Sulla centralità dell'essere umano nel cosmo

Proponiamo qui il breve ma denso paragrafo conclusivo di L’evoluzione della specie umana, il cui titolo originale recita “L’uomo, centro dell’universo”. Questo paragrafo – che chiude l’ultimo capitolo del libro, significativamente intitolato “La strada percorsa e la strada da percorrere” – legge in maniera snella ma brillante la breve storia lungo la quale, a partire da Copernico e Galilei, passando attraverso Darwin e Freud, l’essere umano si è visto progressivamente decentrato e quasi “marginalizzato” nell’immensa distensione spaziale e temporale dell’universo. Il genetista e biologo Dobzhansky dialoga con autori quali Blaise Pascal e Teilhard de Chardin e non manca di scorgere, proprio grazie alla prospettiva evolutiva, un’ulteriore dimensione della centralità dell’essere umano nel cosmo: quella spirituale. Il brano presenta anche, quasi tra le righe, una concezione di cultura e evoluzione culturale che non teme il confronto con le più avanzate riflessioni contemporanee sul tema.

   

La civiltà ha aiutato la maggior parte dell'umanità a passare dallo stato di ignoranza, di denutrizione e di sporcizia a uno stato di istruzione, di abbondanza, almeno relativa, e d'igiene. È indiscutibile che siano cambiamenti in meglio; e tuttavia, nel processo di cambiamento, l'uomo ha anche perduto, e non è riuscito a riaffermare, alcune cose di valore inestimabile. L'uomo non gode più della certezza di stare al centro di un universo espressamente creato per lui, né dell'altra, ad essa strettamente collegata, che a quest'universo sia preposto un Potere che egli può implorare o propiziarsi e che si cura, individualmente e collettivamente, di lui. Copernico e Galileo d'improvviso diedero la notizia che non il mondo gira intorno all'uomo ma che l'uomo, invece, gira intorno al mondo. E in questo mondo, vasto e spietato invece che riparato e familiare, l'uomo è casuale e quasi superfluo. Il senso di scisma fra l'uomo e la natura fu espresso con acutezza senza pari da Pascal (cf. Pensées, L'uomo sospeso fra due infiniti):

Quando considero il breve corso della mia vita, inghiottita dall'eternità prima e dopo, il piccolo spazio che io copro e appena posso vedere, serrato nell'immensità infinita di spazi che ignoro e che non mi conoscono, sono spaventato, e mi sorprendo di essere qui piuttosto che là: poiché non vi è motivo perché io sia qui piuttosto che là, ora piuttosto che allora... Il silenzio eterno di questi spazi mi atterrisce.

Si è tentato di recar sollievo all'alienazione dell'uomo dal mondo che abita. Descartes pensava che, mentre gli animali erano macchine, l'uomo possedesse un'anima immortale; Locke, tuttavia, fece osservare che non c'è nulla nella mente umana che non vi penetri attraverso gli organi di senso. I romantici si ribellarono contra la tirannia della scienza meccanicistica, affidandosi più all'ispirazione del poeta che allo sforzo Iento e faticoso della scienziato: ma fu la fisica, e non la poesia, che portò alla rivoluzione industriale, all'abbondanza dei beni materiali e infine allo spaventoso potere dell'energia atomica. Niente ha successo come il successo e l'uomo della strada si convinse che il potere materiale è da ammirarsi più di quello intellettuale. Parve a molti che Darwin avesse portato il colpo più grave, rendendo irreparabile lo scisma nell'anima dell'uomo: lungi dall'aver un mondo fatto espressamente per lui, l'uomo si rivelava soltanto una di circa due milioni di specie biologiche, risultato di processi materiali di tipo poco edificante, chiamati Iotta per l'esistenza e sopravvivenza del più adatto; specie imparentata con creature malfamate come le scimmie, antropomorfe o no. Con Freud l'avvilimento della stato umano scese al livello più basso: Freud si fece beffe delle pretese dell'uomo alla spiritualità e gli negò, non solo la spiritualità, ma anche la razionalità.

Cosa piuttosto strana, il punto più importante dell'insegnamento di Darwin non fu tenuto in conto: l'uomo non soltanto si è evoluto, ma si sta evolvendo e nell'abisso della disperazione, questa è una fonte di speranza. In certo modo, Darwin ha sanato la ferita inflitta da Copernico e da Galileo: se l'uomo non è fisicamente il centro dell'universo, può esserne il centro spirituale. L'uomo, e l'uomo soltanto, sa che il mondo si evolve e che lui stesso si evolve insieme al mondo; cambiando quello che sa sul mondo, l'uomo cambia il mondo che conosce e, cambiando il mondo in cui vive, cambia se stesso. I cambiamenti possono portare deterioramento o miglioramento; Ia speranza sta nella possibilità che i cambiamenti che derivano dalla conoscenza siano guidati dalla conoscenza. Non è più necessario che l'evoluzione sia un destino imposto dall'esterno; si può concepire che sia controllato dall'uomo, in accordo con Ia saggezza e i valori umani.

Un tentativo incoraggiante di tratteggiare una filosofia ottimistica dell'evoluzione cosmica, biologica e umana è stato fatto da Teilhard de Chardin (Le phénomène humain, 1955); devo tuttavia contraddire l'ammonimento dell'autore nella prima frase della prefazione di questo importante libro: «Per comprendere questo libro nel suo giusto senso non bisogna leggerlo come un'opera di metafisica, e ancor meno come una specie di saggio teologico, ma puramente e semplicemente come un trattato scientifico». L'opera va letta come un trattato di scienza, di metafisica e di teologia; e inoltre come qualche cosa di cui l'autore non parla affatto, cioè come un libro di poesia.

Che cosa è l'evoluzione, una teoria, un sistema o un'ipotesi? È molto di più: è un postulato generale, a cui tutte le teorie, tutte le ipotesi, tutti i sistemi dovranno d'ora in poi inchinarsi e che dovranno soddisfare, per essere concepibili e veri. L'evoluzione è una luce che illumina tutti i fatti, una traiettoria che tutte le linee di pensiero debbono seguire: ecco che cosa è l'evoluzione.

Teilhard de Chardin vedeva che l'evoluzione della materia, l'evoluzione della vita e l'evoluzione dell'uomo sono parti integrali di un unico processo di sviluppo cosmico, di un'unica storia coerente di tutto l'universo. In questa storia egli vedeva chiara, inoltre, una direzione o tendenza. È increscioso che definisse tale tendenza «ortogenesi», ma se io ben l'intendo, non voleva implicare che l'evoluzione consistesse nella rivelazione non creativa di avvenimenti preformati […]; disgraziatamente non aveva familiarità con la biologia moderna.
Gli piacque designare Ia direzione verso cui l'evoluzione avanza col nome di «punto omega», cioè:

una collettività armonizzata di coscienze, equivalente ad una sorta di supercoscienza. La Terra si sta coprendo non soltanto di miriadi di unità pensanti, ma di un'unica continuità di pensiero e, infine, va formando un'Unità di Pensiero funzionalmente unica, di dimensioni astronomiche. I molteplici pensieri individuali si combinano e si rinforzano a vicenda in un unico atto di Pensiero unanime... Nella dimensione del Pensiero, come in quelle del Tempo e della Spazio, può l'Universo raggiungere altra consumazione fuor che nell'Incommensurabile?

È chiaro che tali grandiosi concetti non sono dimostrabili per mezzo di fatti scientificamente stabiliti: trascendono l'insieme della nostra conoscenza; basta che la conoscenza non li contraddica. All'uomo moderno, così solo e spiritualmente assediato in questo vasto universo apparentemente privo di significato, l'idea evoluzionistica di Teilhard de Chardin giunge come un raggio di speranza: essa risponde alle esigenze del nostro tempo; poiché

l'uomo non è il centro dell'universo come ingenuamente credeva nel passato, ma è qualche cosa di molto più bello: è la freccia ascendente della grande sintesi biologica; è l'ultimo, il più acuto, il più complesso, il più raffinato degli strati successivi della vita. Questa è una visione fondamentale: ed è a questa che mi fermerò.

 

Theodosius Dobzhansky, L'evoluzione della specie umana, Einaudi, Torino 1965, tr. it. di Luciana Pecchioli, pp. 351-354.