Nicola Cabibbo

1935, Roma
2010, Roma

 

«La scienza mira a fornire un’immagine del mondo priva di ombre. È vero, ma nel disperdere una ad una le ombre se ne svelano di nuove, cosicché lo scienziato si trova perennemente — e in questo non è differente dal letterato o dall'artista — a vivere in between, nella zona di confine tra luce ed ombra. Zona di confine ben rappresentata dai “Concetti Spaziali” di Lucio Fontana, quadri in cui un taglio su una tela bianca suggerisce l'esistenza di un mondo ulteriore i cui dettagli restano da scoprire. Nelle parole del celebre esploratore Giuseppe Tucci “la scienza, sappiamo, è continuo trascolorare del certo nel dubbio, ed ogni suo avanzamento si misura non dalla luce che esso fa, quanto piuttosto dal maggior rilievo delle zone d'ombra che viene additando”». Questi pensieri, tratti da un’intervista ad un noto quotidiano italiano, ci mostrano come Nicola Cabibbo oltre ad essere stato uno scienziato straordinario sia stato anche un uomo appassionato della ricerca e dagli ampi interessi culturali.

Nicola Cabibbo era nato a Roma il 10 aprile 1935 da genitori siciliani. In età molto giovane si appassionò di fantascienza: «avevo una grande passione per i libri sulle esplorazioni artiche — scrisse in un’occasione — la Luna, l’astronautica e i giochi con l’elettricità». «Al liceo Tasso — continua nei suoi ricordi — ero diventato amico di un radioamatore e avevo anche cominciato a costruire una piccola stazione radio, che non ho mai finito”. Passioni e letture lo spinsero ad iscriversi a Fisica all’Università di Roma perché, spiegava «la Fisica allora era la regina assoluta delle scienze, con la scoperta e il dominio del mondo nucleare». Ad un giornalista che gli chiedeva che cosa l’avesse spinto a diventare scienziato rispondeva: «Una curiosità scientifica che ho avuto sin da piccolo. Immaginavo la scienza come una grande avventura: esplorazioni polari, viaggi nello spazio. Erano i libri che trovavo in casa che accendevano la mia fantasia». All’Università La Sapienza i suoi maestri furono Edoardo Amaldi, Conversi, Toushek, Morpurgo, Fichera.

Al momento della tesi, il grande scienziato di origine austriaca Bruno Toushek (che avrebbe costruito nei laboratori INFN di Frascati la prima macchina al mondo per la collisione di materia e antimateria, AdA) assegna a lui, a Francesco Calogero (che sarà segretario del Gruppo Pugwash quando questo sarà insignito del premio Nobel per la pace) e a Paolo Guidoni una unica tesi di laurea, da dividere in tre, sul tema delle interazioni deboli. Laureatosi nel 1958, Nicola Cabibbo collabora con Raoul Gatto, il quale racconta: «Quando lo conobbi, ero appena tornato dagli Stati Uniti; Nicola aveva 22 anni e stava per finire la tesi di laurea con Touschek. Mi resi subito conto della sua eccezionale lucidità. Accanto ad una intelligenza non comune mostrava una singolare capacità a tutto razionalizzare, sia nelle considerazioni scientifiche, sia nelle considerazioni sugli avvenimenti umani».

Agli inizi degli anni '60 Cabibbo fu il primo dipendente del gruppo teorico del laboratorio di Frascati promosso da Giorgio Salvini. La sua attività nell’ambito del laboratorio fu intensa e importante per gli sviluppi teorici e sperimentali. I lavori sui decadimenti dei mesoni K, sulle sezioni d’urto da neutrini furono molto apprezzati e citati. Nel 1961 pubblica un articolo sulla sezione d’urto, un lavoro ritenuto fondamentale per lo studio dei fenomeni di collisione delle particelle elementari. La sua carriera di ricercatore iniziata nell’INFN (al quale rimase sempre associato) prosegue a Ginevra e poi al Lawrence Radiation Laboratory di Berkeley in California, come senior scientist. «Ero nella città californiana quel giorno del 1963 quando Kennedy venne ucciso – racconta — ma capii che era accaduto qualcosa di grave solo la sera, quando uscendo dal laboratorio sentii nel campus un silenzio incredibile». Cabibbo firma proprio nel 1963 sulla prestigiosa rivista Physical Review Letters l’articolo che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo, dove introduceva una famosa costante, conosciuta oggi come “angolo di Cabibbo”, nel quadro della teoria delle interazioni deboli, fornendo alcuni fondamentali elementi del futuro Modello Standard delle particelle elementari. Questo articolo, valutato nel 2006 come “la pubblicazione più citata di tutti i tempi”, era stato ispirato, a detta dello stesso fisico, dai suoi studi precedenti sulle interazioni dei fotoni di alta energia con i cristalli: «Credo che nella mia mente ci sia stata una sorta di interferenza fra il mio lavoro su fotoni e cristalli, che riguardava la polarizzazione, e il mio lavoro sul decadimento degli iperoni. Fu una sorta di processo di fertilizzazione reciproco».

Dal 1969 Nicola Cabibbo diviene professore di fisica delle particelle elementari all'Università di Roma. Roberto Petronzio ricorda di lui «la grande calma che gli era propria, la lentezza creativa che gli permetteva di riflettere sempre a lungo su tutto e di trovare le soluzioni migliori. Che a volte erano anche rapide. I suoi allievi a volte passavano ore intere per cercare una soluzione a un problema: lui passava da loro nel tardo pomeriggio e trovava il modo di aiutarli a risolvere tutto».

Nel 1974, insieme a Kobayashi e Maskawa, mostra come la violazione della simmetria congiunta di coniugazione di carica e parità (simmetria CP) nelle interazioni deboli richieda 3 generazioni di quarks: questa proposta, basata sulla cosiddetta matrice di CKM, dove CKM è l’acronimo dei tre cognomi Cabibbo, Kobayashi e Maskawa, porta a prevedere l'esistenza di sei quark rispetto ai quattro allora noti. La “matrice di CKM” è un modello che ha consentito di prevedere l’esistenza di sei differenti tipi di quark, attualmente conosciuti come i mattoni ultimi della materia che combinandosi in diversi modi formano le particelle dei nuclei atomici (protoni e neutroni), i barioni e i mesoni. Non a caso il nome di Cabibbo è il primo dei tre Autori; fu Cabibbo, infatti, coi suoi studi, ad aprire la strada a questo nuovo filone di studi volti alla comprensione dei meccanismi che spiegano l’intima struttura della materia.

Oltre nell’Università di Roma La Sapienza Cabibbo ha insegnato anche a Princeton, Parigi, Chicago, New York, Syracuse, l’Aquila e nell’Università di Roma Tor Vergata. È stato presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) per nove anni dal 1983 al 1992; sotto la sua presidenza sono stati inaugurati i Laboratori nazionali del Gran Sasso. Dal 1993 al 1998 è stato presidente dell’ENEA (Ente Nazionale per le Energie Alternative). Dal 2008 era entrato a far parte del Comitato scientifico dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Oltre ad essere membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei, fu membro della National Academy of Sciences, di cui tra gli italiani fanno parte soltanto Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia e Giorgio Parisi, della European Physical Society, dell‘International Center for Theoretical Physics e della Società Italiana di Fisica. Per i suoi studi sull’interazione debole gli era stata conferita recentemente la Medaglia Dirac.

Nell’Ottobre del 2008 viene assegnato il Premio Nobel per la Fisica a Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa senza alcuna menzione alle ricerche di Cabibbo, nonostante i suoi lavori avessero gettato le basi alla scoperta dei due ricercatori giapponesi come visto in precedenza. Fra la grande sorpresa dei fisici, soprattutto italiani, nell’apprendere la decisione della giuria di Stoccolma, Cabibbo con grande maturità e finezza non volle mai commentare l’accaduto. Qualcuno, forse a ragione, avanzò l’ipotesi che l’esclusione di Cabibbo dal Nobel fosse dovuta al fatto che il fisico italiano era il Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, incarico nel quale fu nominato da Giovanni Paolo II nel 1993 e che mantenne fino al momento della sua morte.

Negli ultimi tempi gli interessi scientifici di Nicola Cabibbo si erano diretti all'applicazione di alcuni problemi di fisica teorica nel campo dei supercomputer. Ha coordinato la realizzazione della famiglia dei supercalcolatori "paralleli" APE100 (Array Processor Experiment), macchine capaci di effettuare un miliardo di miliardo di operazioni al secondo, il cui impiego diveniva necessario per effettuare i calcoli numerici relativi ai problemi della cromodinamica quantistica.

La già citata scoperta relativa all’angolo di Cabibbo, apparsa originariamente nell’articolo “Unitary Symmetry and Leptonic Decays”, Phys. Rev. Lett., 10 (1963), pp. 531-533, merita qui qualche informazione in più. Un problema aperto che lasciava veramente perplessi, fu posto agli inizi degli anni Sessanta ai fisici. Si cercava una spiegazione per le vite medie di alcune particelle “strane” (adroni che contengono quark di tipo S). All’epoca degli studi di Cabibbo erano note particelle che oggi sappiamo essere composte da quarks di tre soli sapori: up, down, e strange. Mentre la gran parte delle particelle si comportava in maniera coerente con il formalismo sviluppato fino a quel tempo, cioè quelle particelle che oggi si sa essere costituita solo da quark up e down, il comportamento di altre particelle, come il kaone o mesone K, era invece anomalo in rapporto alle leggi fino a quel momento note. L’esistenza di queste particelle, dette appunto particelle strane, era nota dalla fine degli anni Quaranta e oggi si sa che sono costituite anche da uno o più quark strange (S) e possiedono perciò una proprietà fisica chiamata “stranezza”. Cabibbo ipotizzò che la forza debole agisse in maniera diversa su ciascuna particella, solo in funzione della sua carica di stranezza, e introdusse una costante nota come “angolo di Cabibbo”: i valori del seno e del coseno di quest’angolo elevati al quadrato potevano essere utilizzati per stabilire la probabilità che una particella strana si trasformasse in una particella non strana interagendo con un’altra particella per mezzo della interazione debole. Ovvero che le due quantità trigonometriche determinano la probabilità che, a seguito dell’emissione di un bosone W, un quark strange si trasformi in un quark up (o viceversa, a seconda della carica portata dal bosone W). Il processo di interazione, così identificato, viene chiamato corrente debole carica. Il lavoro di Nicola Cabibbo può gettare luce sul motivo per cui la materia dell’Universo abbia prevalso sul bilancio neutro della sua annichilazione, indicando che la ragione si trova nel mescolamento dei quarks (quark mixing). All’inizio di tutto, all’epoca del Big Bang, l’Universo era infatti composto in ugual misura di particelle di materia e di antimateria destinate ad annichilirsi fra di loro senza lasciare traccia. Una asimmetria tra queste particelle, una piccola differenza tra materia e antimateria, ha permesso invece che la prima prevalesse, seppur di pochissimo, sulla seconda. Così oggi viviamo in un Universo fatto di materia. «Oggi per descrivere tutto quello che sappiamo sulle particelle elementari dell’Universo – spiegava in un’occasione Nicola Cabibbo – servono 20 parametri. 8 di questi descrivono il mescolamento e sono direttamente legati all’angolo che porta il mio nome».

Nicola Cabibbo manifestò con trasparenza e coerenza la sua fede cattolica, che praticava con sincerità, offrendo sempre considerazioni di grande equilibrio sul rapporto fra scienza e fede, convinto che tra le due dovesse esserci un “rispetto reciproco”. Nel delicato ruolo di Presidente della Accademia Pontificia delle Scienze non aveva mai esitato a prendere posizioni nette in favore della correttezza e della obiettività scientifica. Fu particolarmente apprezzato il suo ruolo nella discussione intorno alle teorie neo-creazionistiche orginatesi in alcuni ambienti del fondamentalismo biblico, tanto più importante data la sua posizione di prestigio nel mondo cattolico. Intervistato a tal proposito dal National Catholic Reporter, Cabibbo spiegò che «la teoria dell’evoluzione può essere fastidiosa per i cristiani perché sembra entrare in conflitto con l’idea della creazione divina. Questa paura è, tuttavia, infondata. Ciò che entra in contrasto con la creazione divina è la possibile estensione della teoria dell’evoluzione in una direzione materialistica, il cosiddetto evoluzionismo. Ciò che l’evoluzionismo sembra dire, e sto pensando ad autori come Dawkins, è che non c’è necessità di Dio. Ma questa estensione della teoria di Darwin non è parte di ciò che è stato scoperto dalla scienza». Egli riteneva, inoltre, che non dovessero essere imposti dei limiti alla ricerca scientifica, ma che occorresse «fare attenzione alle possibili applicazioni e alle implicazioni etiche». E su quest’ultimo punto Cabibbo affermava che, se da un lato le religioni potevano dare gli input sull’etica, dall’altro era importante che la comunità scientifica avesse un ruolo positivo nell’elaborazione della morale. Non nascondeva che certe questioni potevano generare qualche imbarazzo fra religione e ricerca ma, parafrasando una famosa frase ripetuta da Galilei, sosteneva che l’uomo deve aspettarsi dalla fede la salvezza e non la spiegazione del mondo. Del resto, era anche convinto che la scienza non potesse mettere in difficoltà la fede, perché se le scoperte scientifiche sono "vere", allora non possono essere in contrasto con quella Verità che è il Creatore stesso. Egli riteneva anche che la Chiesa, dopo aver rivolto le proprie attenzioni ai temi dell’evoluzionismo e della biologia, avrebbe dovuto presto confrontarsi anche con la fisica, soprattutto dopo i possibili sviluppi legati al funzionamento del più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC) del Cern di Ginevra. A questo proposito, non condivideva la definizione di “particella di Dio” data al “bosone di Higgs”, al quale i fisici stanno dando da tempo la caccia. «Chiamare il bosone di Higgs la particella di Dio – commentò Cabibbo – è stata la trovata stravagante di un collega americano, ma con Dio non ha nulla a che fare».

A motivo del suo incarico ebbe la possibilità di presenziare le più importanti circostanze di dialogo fra i Pontefici e la comunità scientifica internazionale, prima con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI. Rivolse particolare interesse allo studio della vicenda di Galileo, tema al quale dedicò molti interventi pubblici. Scriveva in una occasione nel 2009: «Al fondo delle tensioni tra scienza e fede c’è la resistenza di fronte a ipotesi o teorie scientifiche che appaiono imbarazzanti. Queste ipotesi non devono essere prematuramente accettate dalla teologia, ma l’imbarazzo deve essere superato. Sta agli scienziati analizzare le teorie, cercare prove o contraddizioni, accettarle o rifiutarle.Mathemata mathematicis scribuntur, così Copernico esprime questo concetto nella dedica del De revolutionibus a Paolo III. Non voglio discutere i doveri dei teologi, o suggerire possibili soluzioni all’imbarazzo; cadrei altrimenti nell’errore di Galileo, che tentò di trovare un accordo tra la Scrittura e Copernico».

Da lungo tempo sofferente di una malattia tumorale, Nicola Cabibbo muore la sera del 16 agosto 2010 all'Ospedale Fatebenefratelli di Roma, dove era stato ricoverato per crisi respiratoria. I commenti di alcune grandi personalità del mondo scientifico, apparsi sulla stampa dopo la sua morte, sono eloquenti sullo spessore della sua figura: «Scompare uno scienziato dotato di un pensiero profondo e un grande maestro. Cabibbo è stato fra i protagonisti assoluti della scuola romana di fisica», affermava Roberto Petronzio, suo allievo nonché attuale presidente dell’INFN. «È stato senza dubbio il punto di riferimento di un’intera generazione di fisici. A livello umano era una persona contagiosa. Si vedeva chiaramente che si divertiva a fare la fisica, che per lui era come se fosse un gioco», dichiarava Giorgio Parisi, uno tra i suoi allievi più influenti. «Lavorare con lui era sorprendente. Conosceva tutta la fisica e aveva dimensioni intellettuali pari a quelle di Enrico Fermi», ha osservato Luciano Maiani, presidente del CNR.

 

Bibliografia:

F. GABICI, Il fisico che mise all'«angolo» i quark, «Avvenire» 18 agosto 2010.

R. GATTO, In Ricordo di Nicola Cabibbo (1935-2010), dal sito della Società Italiana di Fisica

Nicola Cabibbo, in «scienza e Tecnica. Mensile di informazione della Società Italiana per il progresso delle scienze», 73 (2010), pp. 4-7 e nn480-481.

Nicola Cabibbo 1935–2010, «Nature Physics» 6 (2010), p. 633.

N. CABIBBO, Tra fossili e particelle la grande sfida della luce e dell'ombra, «La Stampa» (27 gennaio 2010).

A. GNOLI, Cabibbo la scienza e il gatto, Intervista a Nicola Cabibbo, «La Repubblica» (23 ottobre 2008)

   

Marco Crescenzi