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L´uomo è antiquato (vol. 1: Considerazioni sull´anima nell´epoca della seconda rivoluzione industriale)

Günther Anders

Il saggiatore,
Torino 1963
Anno di edizione originale: 1956
ISBN: 9788833918266

L'opera di Günther Anders offre un'analisi dello sviluppo tecnologico del XX secolo e in particolare modo delle conseguenze sociali e antropologiche che il fenomeno  ha introdotto nel mondo occidentale, fino a denunciare una sorta di totalitarismo dalle macchine sull'uomo. La riflessione filosofica dell'autore di origini ebraiche si innesta attorno a spazi problematici esplorati da pensatori come Nietzsche ed Heidegger: da essi riprende la dimensione nichilistica della tecnica e la precarietà della condizione umana. Scorrendo rapidamente l'indice dell'opera ci si rende conto dello stile intenso e talvolta tragico con cui si articolano le argomentazioni: “Apocalisse”, “nichilismo”, “vergogna”, “prometico”, “bomba”, “annullamento” … Il tono del discorso, esagerato, è una scelta metodologica dellA., come lui stesso afferma, in quanto «esistono dei fenomeni che non si possono trattare senza ingrandirli» poiché la posta in gioco è assai alta: «essi ci pongono davanti all'alternativa: esagerarli o rinunciare a conoscerli» (v. I, p. 23). La riflessione antropologica di Anders prende avvio cogliendo l'esplicitazione di una nuova tipologia di “vergogna” propria dell'uomo contemporaneo, quella di avverire la sua inevitabile inferiorità rispetto alle macchine, per dirigersi poi ad esaminare l’influenza della tecnica sulla interiorità dell'uomo: la seconda rivoluzione industriale, quella che ha portato alla creazione di nuovi bisogni nella vita di tutti i giorni, ha accumulato già da tempo le premesse materiali per una «metamorfosi dell'anima e ne appresta ogni giorno di nuove. Ma l'anima ha progredito di pari passo con queste premesse completamente modificate? Procede di pari passo con le premesse che si modificano quotidianamente?» (v. I, p. 23). Si giunge così al riconoscimento di un “dislivello prometeico” consistente nella «asincronizzazione ogni giorno crescente tra l'uomo e il mondo dei suoi prodotti. Distanza che si fa ogni giorno più grande» (v. I, 24). L'analisi dell’A. identifica e sottolinea i limiti delle facoltà umane alla luce della tecnica. Recuperando, seppur non in termini prettamente teologici, la categoria di anima egli coglie l'enorme iato apertosi fra questa e la prassi umana, fra l'immaginare e il fare, il sentire e l'agire, la coscienza e la conoscenza. L'uomo si ritrova dilaniato fra un'esistenza interiore e una prassi impostata tecnicamente che gli impediscono di realizzare una personalità armoniosa e di prender coscienza del portato etico-morale che ha il problema. La soluzione al problema prometeico è stata illusoriamente ricercata dall'uomo dell'era della tecnica con l'iconomania: con il culto dell'immagine è possibile per l'uomo garantire la “riproduzione” della sua persona, il miglior compromesso perseguibile di fronte alla serializzazione umana. A fronte di una disumanizzazione.  Come parte della sua “vergogna”, l’uomo dell’era tecnologica si scopre “paralitico”, e tenta una disperata auto-metamorfosi tramite discipline come la Human Engineering nel tentativo di superare il suo essere uomo. E questa operazione comporta un costo, quello della perdita delle istanze morali, provocando uno spaesamento pratico-esistenziale, come quello denunciato dall'opera teatrale Aspettando Godot di Samuel Beckett. Nel postmoderno l'uomo affronta nel contempo la possibilità del proprio nichilismo e l'incapacità di essere nichilista. Si assiste così allo sconvolgimento della vita umana anche negli ambiti politico ed estetico: non sono più temi affrontabili tramite categorie filosofiche o religiose ereditate dal passato. Richiedono un nuovo pensiero. «Le nostre stesse azioni “morali” e “immorali”, che lo vogliamo o no, vagano prive di radici nell'oceano dell'essere, moralmente indifferente, per così dire sotto forma di “fiori metafisici recisi”. [...] Viviamo in un'epoca in cui è neutralizzata la differenza tra agire violento e mansuetudine, un'epoca che ci preclude il “diritto alla cattiva coscienza” e che atrofizza la nostra capacità di provare il senso di colpa» (v. I, p. 77; v. II, p. 60). L'uomo sarebbe allora troppo antiquato per poter condurre una vita morale autentica. Si compie così il passaggio dalla “moralità di un'azione” alla “bontà di funzionamento”. Il secondo volume dell'opera presenta una serie di capitoli che approfondiscono e illuminano le tematiche presentate nel primo: le tre rivoluzioni industriali, l'apparenza, il materialismo, i prodotti, il mondo umano, la massa, il lavoro, le macchine, l'antropologia filosofica, l'individuo, le ideologie, il conformismo, la frontiera, il privato, il morire, la realtà, tesi per un simposio sui mass media, la libertà, la storia, la tecnica come soggetto della storia. la modernità è antiquata. il mondo sirenico, la fantasia, il "giusto", il tempo e lo spazio, la serietà, sugli happenings, il "senso", l'uso, il non-potere, il male. Compiendo un bilancio riassuntivo della corposa opera non si può negare che, epurando ogni esagerazione metodologica che lo stesso A. ha consapevolmente impiegato, l'analisi di Anders resta efficace nel suo svolgimento e rappresenta un monito per l'uomo a ripensarsi nell'era della tecnica fra il XX e il XXI secolo; una visione che invita a guardare con occhi nuovi i prodotti della tecnica (si pensi per esempio all'eidetica del prodotto offerta dal platonismo industriale) e a sensibilizzare a questioni complesse come quella atomica: deve esser colta l'urgenza di riscattare la vergogna prometeica (ammesso che ciò sia possibile) e la cecità dell'Apocalisse che come una spada di Damocle pende sull'umanità. L'uomo deve in un certo senso s-macchinarsi, recuperando tutte le dimensioni antropologiche che lo realizzano ed integrano, a partire dai sentimenti. Non sempre convincente risulta invece l'associazione diretta tra “conformismo” ed età della tecnica; il contesto di analisi calcato dall’A. può non essere in grado di offrire una prospettiva esaustiva, essendo limitato alla sola cultura e società statunitense: rilanciando oggi l'indagine verso altre culture e società come quelle europee o dei Paesi che all'inizio del XXI secolo stanno attraversando un enorme sviluppo tecnologico (Brasile, Cina, ...) è possibile riscontrare la medesima questione tecnico-antropologica, le stesse istanze, conseguenze e  soluzioni proposte da Anders per gli USA del XX secolo?