Enrico Cantore (1926-2014), gesuita, filosofo attento agli sviluppi della scienza, diede vita negli anni '70 del secolo scorso al World Institute for Scientific Humanism. Riproponiamo questa intervista pubblicata nel 1982 sul "Regno-attualità", di interesse storico per il particolare momento del rapporto fra Chiesa e mondo scientifico, dove il pensatore italo-americano racconta il suo itinerario spirituale e scientifico. L'ambiente americano (gnosi di Princeton, la pseudo mistica di Moon, i liberals, ecc.) fra scientismo e spinte umanistiche. Gli incontri con Heisenberg e Piaget. Le valenze spirituali e sociali della ricerca. Nei suoi scritti, fino alla data della sua morte avvenuta a Gallarate nel 2014, Cantore aveva sviluppato l'idea di un "umanesimo scientifico sapienziale" come prospettiva antropologica finalizzata a valorizzare le dimensioni umanistiche della scienza, il ruolo che essa svolge per la promozione sociale e la dignità dell'uomo.
Padre Enrico Cantore è un gesuita nato a Torino 56 anni fa, ma da tempo naturalizzato americano. É certamente più noto all'estero che nella sua patria d'origine come filosofo della scienza e animatore di iniziative di ampio respiro culturale come il World Institute for Scientific Humanism (WISH, 113 West 6Oth Street, Fordham University, New York, NY 10023) che dirige.
Itinerarium cordis
D. Qual è stato l'itinerario spirituale e intellettuale che l'ha condotta verso la scienza?
R. Posso ricordare due momenti dei quali mi è difficile raccontare, poiché si è trattato soprattutto di una sorta di luce interiore. Una prima volta, nel febbraio del 1945, verso la fine del mio noviziato, avvenne sotto l'influenza del concetto biblico di natura come messaggera della gloria di Dio e strumento del suo amore verso l'uomo, al quale la affida, affinché l’uomo gli renda gloria anche grazie ad essa. II concetto biblico veniva da me interiorizzato con la mediazione degli esercizi spirituali di sant'Ignazio.
La seconda volta fu nel maggio del 1945. Stavo leggendo un libro sull'eucaristia, come il sacramento che, per la sua base materiale, è la somma automanifestazione e autocomunicazione di Dio attraverso la natura. La situazione sociale e culturale della fine della guerra mi spingeva poi a pensare all'esigenza di una ricostruzione su una base profonda, nel rispetto e nella stima della natura, scientificamente utilizzata per tale ricostruzione umanizzante.
In seguito, a 19 anni, frequentando il liceo dopa il noviziato, con lo studio delle scienze naturali e in particolare della chimica, compresi che la scienza ci fa conoscere la natura in una maniera più profonda, grandiosa e ricca.
Attraverso lo studio della filosofia appresi i lineamenti essenziali del metodo scientifico e quale tipo di conoscenza fosse quella scientifica, argomento che successivamente approfondii studiando fisica all' Università di Torino.
D. È presente in lei un'ispirazione teologica specificamente biblica.
R. Dall'approfondimento dell'aspetto biblico, compiuto durante i quattro anni di teologia allo studentato, scaturiscono alcuni articoli sulla sapienza poi pubblicati sulla Rivista biblica italiana.
La mia formazione teologica è in effetti centrata sulla tematica della sapienza biblica, così come è sviluppata ad esempio in due celebri testi: A.M. Dubarle, Les sages d'Israel, Parigi 1946 e G. von Rud, Weisheit in Israel (tr. it. La sapienza di Israele, Marietti, Torino 1975).
D. E il suo cammino nella logica della scienza?
R. II mio ripensamento dei fondamenti della fisica atomica nasce dalla convinzione che la scienza vada rispettata in quanto tale, e che i filosofi debbano accettare l'autonomia degli scienziati. Da queste premesse è nato il mio metodo, che chiamo «induttivo-genetico» ed esperienziale-riflessivo», per comprendere lo spirito della scienza. Dallo studio della fisica atomica – alla luce anche della storia, della psicologia e della sociologia della scienza – nacque in me la certezza che la scienza è un fattore umanistico, cioè la scienza è un modo totale di conoscere, pensare, agire in tutti i campi, incluso quello religioso. Lo scienziato sente e pensa in maniera differente dalla persona non scientifica.
D. Ritorniamo un attimo al suo itinerario biografico.
R. Dopo aver trascorso due anni negli Stati Uniti - uno in California e uno a Chicago, dove si erano trasferiti, in seguito alla guerra, i principali esponenti del Circolo di Vienna – ad approfondire il pensiero anglosassone e la filosofia della scienza, - ritornai alla Gregoriana dal 1964 al 1966 e li finii di scrivere il mio primo libro Atomic Order. An Introduction to the Philosophy of Science, successivamente pubblicato dal MIT.
L'idea di un umanesimo scientifico risale a questo periodo. Ero stato invitato alla Gregoriana per creare un organismo interdisciplinare su questi temi, ma mi resi conto dell’impossibilità di concretizzare un progetto simile, anche per la non esistenza in Gregoriana di facoltà scientifiche. Concordai allora con i miei superiori di attuarlo alla Fordham University di New York, che aveva mostrato molto interesse all'idea.
Heisenberg e Piaget
D. Lei ha avuto due incontri se non «decisivi», «importanti», in quegli anni. Il primo con Werner Heisenberg.
R. La mia relazione con Heisenberg, noto soprattutto per la sua scoperta del principio di indeterminazione in fisica quantistica, fu molto profonda e durò dal 1967 alla sua morte, nel 1976. Fu la persona più notevole che conobbi. Partito da Platone arrivo a una profonda e sentita concezione umanistica e religiosa. Era una prova vivente che la mia interpretazione umanistica della scienza non è fondata sul nulla. Nelle sue memorie dal titolo Der Teil und der Ganze (delle quali purtroppo manca ancora una traduzione italiana), Heisenberg espone la sua visione del mondo, lasciando una sorta di «testamento spirituale» ai giovani e tratta anche del rapporto scienza-religione, molto sentito dai grandi scienziati e del quale discutemmo a lungo anche personalmente. Heisenberg mi incoraggiò sempre a proseguire nelle mie analisi.
D. La seconda figura che conobbe e frequentò fu il celebre psicologo svizzero Piaget.
R. Sì. A proposito di Piaget, è noto che il suo merito principale è l'avere costruito una psicologia scientifica studiando la psicologia genetica, cioè l'origine e l'evoluzione dei concetti fondamentali nel bambino, dalla nascita alla formazione completa del pensiero formale astratto, che avviene attorno ai 15 anni. Secondo Piaget i nostri concetti non sono astrazione arbitraria, bensì hanno origine da uno sviluppo interiore che avviene in comunione con il mondo naturale e umano. Poiché in Sagesse et illusion de la philosophie Piaget sembrava mettere in discussione l'importanza della filosofia, che sembrava rivelarsi una nuova illusione, io approfondii la questione in uno studio che inviai a Piaget il quale si disse d'accordo e ne favori la pubblicazione.
D. Quali erano i punti del suo lavoro sui quali Piaget concordava?
R. Piaget apprezzò la mia sintesi filosofica del suo pensiero, mentre io da lui appresi molto sul metodo genetico che successivamente utilizzai per studiare umanisticamente la scienza.
D. Nel '71 lei pubblica su Philosophy of Science un articolo dal titolo: «Humanistic significance of Science: some methodological considerations». Ed il saggio ha tra gli scienziati un certo successo.
R. Si tratta di una sintesi dei miei studi sul significato umanistico della scienza. In seguito alla sua pubblicazione ricevetti richieste di ristampa da 150 scienziati di tutto il mondo, il che mi provo quanto interesse suscitasse il mio lavoro. Fu per me a turning point, un punta di svolta, ed una spinta ad affrontare il tema con rinnovato entusiasmo. Un'inchiesta svolta da un mio amico, ottimo divulgatore scientifico, Friedrich Trinklein, dal titolo The God of Science, mi confermò ulteriormente l'interesse della comunità scientifica per le problematiche religiose. Ciò dimostrava a parer nostro come fosse espressamente richiesta una leadership intellettuale che sviluppasse questa discorso.
Promuovere un umanesimo scientifico
D. È così che si precisa l'idea di un istituto per l'umanesimo scientifico?
R. Sì. Un'offerta della Fordham University – che aveva aperto un nuovo campus al Lincoln Center, a Manhattan – permise materialmente nel 1974 di fondare il nostro Institute for Scientific Humanism. É un gruppo non cattolico e non confessionale: i fondatori, infatti, oltre a me, sacerdote cattolico, erano Trinklein e il matematico Wilhelm Magnus, cui si aggiunse più tardi il chimico-fisico Alexander King, tutti protestanti.
D. In base a quali criteri si accettano adesioni all'istituto?
R. Si richiede una grande competenza professionale nel proprio campo, unita a una sensibilità seria sia alla discussione teorica di queste problematiche, sia a una loro realizzazione pratica. Pur non trattandosi di un gruppo confessionale, l'esperienza ci ha insegnato che è inoltre necessaria un'apertura, almeno da un punto di vista teorico-problematico, all'argomento religioso. Con chi lo esclude invece dalle questioni significative, mostrando cosi una prevenzione di tipo quasi metafisico, risulta impossibile un discorso comune.
D. Che può dire dello strano fenomeno definito come la «gnosi di Princeton» che raccoglierebbe adesioni di qualificati scienziati principalmente delle università di Princeton, appunto, e Pasadena?
R. Lo definirei una sorta di hegelismo scientifico, una forma di tendenza alla deificazione della mente umana. Si tratta prevalentemente di fisici teorici con interesse religioso, e ciò anche perché un fisico teorico serio non può accontentarsi del materialismo grossolano.
Essi desidererebbero una visione profonda e soddisfacente della realtà, senza però accettare un Dio personale. È questa un retaggio della grande diffusione in America dell'umanesimo ateo, il c.d. naturalistic humanismo anthropocentric humanism. Leggendo il libro di Rayman Ruyer La gnosi di Princeton (tr. it. Nardini, Firenze 1980), ho avuto l'impressione che sia un libra onesto che descrive una situazione di fatto, anche se forse la schematizza eccessivamente. Lo stesso ho avuto modo di rendermi conto dell'esistenza di una mentalità di questa tipo partecipando a uno dei convegni organizzati dal coreano Sun Myung Moon. Questi è un gnostico moderno, un grande carismatico che assicura la salvezza e la visione vera del mondo a chi accetta la sua dottrina. Moon ha organizzato ogni anno dal 1972 un congresso di tre giorni invitando tutti gli scienziati interessati al problema scienza-valori, spesandoli completamente. Ai partecipanti non è imposta nessuna dottrina, ma molti di loro hanno la mentalità descritta nel libro di Ruyer: avendo un'idea quasi religiosa, pseudo-religiosa, sono attratti dall'atteggiamento pseudo-mistico di Moon. Il successo dei raduni promossi da Moon anche negli ambienti scientifici dimostra che l'interesse per le problematiche religiose è vivo, e non va deluso.
D. E in tale direzione cosa si fa in campo cattolico?
R. Io ho sentito molti scienziati lamentarsi che la Pontificia accademia delle scienze, pur aiutando la ricerca scientifica, non faccia nulla per un approfondimento del rapporto scienza-fede, scienza-valori. Certamente il papa tiene qualche discorso, ma si sente la mancanza di una discussione profonda. Questo desiderio è poi venuto rafforzandosi con considerazioni di tipo più pratico: oggi sul tema della pace vi è una larga disponibilità al dibattito e all'azione negli ambienti scientifici, e se noi avessimo la possibilità di organizzarle, sarebbero possibili riunioni di grande valore.
Ostacoli culturali alla dignità umana
D. Due posizioni contrastano senz'altro, in occidente, la dignità umana come da lei intesa: Skinner e il behaviorismo da un lato, la sociobiologia dall'altro. Per non parlare della questione della manipolazione biologica.
R. Tali posizioni sono proprio l'estremo opposto. Si pretende che la scienza non solo sia conoscenza assoluta e perfetta, ma anche lo strumento al quale l'uomo deve sottomettersi. Skinner dice proprio – è il titolo di un suo libra famoso – Beyond freedom and dignity: andiamo al di là della libertà e della dignità umana. Queste sarebbero illusioni che impediscono la realizzazione di una società perfetta, consentitaci invece dalla scienza, e pertanto liberarsene è un dovere morale. II behaviorismo, fondato da Watson negli anni della prima guerra mondiale, è un materialismo scientifico: la scienza spiega tutto, la realtà è in senso materialistico e scientifico. Skinner accoglie queste idee: la mente umana è un black box, una scatola nera, un puro reagente, privo di qualsiasi attività propria. La parola stessa «creatività» perde ogni significato. La psicologia, nel senso inteso da Skinner, è la scienza «modello», e la società deve condizionare la gente. Secondo Wilson – entomologo – come modello di società è invece da prendersi quello fornito in natura dalle società animali, poiché il comportamento – e perciò l'etica – sono esclusivamente un risultato dei geni. Le idee di Skinner e di Wilson, sebbene diverse tra loro, sono entrambe il frutto della medesima diffusa mentalità secondo la quale la tecnologia, quale perfetta applicazione di una scienza «perfetta cognizione del mondo», sarebbe la salvezza del mondo stesso. È l'imperativo tecnologico: l'uomo, che per natura è «homo faber», deve porre in atto tutte le possibilità di trasformazione del mondo e delle persone, non ultima la manipolazione genetica. Il computer diventa il modello della mente umana. È evidente lo stravolgimento dell'idea della dignità dell'uomo.
D. In questo si tratta di un particolare clima culturale americano, che ha radici non trascurabili.
R. È una mentalità diffusa ed influente che ha origine già nel pensiero di Hume, Bentham e J.S. Mill. Il soggettivismo kantiano – sensibilissimo invece all'imperativo morale e religioso – è stato secolarizzato specialmente in America dai secular humanists che diffondono queste idee per principio: la morale consiste semplicemente in una serie di comportamenti che l'uomo decide essere di utilità individuale o collettiva. Poiché ogni scienza e tecnica danno l'impressione di essere il mezzo ideale di risoluzione di ogni problema, vengono assunte come strumenti, per avere una morale soddisfacente. È il mito del computer salvatore: scienza e tecnica diventano così una moderna forma di magia. Nello scontro poi con gli oppositori del progresso, le due posizioni – moderna e reazionaria – si estremizzano e sfociano nel fanatismo. La scienza viene identificata con la salvezza, e questo anche perché ciò favorisce l'egoismo umano. Qualunque cosa – l'aborto è solo un esempio – l'uomo possa fare, egli ha il diritto di farlo. E, con il diritto, il dovere; perché altrimenti si sottomette a qualcos'altro, mentre l'uomo non deve sottomettersi a niente e a nessuno.
D. Siamo entrati così nel campo della manipolazione ...
R. La manipolazione, per principio, non ha limitazioni. Alcune settimane fa in Australia c'è stata una discussione in merito alla proposta di generare nelle provette bambini che consentano la produzione di organi da utilizzare per trapianti. Se ciò è fattibile tecnicamente, è stato detto, lo si può fare. Ma questa è la più completa perversione della dignità umana.
D. Queste posizioni in America vengono normalmente assimilate alle posizioni «progressiste» in campo politico.
R. Sono i liberals. L'intellettuale americana vuole essere emancipato da ogni norma morale. Occorre fare tutto quello che pare ragionevole o alle persone più «illuminate» – gli scienziati – oppure a quell'opinione che desidera il progresso a tutti i costi. Non è un fenomeno solo americano, ma negli Stati Uniti, dove la ricerca svolge un ruolo di primissima importanza, è di gran lunga più rilevante che altrove.
Tra creazionisti ed espropriati
D. E la moral majority, le posizioni conservatrici, fondamentaliste, come il «creazionismo», sono anche fenomeni di reazione a un tal clima?
R. Già. Sono reazioni che, pur manifestando un giusto e profondo disagio di persone oneste, sono pero cosi estremiste e miopi, così narrowminded, così ottuse, da sfociare nel trogloditismo. Si pensi, per esempio, appunto, al creazionismo: è un letteralismo delle prime pagine della Bibbia che nessun esegeta intelligente potrebbe accettare e che si pretende venga insegnato come una teoria scientifica: ciò è proprio il massimo del ridicolo! D'altra parte si deve tuttavia ricordare che da molti l'evoluzione è proprio considerata un dio, un leviathan che opprime tutto e distrugge tutti i valori.
Ecco l'importanza della presenza della chiesa: se ciò avviene nei paesi «più civilizzati», si pensi a quello che potrebbe accadere nei paesi sottosviluppati, dove la religione assume forme più rozze e primitive, e le masse e gli individui sono molto più facilmente influenzabili!
D. Lei vive e svolge il ministero sacerdotale tra i portoricani a Spanish Harlem. Può costatare direttamente guasti umani, di rapina, del capitalismo già fin dal suo centro.
R. Anziché di capitalismo, preferirei parlare di tecnicalismo, ovvero di un certo idealedi mondo che si vorrebbe perfettamente ordinare secondo le leggi della scienza e della tecnica. Esso può essere realizzato concretamente solo da chi controlla le risorse. Allora il tecnicalista-industriale «salva il mondo» ponendo in pratica queste teorie. Poiché egli dà il benessere all'individuo, questi deve poi comprare i suoi prodotti.
In questo caso capitalismo e collettivismo svolgono la medesima funzione, e in entrambi la persona deve diventare uno strumento di questa tecnicalismo, di questo ideale della società perfetta. Così accade che i portoricani - poveri - non hanno dignità, non potendo essere «così intelligenti », avendo un senso religioso deriso, e si sentono minorati. I liberals sono a favore dei poveri e dei negri; vogliono insegnare alle minoranze, ma insegnare da maestri, non come compagni. Non è allora tanto grave la povertà materiale – che pure oggi, con i tagli alle spese sociali decisi da Reagan, si fa sensibile – quanta la povertà spirituale, che è anche una conseguenza del disprezzo della società tecnologica moderna per la persona semplice o per il lavoratore manuale.
D. Quali sono a questo punto le vie d'uscita? Mi sembrano un po' difficili da ritrovare.
R. La via d'uscita è rispettare la dignità umana di tutti.
D. Ma come comportamenti pratici e politici?
R. Rispettare la dignità umana significa rispettare ogni persona, anche la più primitiva. Il primitivo non ha assolutamente, come pensava l'antrapologo Levy-Bruhl, una «mentalità prelogica»; ha il buon senso come tutti. Occorre rispettarlo e aiutarlo a superare i suoi pregiudizi spiegandoglieli, senza disprezzarlo; e soprattutto non imporgli nulla, non obbligarlo ad adeguarsi alla «modernità». Alla dottrina liberal, secondo la quale l'uomo è la sorgente di tutti i valori, si risponde con il concetto di co-creatività; l'uomo non è il creatore assoluto, nel qual caso fa in mondo come lo vuole e così lo distrugge, è co-creativo. Questo è il fulcro di tutta la mia teoria della dignità umana: la co-creatività e la corresponsabilità dell'uomo.
Per il bene comune: co-creatività
D. Co-creatività come mutuo riconoscimento del crear(si) insieme, non necessariamente inserendo Dio in tal bilancio. È così?
R. Giusto. Parlo di co-creatività perché le mie considerazioni hanno origine dalla creatività scientifica, che non è assoluta, bensì relativa, altrimenti la scienza diventerebbe una pura ideologia. Secondo il principio della co-creativitàinvece la creatività umana esiste – ed è un dovere, il progresso tecnico-scientifico è un dovere – ma non è assoluta. E con qualche altra cosa (non nomino Dio): innanzitutto è con il mondo circostante e con le altre persone. L'uomo è persona sociale; non esiste –dal punto di vista culturale – l'uomo individuo. La religione è presente implicitamente: se l'uomo è creativo in senso relativo, l'ultima sorgente che toglie la relatività dal mondo è l'assoluto ultimo: Dio. Ma non chiedo l'adesione alla religione; chiedo solo che si sia onesti. Se si è onesti, Dio lo si trova per strada.
D. Nei suoi scritti e particolarmente in Scientific man (N.Y. 77) lei insiste su un necessario compito di investigazione umanistica e scientifica non solo individuale ma di gruppo, che avverrebbe nella forma di una continua dialettica tra interiorizzazione assimilatrice ed esteriorizzazione realizzatrice.
Recentemente la rivista teorica del Partito comunista italiano Critica marxista (n. 5/1981) nel porre in debito risalto tali sue posizioni rilevava: «… Quanto auspicato da Cantore è possibile solo all'interno di una prospettiva tesa a realizzare la fine tendenziale della divisione sociale del lavoro, l'avvio di una ricomposizione nell'uomo fra forze materiali e intellettuali, che rappresentano l'unico modo reale con cui è possibile realizzare l'unita fra la «riflessione» e l'«esperienza» nella pratica concreta di tutti gli uomini», e aggiungeva come « … la auspicata integrazione umanizzante fra scienza e uomo (o l'universalizzazione del metodo scientifico) presupponga un cambiamento radicale non solo della sua interiorità ma dell'insieme delle sue relazioni». Come risponderebbe a Critica marxista?
R. Ho letto tutto l'articolo su «Chiesa e pensiero scientifico» di Antonio Di Meo e posso dire di avervi vista apertura e onestà intellettuale. L'autore ha colto l’aspetto sociale della mia teoria che non ho ancora presentato, ma di cui sento sempre più l'importanza, sollecitato anche dalla vita a Spanish Harlem e dai miei contatti con i paesi sottosviluppati. Non posso allora non apprezzare questo stimolo e sono certamente disponibile a un libero dialogo su questo tema, perché occorre trovare una qualche forma di collaborazione sociale per il bene comune che superi il primitivismo della attuale situazione sociale. Oggi, infatti, in entrambi i sistemi politici internazionali, se io ho il denaro – o il potere, che in fondo è lo stesso - posso dominare il mondo e ho il diritto di farlo: il più forte schiaccia il più debole. E questo ha conseguenze drammatiche specialmente nei paesi più poveri. Non so fino a che punta sia possibile un dialogo profondo dal punta di vista metafisico con ambienti come Critica marxista, ma il dialogo deve proseguire nel rispetto reciproco delle proprie idee e convinzioni, anche religiose. Un confronto sul problema sociale mi pare vada preso in seria considerazione anche perle sue possibili implicazioni teoriche. È una sfida che deve essere raccolta.
Motivazione critica
D. Quali sono i suoi futuri impegni di studio?
R. L'opera più importante che ho intenzione di scrivere è un libro sulla dignità umana, che si articola in tre volumi: il primo sulla natura della dignità umana, il secondo sulla sua attualizzazione e sui problemi della sua tutela e promozione, infine un ultimo volume sulla mia personale motivazione critica che mi porta a concepire Cristo come la sorgente e l'obiettivo finale della dignità umana. Le principali fonti di ispirazione religiosa dovrebbero essere sia la tradizione tomistica sia, soprattutto, quella biblica degli scritti sapienziali, scritti che concepiscono la santità anche al di fuori dell'ebraismo. A tale fine si può utilmente vedere lo stimolante libro Jean Danielou, Les saints païens de l'Ancient Testament (ed. it., Brescia 1964).
Il mio progetto declina in una nuova forma un atteggiamento tradizionale della chiesa cattolica che con S. Ireneo, ad esempio, difendeva la dignità umana contra la visione gnostica, ricordando che «la gloria di Dio è l'uomo pienamente vivente» e «la vita dell'uomo è la comunione con Dio».
D. Fedeltà alla tradizione dunque, ma sempre mantenendo una mentalità massimamente aperta al cambiamento.
R. Sì. I problemi che tratto sono già stati affrontati del resto negli ultimi pontificati, già a partire da Pio XI. Giovanni Paolo II, in un suo discorso a Colonia, ha detto che come fondamento del terzo millennio è necessario un nuovo umanesimo che abbia come principali riferimenti la scienza e la fede. Paolo VI, d'altronde, nella Populorum progressio affermava che ai fini di un nuovo umanesimo è più necessaria l'opera dei saggi che non quella dei tecnici.
La chiesa deve rendersi conto che la crescita dell'uomo attraverso la scienza e la tecnologia – per quanta rischiosa – rientra nel piano di Dio e libererà i paesi poveri e gli oppressi anche intellettualmente.
Essa deve perciò favorire e vivere un ripensamento della dignità umana che è all'origine della scienza e trarne tutte le conseguenze anche nel campo dell'omiletica e della catechesi.
La comunità cristiana deve essere corresponsabilizzata sia nel campo della preghiera, affinché concepisca la dignità umana e Cristo anche alla luce della nuova realtà che ci ha portato la scienza, sia con l'aiuto fattivo a quanti si occupano di questi problemi o con l'impegno personale. Infine la liturgia stessa potrebbe scegliere questa prospettiva dell'umanesimo scientifico.
Tutto questa mi appare indispensabile affinché la comunità cristiana, con le parole del concilio Vaticano II, divenga veramente universale sacramentum salutis.
Da un’intervista a Enrico Cantore per il Regno-attualità, ottobre 1982, pp. 216-219, trad. it. a cura di Giovanni Tassani e Stefano Marmi.