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Il ritrovamento del codice Lauri: una intervista a Giampaolo Ghilardi

Abbiamo chiesto al dott. Giampaolo Ghilardi, docente di Bioetica e ricercatore di filosofia morale presso il FAST del Campus Bio-medico di Roma, responsabile della segreteria scientifica del “Progetto Codice Lauri”, di rispondere alle nostre domande.

  

  1. Che cos'è il Codice Lauri, prof. Ghilardi, e come è stato ritrovato?

Il Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci è il primo trattato di questo genere ed è stato compilato dall’allievo più fedele del maestro di Vinci, Francesco Melzi, attorno al 1540, vent’anni circa dopo la morte di Leonardo.

È dunque un’opera postuma, composta quasi come un obbligo testamentario dall’allievo che con devozione ammirevole raccolse tutto il materiale che il maestro aveva messo da parte per quella che voleva essere la summa delle proprie conoscenze artistiche e scientifiche.

Se però il Trattato della Pittura, noto oggi con la sigla Vaticano Urbinate 1270, ha avuto scarsa o nessuna diffusione a motivo della sua collocazione “privata” (fu dapprima a Urbino per poi passare alla biblioteca vaticana), a partire dal XVII secolo cominciarono a circolare presso gli artisti europei delle copie abbreviate dello stesso soggetto che influenzarono in modo importante la teoria e la pratica artistica dei secoli a venire.

La storia e la diffusione di queste versioni è ancora in larga parte da scoprire e da scrivere, il Codice Lauri rappresenta un tassello importante di questa storia.

Venuto in possesso del dott. Gaetano Lauri il secolo scorso è stato riconosciuto per quello che effettivamente è solo pochi anni orsono, grazie sia alla curiosità intellettuale del dott. Lauri che alla perizia professionale del prof. Pedretti (probabilmente il maggior studioso mondiale di Leonardo). La famiglia Lauri ha deciso dunque di rendere pubblico il testo per poterne studiare la struttura e il contenuto, e permettere al contempo di ricostruire una parte della tradizione di quest’opera leonardiana che è stata definita come la più significativa nella storia della pittura occidentale.

A partire dallo studio iniziale del prof. Pedretti è nato attorno al Codice un genuino interesse per comprenderne la collocazione geografica (come mai nelle marche, nel seicento), la composizione bio-chimica, la filigrana della carta lo collocherebbe nella zona di Celano, la diffusione storico culturale.

L’occasione di poterlo studiare presso l’Università Campus Bio-Medico è stata invero fortunosa: Gaetano Lauri, nipote del dott. Lauri originario possessore del Codice, studente di Medicina presso l’Università ha reso noto ai propri docenti l’esistenza di questo Codice e con il consenso appassionato della famiglia ha permesso che venisse analizzato e studiato dai docenti che ne sono rimasti colpiti. Questi, una volta realizzato il valore dell’opera, hanno a propria volta invitato a studiarlo esperti dei settori più disparati per averne una “fotografia” il più possibile accurata.

  

2.  Dopo la sua scoperta il Codice Lauri è stato studiato da un’equipe interdisciplinare. Gli esperti di quali discipline sono stati coinvolti? Perché il valore di un’opera di questo tipo può essere meglio apprezzato grazie ad un approccio interdisciplinare?

  

 Abbiamo deciso di seguire un antico criterio ermeneutico che si mutua dai filologi alessandrini, i quali ci spiegano che Omero si capisce a partire da … Omero. Il che vale a dire che un testo si interpreta a partire dal testo stesso in primis, per poi ampliarne l’indagine a tutti i campi limitrofi che possono portare luce sulla materia.

L’applicazione di questo criterio allo studio del Codice Lauri ha significato in concreto prendere sul serio quello che Leonardo ci viene dicendo nel suo Trattato della Pittura, di cui il Codice è una delle versioni circolanti nel seicento, e dunque analizzare il testo secondo le discipline di cui il maestro di Vinci si è avvalso per comporlo.

In dettaglio dunque abbiamo fatto ricorso ad esperti di ottica, di anatomia, di epistemologia, di estetica, di metodologia, di etica, di storia dell’arte, di iconografia. Per Leonardo la multidisciplinarità era una realtà praticata, avvalersene per studiare i suoi lavori è stato anche un modo per rispettare l’oggetto d’analisi.

Va poi detto che, studiando l’opera che nella sua versione abbreviata si compone di 365 capitoli, l’idea di una certa struttura aforistica può farsi strada, ma sarebbe sbagliato concludere che non vi sia un’architettura generale a sorreggerne l’impianto. Le diverse discipline adottate da Leonardo per descrivere il materiale del proprio Trattato sono infatti coerenti con l’oggetto stesso. Dovendo trattare di pittura e dunque di colori era naturale indagare i fenomeni della luce, della prospettiva, delle atmosfere, delle illusioni, delle ombre, allo stesso modo che ricercare le costanti fisiognomiche delle espressioni umane o quelle anatomico-fisiologiche dei corpi.

Il soggetto della pittura, e ancor più della pittura trattata in modo scientifico, come si prefigge di fare Leonardo, richiede di per sé di dotarsi di una cassetta degli attrezzi concettuale molto ampia, che spazia appunto dalla fisica della luce alla filosofia della mente, passando per l’anatomia.

La multidisciplinarità, insomma, non era un vezzo né un’eccentricità, pur geniale, leonardiana, ma una necessità di metodo dovuta alla serietà dell’impegno verso una disciplina a tutto tondo come la pittura.

  

 3. Quali informazioni ci offre questo Codice circa il modo in cui Leonardo studiava l’essere umano? Ci sono aspetti della sua personalità scientifica e umanistica che ne emergono?

 

Il Codice è molto ricco di informazioni relative al modo con cui Leonardo studiava le proprie opere prima di realizzarle. Esiste una minuziosa “fenomenologia” dell’osservazione della natura e del corpo umano, ma dobbiamo subito operare un distinguo, egli infatti era anche un buon anatomico dell’animo, infatti spende molte pagine sul modo corretto di rappresentare gli stati d’animo, le situazioni cariche di pathos agonistico o comunque significative dal punto di vista emotivo. Leonardo poi, a dispetto di una certa vulgata che lo vorrebbe un pratico, ribadisce molto chiaramente il primato dell’osservazione e della teoria rispetto alla pratica artistica e scientifica. Egli dedica diverse pagine a prescrivere il giusto ordine nello studio dei propri soggetti. La meticolosità dei suggerimenti su come rendere luci, colori, ombre, paesaggi e atmosfere rivela un’attenzione al particolare coniugata con una spiccatissima tendenza all’astrazione formale da lasciare ammirati. Tra le tante cose che si potrebbero riportare ne cito una per la sua attualità. Leonardo invita ante-litteram alla peer review, la più spietata possibile: richiede infatti come valutatori delle proprie opere i nemici, piuttosto che gli amici, per aver i pareri il più critici possibile, onde progredire sempre più nella miglior realizzazione figurativa.

Per dare un esempio dell’accuratezza del suo metodo analitico si consideri il capitolo in cui tratta dell’invariare dei colori nonostante le distanze alle quali questi possano essere percepiti. Leonardo disegna un vero e proprio grafico cartesiano (un secolo abbondante prima che Cartesio lo inventi) in cui mette in correlazione la distanza dell’oggetto da raffigurare e la densità dell’aria che lo circonda, notando che, sebbene normalmente all’aumentare della distanza dovrebbe corrispondere una proporzionale diminuzione di intensità cromatica, questo non avverrà laddove la densità aerea compensi in proporzione eguale e simmetrica la distanza spaziale. Questo perché, osserva Leonardo, la luce dei colori riflette la “grossezza” dell’aria circostante e così, se si dovrà rappresentare qualche oggetto vicino a terra, dove l’aria è tendenzialmente più fitta, non avremo il decadimento cromatico che ci dovremmo teoricamente aspettare e che avremmo se l’oggetto fosse collocato ad altezze maggiori.

Questa considerazione viene dimostrata in termini di proporzioni matematiche da Leonardo, facendo riferimento a grafici che misurano grandezze disomogenee in modi molto ingegnosi. Il punto è cogliere il particolare mix tra teoria e osservazione messe al servizio della fedeltà rappresentativa. Egli non si accontentava cioè di cogliere il maggior verosimile, indagava sempre la ragione della verosimiglianza con metodo analitico prima ed empirico poi.

Una lezione di metodo tutt’oggi molto utile.

  

 4. Qual è il contributo che il filosofo può offrire di fronte a una simile scoperta, oltre a quanto già gli storici dell’arte e gli scienziati possono dire?

  

Direi che la sensibilità filosofica nello studiare un testo del genere permette di vedere non solo le salde basi teoretiche dell’impianto leonardiano che, come s’è già visto, sono molto più classiche di quanto non appaia, ma soprattutto permette di apprezzare l’unità geniale di mente e manualità.

Dietro a pagine spesso piuttosto complicate di precettistica rivolte ai propri discepoli, oltre a scorgersi un alto senso morale della propria opera, una vera e propria etica del lavoro ben fatto (Leonardo era un perfezionista), si trova una sorta di minuta del metodo di ricerca scientifico e artistico che è decisamente interessante da comprendere.

Si vede cioè come per Leonardo una divisione netta tra l’agire e il pensare non sia concepibile, men che meno quella tra il vero e il bello.

Con questa impostazione classica anche gli errori diventano fecondi, perché comunque sempre improntati al riscontro di un’ipotesi di ricerca. L’idea moderna dell’arte per l’arte era quanto di più lontano per lui.

Un altro contributo squisitamente epistemologico che il filosofo può apportare nello studio di quest’opera è relativo alla falsa dicotomia tra arte e scienza, o tra episteme e techne, se vogliamo utilizzare i termini classici.

Occorre infatti una certa sensibilità al vocabolario platonico-aristotelico per cogliere il tema della scientificità della pittura, o comunque della tecnica, che evidentemente a Leonardo non doveva suonare così strano.

Sotto il profilo più squisitamente metodologico è molto istruttivo leggere il continuo mutamento di registro con cui Leonardo passa da consigli di tipo tecnico pratico ad altri di natura morale, si trovano ad esempio esortazioni a non lasciare errori nelle proprie rappresentazioni perché, a differenza della musica ad esempio dove un errore di esecuzione svanisce al cessare dell’esecuzione stessa, gli errori nelle raffigurazioni rimangono invece a memoria del proprio poco studio. L’implicito ovviamente è che l’errore sia un difetto di studio da rimediare con quanta maggiore solerzia possibile, senza frapporvi indugi di ordine pratico quali il tempo, le necessità economiche, il compiacimento della committenza ed altre di questo tenore. Si vede cioè la profonda concretezza del maestro che conosce bene le difficoltà in cui si dovrà barcamenare il proprio allievo, ma lo ammonisce a non lasciarsi forviare da considerazioni che non siano la migliore riuscita della propria impresa.

  

 5.  Le rivolgiamo un'ultima domanda. Nel 2019 ricorrono i 500 anni dalla morte di Leonardo; a suo parere, come e in cosa quest’opera arricchisce la comprensione del genio leonardesco?

  

Con un termine reso famoso da Gadamer potremmo dire che quest’opera aiuta a ricostruire un tassello importante della Wirkungsgeschichte (la storia degli effetti) del Trattato della Pittura. Questo Trattato è stato definito senza esagerazioni il testo più importante nella storia della pittura; se infatti il Libro di Pittura non è il primo ad essere dedicato all’arte del dipingere in senso stretto, è il primo ad aver avuto un’eco e una fortuna del tutto speciali; con questo vero e proprio manuale ad usum pictoris Leonardo parla in modo pratico e concreto ai suoi allievi ideali di ogni epoca, condensando in prosa viva i consigli guadagnati in una vita di studio e pratica artistica appassionata.

Questa versione abbreviata ci aiuta a capire non solo la diffusione che un simile impianto teorico ha avuto, ma anche la fortuna che lo ha accompagnato. Ricostruire la storia della diffusione delle tesi leonardiane non è solo utile in prospettiva storiografica, ma aiuta a capire anche l’impostazione accademica che in qualche modo Leonardo in modo inconsapevole stava fondando.

È infatti una tesi che oggi comincia ad avere un certo corso quella che legge Leonardo come il proto-accademico per definizione. Senza volerci addentrare in questo dibattito, ci limitiamo a constatare che l’impostazione multidisciplinare di cui si è fatto cenno poco sopra è una riedizione concreta e praticata dello stile conoscitivo che l’Umanesimo farà propria di lì a pochi decenni.

L’omo sanza littera, come lui amava definirsi, non era certamente digiuno di letture scientifiche o filosofiche, anzi abbiamo lunghe liste dei libri di cui amava circondarsi e che desiderava studiare per approfondire le proprie osservazioni e dallo studio del suo metodo d’indagine emerge il profilo di un artista dello studio, oltre a quello dello studioso del bello artistico. Lo specialismo è sempre temperato nel suo carattere da un respiro di conoscenza più ampio. È anzi l’oggetto di uno dei suoi precetti specifici quello di non isterilire la ricerca su “una sola dimensione”. Ecco, direi che l’uomo a più dimensioni, l’uomo vitruviano, per farcene una rappresentazione iconica, sia un po’ la cifra del suo testamento artistico scientifico.

A 500 anni dalla sua morte questa inedita versione del Trattato della Pittura ci ricorda la dimensione artigianale, da bottega, dell’agire artistico quanto di quello scientifico; ci ricorda come il bello sia lo splendor veritatis, dunque legato in modo inscindibile alla verità di ciò che si rappresenta e come l’impegno verso la realtà delle cose richieda doti intellettuali e morali al tempo stesso. Insomma, ci ricorda e ci spiega come la genialità sia una strada lunga, lastricata di pazienti osservazioni, lucide deduzioni e coraggiose ipotesi.