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Etica del corpo tra medicina ed estetica

Maria Teresa Russo

Rubbettino,
Soveria Mannelli 2008
pp. 233
Anno di edizione originale: 2008
ISBN: 9788849822281

“Il corpo è un ambito dove i significati fondamentali dell’essere umano – della vita e della morte, del piacere e del dolore, della salute e della malattia – appaiono forse oggi in modo particolarmente evidente. Luogo “problematico” per eccellenza, il corpo presenta un’essenziale ambiguità: è un essere e un avere; unisce e contemporaneamente separa; permette di abitare il mondo, ma è anche un’insuperabile barriera tra noi e il mondo; è soggetto e insieme oggetto; fa vivere e fa morire. È, in sintesi, possibilità e limite, ossia condizione di qualsiasi altra possibilità, ma anche motivo di fragilità e vulnerabilità, fino all’impotenza assoluta della morte” (p. 13).

Oggi al corpo viene prestata una grande attenzione, ma non per questo esso è divenuto più comprensibile. Infatti, il corpo può essere detto in molti modi, poiché su di esso si possono proiettare modelli culturali molto diversi.

In età post-moderna si è andato affermando quello che Maria Teresa Russo – docente di Antropologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma - definisce il paradigma della plasticità del corpo, una sorta di riproposta dell’utopia migliorista della modernità che ricerca “il migliore dei corpi possibili” supportata, per altro, dalle tendenze della biomedicina, dalla chirurgia estetica, dal body building ele diete. Esito di queste tendenze è l’eclissi del corpo: esso non viene più inteso come dimensione essenziale del soggetto vivente, luogo della sua identità e condizione del suo stare al mondo.

Eppure l’importanza del corpo è stata messa in evidenza in modo indiretto dalle ricerche sul sistema olfattivo di due neuroscienziati, Richard Axel e Linda Buck i quali nel 2004 ricevettero il premio Nobel per la medicina. I loro studi evidenziarono l’esistenza di una sorta di mappa sensoriale stereotipata nella corteccia olfattiva grazie alla quale determinati odori sono universalmente recepiti come gradevoli o sgradevoli. Una scoperta importante, sottolinea l’Autrice, non solo per la medicina, ma anche per la filosofia giacché ha rivelato la complessità delle sensazioni, nella fattispecie di quella olfattiva ed ha avvalorato quanto già sosteneva  Aristotele che “non c’è nulla nell’intelletto che prima non sia passato per i sensi”, ossia che l’esperienza sensibile è la base dello sviluppo di ogni conoscenza, ivi inclusa quella scientifica.

Il corpo, inoltre, è indispensabile anche per “rivelare” l’essere umano: l’espressione delle emozioni ed i gesti corporei non sono riducibili esclusivamente alla neurofisiologia, ma parlano e dicono dell’uomo. Senza corpo l’uomo non potrebbe abitare il mondo, esprimersi e comunicare, ma questo corpo connota il suo agire in una certa direzione, poiché ognuno nasce con determinate caratteristiche fisiche e temperamentali ed è collocato in una situazione corporea già definita.

“Corpo e corporeità sono due aspetti inseparabili: la dimensione più propriamente “carnale” ci colloca nel tempo e nello spazio, ci caratterizza come sessuati, vulnerabili e mortali, ma il riconoscersi tali, ossia il percepirsi come esseri corporei, si deve alla nostra natura di essere razionali, grazie alla quale, vivendo la dimensione corporea dall’interno e allo stesso tempo trascendendola, siamo capaci di coglierne il senso e scoprirne valori. Questa “coscienza del corpo” non vuol dire il semplice accorgersi di possederlo, ma significa essere capaci di appropriarci del suo linguaggio e del significato dei suoi vissuti” (p. 15).

Recuperare il senso autentico del corpo è indispensabile per scoprire come vivere in modo autentico la propria esistenza e le relazioni con gli altri. Questo recupero equivale a riuscire a riconoscere un ethos del e nel corpo, così come si manifesta nella sua relazione con l’io, con il mondo, con gli altri.

Obiettivo dell’Autrice in questo testo denso e ricco è affermare la necessità di “un ethos del corpo che renda possibile accettare la sua inevitabile passività o, meglio detto, trasformare la passività in pazienza, mettendoci in condizione di decifrarne il senso e addirittura di imparare da essa. Quale lezione trarre dalla nostra dolorabilità, dalla possibilità di ammalarci e di invecchiare, in definitiva dalla nostra mortalità? Forse il punto più delicato che l’etica deve illuminare è proprio il discernimento tra il limite da superare, inteso come sfida al mio potere di agire e il limite da accettare, che invece è la forma originaria della mia libertà” (pp. 19-20).