L'apologetica anglicana sorta fra i cultori delle scienze naturali

Questo brano di Robert Boyle (1627-1691), uno dei fondatori della chimica moderna, è uno dei primi esempi di quell’apologetica cristiana che, in ambiente anglicano, sorse proprio fra i cultori delle scienze e si estese poi lungo tutto il Settecento. L’autore espone i motivi per i quali uno scienziato (qui indicato col nome di “filosofo sperimentale”) può essere anche un sincero credente in Dio e presenta una lunga serie di osservazioni le quali, partendo dall’argomento dell’ordine e della finalità osservate in natura, mostrerebbero la ragionevolezza dell’esistenza di Dio. Al di là dell’ingenuità di varie di queste riflessioni, lo spirito dell’apologetica anglicana sei e settecentesca partiva da una considerazione condivisibile: se Dio aveva creato l’universo, oggetto di studio delle scienze, era ragionevole che lo scienziato ne cercasse le tracce. Al termine della sua vita, il chimico inglese lasciò un’eredità allo scopo di far svolgere dei cicli di conferenze di contenuto apologetico, note come le Boyle’s Lectures.

Signore, da quanto voi affermate, comprendo che i vostri amici considerano molto strano il fatto che io, che essi si compiacciono di considerare un attento cultore di filosofia sperimentale, sia un attento seguace della religione cristiana, nonostante che molte delle sue proposizioni siano così lontane dall'essere oggetto dei sensi da essere ritenute al di sopra della sfera della ragione. Ma benché ritenga che essi potrebbero trovare molti esemplari altrettanto strani tra coloro con i quali mi accomunano con il nome di nuovi virtuosi, e che, tra questi, potrebbero imbattersi in molte persone più abili di me nell'attenuare la loro meraviglia, ciononostante, dal momento che si sono compiaciuti di trascegliere me, quasi a provocarmi a farlo, tenterò di far loro considerare se non altro meno strano il fatto che un grande rispetto per l'esperienza e un'alta venerazione per la religione siano compatibili nella stessa persona. […]

Il primo vantaggio che il nostro filosofo sperimentale ha, in quanto tale, per essere un Cristiano consiste nel fatto che il suo corso di studi lo induce fortemente a stabilire nel suo animo una ferma convinzione nell'esistenza e in alcuni dei principali attributi di Dio: la qual credenza è, nell'ordine delle cose, il primo principio di quella religione naturale che è essa stessa requisito indispensabile alla religione rivelata in genere e, conseguentemente, a quella particolare che è abbracciata dai Cristiani.

Un osservatore intelligente e senza pregiudizi può difficilmente negare che la considerazione della vastità, della bellezza e della regolarità dei movimenti dei corpi celesti, l'eccellente struttura degli animali e delle piante, oltre a una moltitudine di altri fenomeni della natura e la soggezione di molti di questi all'uomo, può giustamente indurlo, in quanto creatura razionale, a concluderne che questo sistema delle cose, vasto, bello, ordinato e (in una parola) ammirevole sotto molti aspetti, che noi chiamiamo mondo, sia stato disposto da un autore supremamente potente, saggio e buono. Ciò è saldamente confermato dall'esperienza, la quale testimonia che, in quasi tutti i tempi e paesi, la maggior parte dei filosofi e dei pensatori furono persuasi dell'esistenza di una divinità dalla considerazione dei fenomeni dell'universo, la cui struttura e il cui reggimento essi razionalmente conclusero che non potevano a buon diritto essere ascritti al cieco caso o ad alcun'altra causa diversa da un essere divino.

Benché però sia vero che «Dio ha lasciato se stesso senza testimoni» persino per gli osservatori superficiali, imprimendo su molte delle parti più evidenti della sua opera tali appariscenti segni dei suoi attributi che un modesto grado di intelligenza e di attenzione potrebbe essere sufficiente a far riconoscere all'uomo la sua esistenza, ciononostante non mi faccio scrupolo di pensare che l'assenso è di molto inferiore alla convinzione che gli stessi oggetti siano stati fatti apposta per generare un attento e intelligente loro contemplatore. Le opere di Dio sono infatti così degne del loro autore che, oltre alle impronte della sua saggezza e della sua bontà che sono state lasciate per così dire superficialmente, vi è un numero molto maggiore di curiosi ed eccellenti esempi ed effetti dell'ingegnosità divina nei segreti e più profondi loro recessi e questi non possono essere scoperti da sguardi distratti di indolenti o inesperti osservatori, ma richiedono e, al tempo stesso, meritano l'esame più accurato e meticoloso da parte di osservatori attenti e ben preparati. Talora in una creatura non so quante ammirevoli cose possono esservi che sfuggono a uno sguardo comune, ma che possono essere scorte chiaramente da quello di un vero naturalista, il quale reca con sé, oltre a una curiosità e un'attenzione più che comune, una conoscenza competente dell'anatomia, dell'ottica, della cosmografia, della meccanica e della chimica. Dato che tale problema è trattato di proposito in altro luogo, può essere qui sufficiente dire che Dio ha espresso tante cose nelle sue opere visibili che quanto più l'uomo ne ha una chiara visione, tanto più può scoprire delle sottigliezze non evidenti e tanto più chiaramente e distintamente può discernere quelle qualità che si trovano più evidenti. E quante più meraviglie scopre nelle opere della natura, tante più sono le prove ausiliarie in cui egli si imbatte per impostare e rafforzare l'argomentazione, tratta dall'universo e dalle sue parti, per sostenere che c'è un Dio: la qual proposizione è di peso e importanza tanto vasta che dovrebbe renderci cara ogni cosa che possa confermarla e darci nuove ragioni per riconoscere e adorare il divino autore delle cose. […]

Dopo l'esistenza della divinità, il successivo e grandioso principio della religione naturale è l'immortalità dell'anima razionale, la cui autentica conseguenza consiste nella fede e nell'attesa di una condizione futura ed eterna. Per tale importante verità possono essere addotte diverse argomentazioni, le quali sono in grado di persuadere un uomo serio e ben disposto ad abbracciarla, ma, per convincere un avversario istruito, l'argomento più forte che ci fornisce la luce della natura sembra quello che è sostenuto dal realismo filosofico. Questo infatti ci insegna a formare nozioni vere e chiare del corpo e della mente, in tal modo, rivela una differenza così grande nei loro attributi essenziali che la stessa cosa non può essere entrambe. Essa lo palesa più chiaramente enumerando parecchie facoltà e funzioni dell'anima razionale, quale il comprendere e il formarsi dei concetti delle cose astratte, degli universali, degli spiriti immateriali e persino di quello infinitamente perfetto, cioè Dio stesso; e altresì comprendere e dimostrare che vi sono linee incommensurabili e numeri irrazionali; a far ragionamenti e inferenze, tanto convincenti quanto concatenati, su tali argomenti; a esprimere ad altri uomini, mediante parole o segni prestabiliti, le proprie concezioni intellettuali pro re nota; a esercitare la propria volontà su molte cose; a fare riflessioni sui propri atti sia dell’intelletto sia della volontà. Tali e consimili prerogative, infatti, essendo peculiari della mente umana e superiori a ogni cosa che appartiene ai sensi o alla stessa immaginazione, rivelano che l’anima razionale è un essere di un ordine superiore a quello corporale e, di conseguenza, che la sede di tali facoltà spirituali è la fonte di tali operazioni, è una sostanza che, essendo per sua propria natura distinta dal corpo, non è di natura soggetta a morire o a perire con esso. […]

Il terzo principio fondamentale della religione non rivelata e, conseguentemente, di quella rivelata (la quale presuppone la religione naturale come suo fondamento) è la fede nella divina provvidenza. In tale importante articolo di fede, come pure nei due precedenti, un uomo può essere bene rassicurato dalla filosofia sperimentale, sia perché essa gli offre incentivi positivi a riconoscere tale articolo, sia perché essa gli mostra la grande improbabilità dei due argomenti fondamentali, sull'uno o sull'altro e dei quali (poiché essi non sono molto coerenti) è fondata la negazione della provvidenza divina.

Un virtuoso, il quale, mediante esperimenti molteplici e accurati, indaga profondamente sulla natura delle cose, ha grandi e peculiari opportunità di scoprire e osservare l'eccellente fabbrica del mondo, in quanto immenso aggregato delle diverse creature che lo compongono e di vedere, nelle sue parti singole, specialmente in quelle che sono animate, quegli squisiti artifici nel rapporto reciproco di ciascuna con l'altra, e quelle ammirevoli coordinazioni e subordinazioni che giacciono nascoste a quegli osservatori che non sono attenti ed esperti. Quando il nostro virtuoso contempla la vastità e la difficilmente concepibile velocità e, nondimeno, la costante regolarità dei vari movimenti del sole, della luna e degli altri lumi celesti; quando egli considera come il magnetismo della terra faccia sì che i suoi poli appaiano sempre nello stesso modo, nonostante i movimenti del suo vortice fluido; e come, mediante il rivolgimento quotidiano attorno al suo centro, durante ventiquattro ore, riceva tanta luce e beneficio dal sole e da tutte le splendide costellazioni del firmamento, come se esse, con tutta la vasta regione a cui appartengono, le si muovessero attorno nel medesimo tempo; come, mediante la sua posizione tra di esse, la terra fruisca del regolare avvicendarsi del giorno e della notte, dell'estate e dell'inverno ecc. e come le diverse parti del mondo sublunare siano reciprocamente utili una all'altra, e la maggior parte di esse (in un modo o nell'altro) utili all'uomo. Contempla come i corpi degli animali siano formati in modo eccellente e quanto varia e opportuna preveggenza sia adottata per differenziare gli animali, cosicché essi possano sussistere tanto a lungo quanto debbono, secondo la legge naturale, dotandoli, rispetto alle loro differenti nature, alcuni del vigore per prendere il loro cibo con la forza, altri dell'operosità per procurarselo con avvedutezza, altri di armi, quali corna, zoccoli, squame, zanne, veleni, pungiglioni ecc. per difendersi e per colpire i loro nemici, altri di ali o destrezza per fuggire dai pericoli, altri di prudenza per prevenirli, altri di astuzia e forse di suoi strani stratagemmi per eluderli; quando egli contempla come, essendo distinti in due sessi, ciascuno di questi sia fornito di organi appositi per la propagazione della specie e di abilità e delicatezza per nutrire e allevare i propri piccoli, finché possano cavarsela da soli; quando egli contempla quanto ammirevole e, in verità, sorprendente sia il procedimento seguito nella formazione del feto, specialmente di quello umano; come i diversi animali siano dotati di strani istinti, i cui effetti talora sembrano andare assai al di là della ragione stessa, sebbene essi siano aggiunti alla struttura meccanica dell'animale e rivelino una relazione con cose assai lontane da essa, sia nel tempo, sia nello spazio o in entrambi, e forse anche con la grande fabbrica o struttura del mondo e con l'economia generale della natura, quando, come stavo dicendo, un filosofo riflette diligentemente su tali cose e su molte altre di importanza consimile, riterrà altamente razionale inferirne queste tre conclusioni.

In primo luogo, che un congegno così immenso, così bello e, così ben architettato, in una parola, così ammirevole come il mondo, non può essere stato effetto del semplice caso o della tumultuosa collisione degli atomi o del loro fortuito incontro, ma deve essere stato prodotto da una causa estremamente potente, saggia e provvida.

In secondo luogo, che questo potentissimo autore e (se così posso dire) artefice del mondo non ha abbandonato un capolavoro così degno di lui, ma lo sostiene e lo conserva ancora, regolando i movimenti stupendamente veloci delle grandi sfere e altre vaste masse di materia terrestre in modo tale che esse, a causa di qualche notevole irregolarità, non turbino il grande sistema dell'universo e non lo riducano a una specie di caos o a uno stato confuso di cose rimescolate e corrotte.

In terzo luogo, che come non è al di sopra dell’abilità del divino autore delle cose, benché sia un singolo essere, conservare e reggere tutte le sue opere visibili, per quanto grandi e numerose, così egli non ritiene inferiore alla sua dignità e alla sua grandezza estendere la sua cura e il suo beneficio a corpi particolari e persino alle creature più vili, provvedendo non solo per il nutrimento, ma persino per la propagazione dei ragni e delle formiche. Infatti, poiché la verità di tale asserzione, cioè che Dio governa il mondo che ha fatto, apparirebbe (se non apparisse da altre prove) dalla costanza, dalla regolarità e dai movimenti sorprendentemente rapidi dei grandi corpi celesti e dalle lunghe serie di artifici tanto ammirevoli quanto necessari che sono impiegati per la propagazione delle varie specie animali sia vivipari, sia ovipari, non vedo perché dovrebbe essere negato che la provvidenza di Dio possa raggiungere le singole opere quaggiù, specialmente la più nobile fra esse: l’uomo; poiché molti di quei dotti uomini che negano ciò, in quanto sminuirebbe la grandiosità e la felicità di Dio, riconoscono che, il primo atto della creazione o (se essi non amano tale termine) del formarsi delle cose, il loro grande autore non deve soltanto aver esteso la sua cura al grande sistema dell’universo in generale, ma deve averle permesso di scendere tanto in basso da consegnare tutte le minute e varie parti (e persino quelle più modeste) non solo degli animali più grandi (secondo l’opinione generale) e più perfetti, come gli elefanti, le balene, e gli uomini, ma anche di quelli tanto piccoli e abietti, come le mosche, le formiche, le pulci ecc., i quali, riproducendosi palesemente mediante uova lasciate dalle femmine, non possono essere razionalmente considerati prodotto della putrefazione. Di qui deduco, come da un fatto reale, che persino il benessere dei singoli animali, come è in accordo con l'onnipresente saggezza di Dio e con la sua copiosa munificenza, così (in qualunque modo la vanità degli uomini possa farla loro immaginare) non è, in verità, sconveniente per la sua ammirevole grandezza e maestosità.

In tale occasione, aggiungerò che, essendo l'uomo la più nobile delle opere visibili di Dio, poiché moltissime fra esse sembrano fatte per suo uso, in quanto, benché come animale (come ben dice il Salmista) è «fatto meravigliosamente» e forgiato in modo accurato e ingegnoso [cfr.Sal 139,14-15], e poiché Dio gli ha dato una mente razionale così come l'ha dotato di un intelletto con cui egli può contemplare le opere della natura e acquisire, mediante esse, convinzione dell'esistenza e dei diversi attributi del loro autore supremamente perfetto, e ha riposto nella mente dell'uomo nozioni e princìpi atti a renderlo consapevole di dover adorare Dio, come il più perfetto degli esseri, il supremo signore e reggitore del mondo, l'autore della sua natura e di tutte le sue gioie; poiché, dico, tutto ciò sta in questo modo, la ragione naturale gli impone di (dover) esprimere i sentimenti che egli prova per tale essere divino con venerazione per le sue perfezioni, con gratitudine per i suoi benefici, e con umiltà, data la sua grandezza e maestosità, con timore della sua giustizia, con fiducia nel suo potere e nella sua bontà, quando egli si sforza diligentemente di servirlo e di piacergli e, in breve, con quei diversi atti della religione naturale che la ragione indica come adatti, e perciò dovuti, a quei suoi vari attributi divini di cui essa ci ha condotto a conoscenza.

Opere di Robert Boyle, tr. it. a cura di C. Pighetti, Utet, Torino 1977, pp. 65, 70-79.