluzione dei problemi connessi alle scoperte progressivamente fatte. Fra questi principi metafisici, i più rilevanti sono:
- la legalità: l’intero universo è razionalmente ordinato e governato attraverso leggi invariabili imposte da Dio stesso nell’atto creativo che implicano una costante e precisa relazione tra cause ed effetti.
- la semplicità e la bellezza: dato che il piano divino è perfetto, le leggi di natura tendono ad essere eleganti, logiche e semplici.
- La conservazione della forza e dell’energia: Faraday, facendo leva sul concetto di “stabilità della creazione” asserisce che le proprietà della materia «dipendono dall’energia – letteralmente il “potere”, la “forza” - con il quale il Creatore ha dotato tale materia»[2] e dato che la creazione e la distruzione dell’energia è «esclusivamente in potere di Colui che l’ha creata»[3], l’ammontare totale dell’energia nell’universo rimane costante fin dalla Creazione. Pertanto, non solo l’energia deve conservarsi all’intero dei processi fisici, ma anche delle necessarie relazioni devono sussistere tra le diverse forze agenti nella natura. Un principio, questo, che ricorda la prima legge della termodinamica che diverrà un pilastro centrale della scienza alla fine del XIX sec. e che, in congiunzione con gli altri assunti della sua metafisica della natura, spinse Faraday a cercare le relazioni esistenti tra l’elettricità e il magnetismo.
- Unità nella diversità: al di là della varietà di manifestazioni e fenomeni prodotti, le forze presenti nella natura sono armonicamente interagenti e interrelate, fondate su una più profonda unità, vestigia del Creatore, il Dio unitrino.
Fondamento di cui questi principi sono altrettante declinazioni è una concezione rigorosamente teista dell’universo, secondo la quale esso non è il frutto contingente del caso, ma, in stretto accordo con l’insegnamento biblico, un sistema ordinato dall’azione costante della divina provvidenza. Dunque, per Faraday il mondo naturale è necessariamente il riflesso del divino Artefice che lo ha plasmato e lo governa; tutta la natura manifesta la saggezza e la volontà del Creatore e, in tal senso, la scienza rappresenta il tentativo di scoprire le leggi che Dio stesso ha inscritto nella materia e che, essendo state «stabilite fin dal principio»[4] sono «tanto antiche quanto la creazione»[5]. La stessa attività di ricerca era ritenuta da Faraday carica di significato religioso. Attraverso i suoi esperimenti, egli entrava in contatto con l’atto creativo realizzato da Dio; i risultati ottenuti e le scoperte scientifiche realizzate diventavano ai suoi occhi altrettante rivelazioni dell’onnipotenza e delle opere del Creatore. Secondo Faraday, infatti, come la Bibbia, anche «il libro della natura [è] scritto dal dito di Dio»[6] e «svelare i misteri della natura equivale a scoprire le manifestazioni di Dio». Scopo dell’attività scientifica è, pertanto, la lenta ma progressiva scoperta della verità, attraverso un processo cumulativo e convergente che, cogliendo le meraviglie nascoste nelle dinamiche dei fenomeni naturali, possa contribuire, anzitutto, a lodare e glorificare il Creatore, mostrando l’operato della sua Provvidenza nel governo del cosmo e, in secondo luogo, «portare i doni di Dio all’Uomo»[7]. Ciò significa che, nella dedizione alla scienza, propria di Faraday, non è affatto assente una dimensione morale, nonché una componente applicativa e sociale, una ricaduta pratica dei prodotti della ricerca teorica che possa concorrere alla realizzazione di innovazioni tecnologiche funzionali ad un miglioramento delle condizioni della vita umana. Al contempo, le conoscenze scientifiche non dovrebbero essere appannaggio di una cerchia ristretta ed elitaria di studiosi, ma è necessario che esse vengano divulgate e condivise con tutte le fasce della popolazione. Da qui, gli sforzi profusi da Faraday nell’organizzare e tenere conferenze rivolte ad un vasto pubblico - anche di giovani studenti, come l’ideazione delle famose Christmas lectures presso la Royal Institution, tuttora esistenti. Molti di coloro che ascoltarono le sue conferenze, inoltre, percepirono l’intimo afflato spirituale che, come in filigrana, trapelava dalle descrizioni e spiegazioni che egli faceva delle leggi di natura: «Aveva il più profondo senso religioso, ed era uno di quei felici mortali che sapeva leggere i sermoni nelle pietre e il bene in ogni cosa»[8]. Quando nel 1867, all’età di 75 anni, Michael Faraday morì, era già riverito come uno delle più grandi figure della scienza britannica, un intellettuale capace nella sua esistenza di coniugare in modo armonico e fecondo una salda fede cristiana e un’intraprendente competenza scientifica.
[1] Jones H. B., Life and Letters of Faraday, Cambridge University Press, 2010 (ed. or. 1870), p. 474
[2] Faraday M., A course of lectures on electricity and magnetism, «London Medical Gazette» 2, 1846, pp. 977
[3] Faraday M., Experimental Researches in Chemistry and Physics, R. Taylor and W. Francis, 1859, p. 447
[4] Faraday M., A course of lectures on electricity and magnetism, «London Medical Gazette» 2, 1846, p. 977
[5] Ibid. p. 523
[6] Faraday, M., Observations on Mental Education: A Lecture Delivered at the Royal Institution of Great Britain, J.W. Parker, 1854, p. 471
[7] Faraday, M., On certain metals and metallic properties, «London Medical Gazette» 1, 1845, p. 400
[8] Lloyd M., Sunny memories, containing personal recollections of some celebrated characters, Nabu Press, 2010 (ed. or. 1879), p. 67
Bibliografia
Bellone E., Michael Faraday, in Rossi P. (a cura di), Storia della Scienza, Vol. 4, La scienza classica: da Faraday a Darwin, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006, pp. 93-110
Cantor G., Michael Faraday: Sandemanian and Scientist. A Study of Science and Religion in the Nineteenth Century, The Macmillan Press, 1991
Faraday, M., On certain metals and metallic properties, «London Medical Gazette» 1, 1845, p. 400
Faraday M., A course of lectures on electricity and magnetism, «London Medical Gazette» 2, 1846, pp. 977-982
Faraday, M., Observations on Mental Education: A Lecture Delivered at the Royal Institution of Great Britain, J.W. Parker, 1854
Faraday, M., Experimental Research in Chemistry and Physics, R.Taylor and W.Francis, 1859
Hutchinson I. H., The Genius and Faith of Faraday and Maxwell, «The New Atlantis. A Journal of Technology & Society» 41, 2014, pp. 81-99
Jones H. B., Life and Letters of Faraday, Cambridge University Press, 2010 (ed. or. 1870)
Lloyd M., Sunny memories, containing personal recollections of some celebrated characters, Nabu Press, 2010 (ed. or. 1879)