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Scienza, filosofia e religione

Arthur Compton
1935

The Freedom of Man

Offriamo qui la traduzione dall’inglese della “Prefazione” del libro di Arthur H. Compton, The Freedom of Man (1935). Da questo breve testo traspare chiaramente l’attitudine interdisciplinare del famoso fisico statunitense, e colpisce la lucidità con la quale egli scorga le analogie e i punti di contatto tra la ricerca scientifica, la riflessione filosofica e la sensibilità religiosa. Chiude il testo l'idea su come la conoscenza scientifica del mondo possa essere rilevante per la stessa collaborazione dell’uomo ai piani divini. 

Spesso si immagina che negli scritti scientifici ci si occupi solo di fatti verificati, e che sebbene errori possono naturalmente essere fatti, le osservazioni sperimentali rendono superfluo il ricorrere a opinioni o supposizioni. Al contrario, probabilmente neppure nell'arte l'immaginazione è applicata tanto efficacemente quanto nella scienza. È facendo molte ipotesi e verificandone le conseguenze che sono state raggiunte tutte le più importanti generalizzazioni della scienza. È raro che le prime formulazioni siano adeguate. Di fatto, a volte, le ipotesi che hanno superato con successo molte verifiche e hanno portato a importanti progressi si sono poi rivelate del tutto false. Come esempi storici possiamo menzionare il sistema tolemaico dei moti planetari, la teoria flogistica della combustione e la teoria dell'etere elastico per la propagazione della luce. Tuttavia, ognuna di queste ipotesi ha incoraggiato esperimenti che a loro volta hanno portato al raggiungimento di una teoria più adeguata. Così l'uomo di scienza è incline ad adottare una visione pragmatica del proprio lavoro. Né la teoria né l'esperimento sono considerati di grande valore a meno che non conducano a qualcosa di precedentemente sconosciuto. I nostri esperimenti sono progettati per testare le teorie o per aprire nuovi campi di indagine. Le nostre teorie devono aiutarci a mettere in correlazione i dati che prima sembravano non correlati, o devono permetterci di fare nuove preziose previsioni. Anche se alla fine la teoria può mostrarsi infondata, se indica la strada verso nuove informazioni, è utile e quindi apprezzabile.

Così la scienza tende alla verità attraverso una serie di approssimazioni successive. Persino Newton, che con l'intuizione del genio ha proposto una serie di leggi del moto e della gravitazione che spiegavano fenomeni precedentemente ritenuti misteriosi, dovrà vedere le sue teorie corrette da Einstein e Heisenberg perché soddisfino le esigenze delle osservazioni successive. Ora, nei nostri studi di elettrodinamica quantistica stiamo tentando di perfezionare anche queste modifiche in modo da rendere conto dei nostri più recenti esperimenti. È nello stesso spirito, mi sembra, che lo scienziato deve avventurarsi in campi correlati come la filosofia e la religione. Sa che molto probabilmente farà dei passi falsi. Tuttavia, soltanto se porterà al cospetto del pubblico istruito quelle scoperte che gli sembrano significative, allora il filosofo e il teologo potranno apprendere tali risultati. Se le interpretazioni amatoriali dello scienziato verranno trovate errate, questi difetti e inadeguatezze potranno essere risolti da coloro che hanno un background filosofico più ampio. Se, tuttavia, lo scienziato, per timore di commettere tali errori, dovesse tenere per sé le conoscenze da lui appena acquisite, queste non potrebbero giocare alcun ruolo come guida per le azioni degli uomini.

Alcuni dei miei colleghi si chiedono come un uomo impegnato nella ricerca scientifica possa permettersi il tempo di cercare di mettere in relazione le sue scoperte con altri campi di interesse umano. La mia risposta è duplice. In primo luogo, come Eddington ha mostrato così chiaramente nel suo The Nature of the Physical World, la scienza rappresenta solo un aspetto dell'esperienza umana. Mi trovo insoddisfatto senza aver fatto almeno un attento tentativo di collegare i vari aspetti dell'esperienza l'uno con l'altro nella mia mente, formulando così una filosofia che posso usare per guidare la mia vita. In secondo luogo, considero chiaro dovere dello scienziato nei confronti della società che egli comunichi le sue scoperte in una forma che può essere compresa da parte di quella società, congiuntamente allo sforzo di mostrare la loro importanza nella misura in cui quelle scoperte sembrano poter influenzare la vita umana. In tale comunicazione egli deve aver particolare pena nel far sì che la conoscenza scientifica che riporta sia accuratamente chiarita, poiché è lì che i suoi ascoltatori si affidano a lui come autorità. È relativamente irrilevante se la sua interpretazione di questa scienza è inadeguata o addirittura errata, poiché tali carenze possono essere trovate e corrette da coloro che sono più esperti in quei campi correlati.

La scienza non pretende di interpretare tutti gli aspetti della vita. Eppure pochi nell’era presente baserebbero volentieri le loro vite su una filosofia che all'uomo di scienza risulti palesemente falsa. La scienza prende così il posto delle fondamenta su cui deve essere costruita la struttura delle nostre vite se desideriamo che quella struttura sia stabile. L'architettura dell'edificio che erigiamo deve conformarsi a queste fondamenta; ma grande margine di variabilità rimane possibile nella progettazione. Quel progetto, come ha intuito Pitagora migliaia di anni fa, può tuttavia essere reso più perfetto se si conosce la forma delle fondamenta.

[…] Sono stato fortemente impressionato dal modo in cui la scienza può essere interpretata per dare una visione morale ed etica strettamente parallela a quella insegnata dai tipi più nobili di religione. Il linguaggio e il modo di pensare sono diversi, ma la corrispondenza tra le loro conclusioni è stretta. Lungi dall'essere in conflitto, la scienza, come ha osservato Dean Inge, è diventata un alleato della religione. Con l'aumento della conoscenza della natura arriviamo più in prossimità col Dio della natura e col ruolo che dobbiamo svolgere nel suo dramma cosmico.

    

A.H. Compton, The Freedom of Man, Yale University Press, New Haven 1935, “Preface”, pp. vii-xi.