Proponiamo qui il primo capitolo di Le domande supreme della biologia (Titolo originale: The Biology of the Ultimate Concern) di Theodosius Dobzhansky, uno dei più grandi biologi evoluzionisti del secolo scorso. L’autore suggerisce che la scienza apre inevitabilmente a ciò che egli chiama le Grandi Domande (Big Questions), vale a dire, questioni inerenti alla “preoccupazione ultima”. È sua convinzione che un “credo” (Weltanshauung) coerente non può né essere derivato dalla scienza né raggiunto senza la scienza. Da scienziato professionista, Dobzhansky non teme di citare il teologo Paul Tillich. Ritiene, inoltre, che la biologia evoluzionistica contribuisca all’idea di una creazione dinamica, di un universo non statico, in cui l’essere umano ha concrete possibilità di fiorire e di migliorare sé stesso e il mondo – e questo coerentemente con l’idea di Tillich che “lo scopo della cultura è l'attualizzazione delle potenzialità dell'uomo in quanto portatore di spirito”.
Dostoevskij fa dichiarare ad Ivan Karamazov: «Ciò che è strano, meraviglioso, non è l'esistenza reale di Dio, ma che l’idea della necessità di un Dio sia sorta nella mente di una bestia selvaggia e immorale come l'uomo; ciò è commovente, santo, ed onora grandemente l'uomo». La cosa è anche più meravigliosa di quanto non immaginasse Dostoevskij. La specie umana, l'Homo sapiens, discende da antenati che non erano uomini e che non erano sapienti nel senso in cui lo è l'uomo. Egli è asceso al livello attuale da una condizione più selvaggia, non necessariamente più malvagia, ma quasi sicuramente irrazionale e non intelligente. È un peccato che il titolo di uno dei più grandi libri di Darwin sia La Discesa (Descent) invece che L'Ascesa. L'idea della necessità di Dio ed altri pensieri ed idee che innalzano l'uomo erano sconosciuti ai nostri lontani progenitori. Nacquero, si svilupparono e si radicarono nell'uomo durante la sua lunga e faticosa ascesa dalla condizione animale a quella umana.
Gli organismi non umani posseggono la “saggezza del corpo” ma l'uomo possiede anche la sapienza della sua condizione umana. Per saggezza del corpo si intende quell'abilità di un sistema vivente di reagire alle modificazioni ambientali in modo da accrescere le probabilità di sopravvivenza e di continuazione della specie. Ad esempio: per vivere, l'organismo umano richiede una determinata concentrazione di sale nel sangue: se viene ingerita una quantità eccessiva di sale questa è eliminata con l'orina; al contrario, se la quantità di sale è ridotta l'orina contiene poco sale. Queste reazioni “sagge” generalmente consistono in risposte alle condizioni ambientali che la specie ha più frequentemente incontrato nella sua evoluzione. La “saggezza” innata di questo tipo è il risultato della selezione naturale.
Per stabilire quale sia il posto della sapienza dell'umanità nello schema delle cose occorre un discorso a parte. Secondo Tillich (1963) l’umanesimo «sostiene che scopo della cultura è la realizzazione delle potenzialità dell'uomo in quanto portatore dello spirito» e che «la sapienza può essere distinta dalla conoscenza oggettiva (sapientia e scientia) per la sua capacità di manifestarsi al di là della distinzione fra soggetto ed oggetto». Tale sapienza è frutto dell'autocoscienza: l'uomo trascende se stesso e vede se stesso come un oggetto fra altri oggetti. Egli ha raggiunto la condizione di persona, in senso esistenziale, e con questa l'esaltante esperienza della libertà di poter decidere delle proprie azioni, di fare piani, attuarli o lasciarli in sospeso. Grazie alla liberta l'uomo giunge alla conoscenza del bene e del male. Tale conoscenza è un pesante fardello, da cui tutti gli altri organismi, ad eccezione dell'uomo, sono esenti. La libertà conduce l’uomo a porsi quelle che Brinton (1953) definisce le Grandi Domande, domande che nessun animale si pone.
La mia vita e la vita degli altri hanno un significato? Il mondo in cui sono stato gettato senza volerlo ha un significato? È impossibile rispondere in modo definitivo a questi interrogativi e probabilmente lo sarà sempre se per risposte si intendono certezze assolute, oggettive e verificabili. Ma l'uomo deve cercare queste risposte, deve chiedersi il perché della sua esistenza e di quella del cosmo: in questo infatti consiste la sua grandezza. Lo stimolo a trovare una risposta a queste domande metafisiche fa parte del bagaglio psicologico della specie umana. Brinton (1953) afferma giustamente che «la metafisica è un istinto o un appetito umano» e che «chiedere agli uomini di farne a meno è altrettanto inutile che chiedere loro di rinunciare ai rapporti sessuali. Effettivamente esistono individui che possono vivere senza la metafisica come vi sono coloro che praticano l'astinenza sessuale, ma entrambi costituiscono delle eccezioni. E come la sessualità repressa viene convogliata in canali pericolosi, così avviene per la metafisica».
Il termine tedesco Weltanschauung e quello russo mirovosrenie non hanno un esatto equivalente italiano. La traduzione letterale “visione del mondo” ne tradisce il significato. In realtà la visione del mondo, ad esempio quella che si ha dalla vetta di un monte, può costituire un interessante ed anche esaltante soggetto di osservazione ma non è certo necessaria per vivere. La necessità di un Weltanschauung è sentita con maggior forza ed una mirovosrenie viene ritenuta indispensabile per un essere umano. Il termine latino credo comincia ad essere usato in un senso quasi equivalente a quello di Weltanschauung. È il più vicino alla “idea di assoluto” che Tillich considera come l'essenza della religione, nel senso più ampio e comprensivo del termine. «La religione è la dimensione della profondità nella totalità dello spirito umano. Cosa significa la metafora profondità? Significa che la religione si interessa a ciò che vi è di assoluto, di infinito, di incondizionato, nella vita spirituale dell'uomo. La religione, nel senso più largo ed essenziale della parola, è l'idea di assoluto. E l'idea di assoluto si manifesta in tutte le funzioni creative dello spirito umano» (Tillich 1959).
Questa idea di assoluto è ciò che Ivan Karamazov definiva strana ed al contempo meravigliosa. L'uomo è spinto dalla sua natura a porsi le grandi domande ed ogni individuo cerca di trovare delle risposte soddisfacenti, almeno a livello personale. Una delle risposte possibili è che tali interrogativi non hanno risposta e che solo individui estremamente presuntuosi o pazzi possono pretendere di averne trovate alcune valide in assoluto. Ogni generazione deve cercare delle risposte sulla base delle proprie esperienze. In ogni generazione, individui che hanno vissuto esperienze diverse possono, spero non del tutto inutilmente, spiegare il significato di quegli aspetti della realtà che hanno osservato durante la loro vita.
Ho dedicato la mia vita alla scienza, soprattutto alla biologia evoluzionistica. Non vi è alcuna ragione di credere che gli scienziati siano piú (ma spero neppure meno) qualificati a pensare o a scrivere –relativamente alle grandi domande – di coloro che non sono scienziati. È ingenuo pensare che la scienza, da sola, possa offrire un credo coerente o che ciò che conosciamo al riguardo dell'evoluzione possa darci una risposta esauriente. Alcuni studiosi, fra cui Barzun (1964), non esitano a rifiutare tali pretese con disprezzo: «...gli scienziati non costituiscono un'élite, né intellettuale né di altro tipo. Con tutta probabilità Io “scienziato”, dall'insegnante di discipline scientifiche al direttore di un istituto di ricerca, non è altro che una persona di medie capacità». Tuttavia, persino Barzun, che non è certo amico o sostenitore della scienza, ammette controvoglia che questa «è la sola in grado di fare accettare agli uomini, senza il bisogno di convincerli, determinate affermazioni. Infatti gli uomini, appena capiscono, raggiungono un accordo». Alcune di queste “affermazioni” della scienza riguardano le grandi domande e non devono essere trascurate nella ricerca di possibili risposte.
Non è lontano il tempo in cui si credeva che la terra fosse piatta e che le malattie venissero causate da spiriti del male. Oggi le concezioni comunemente accettate sono diverse: la terra è una sfera che ruota su se stessa intorno al sole, e le malattie sono causate da vari parassiti o da altri agenti biologici. E, dal momento che la cosmologia non è priva di implicazioni nei confronti dell'idea di assoluto, sono mutate anche le concezioni generali. Newton ed i suoi seguaci consideravano il mondo un congegno perfetto e gigantesco che si muoveva seguendo leggi precise ed immutabili. Tuttavia Newton accettò i calcoli dell'arcivescovo Ussher che faceva risalire la creazione del mondo al 4004 a.C. Le origini del mondo non erano quindi così lontane; non vi erano stati, né erano previsti, cambiamenti radicali e tutto sarebbe finito nella catastrofe dell'Apocalisse. Newton, oltre ad essere uno studioso di cosmologia, era anche un profondo conoscitore del Libro dell'Apocalisse. Nell'universo newtoniano l'uomo non aveva né forza né tempo sufficienti per alterare il corso degli eventi, che erano predeterminati sin dall'inizio del mondo.
Il vasto universo scoperto da Copernico, Keplero, Galileo e Newton era alquanto diverso dal comodo e sicuro mondo geocentrico dei pensatori antichi e medioevali. L'uomo e la terra, precedentemente ritenuti il centro dell'universo, apparvero come insignificanti granelli di polvere sperduti nello spazio cosmico. Così l'uomo venne privato delle comode certezze stabilite dalla tradizione medioevale. Molto tempo prima che l'alienazione e l'angoscia divenissero concetti alla moda, in quanto basi delle filosofie esistenzialiste, Pascal espresse con vigore il sentimento di solitudine provato dall'uomo nel «silenzio eterno degli spazi infiniti». Forse, lavorando con tenacia, l'uomo sarebbe riuscito ad apprendere molto sulle origini e sul funzionamento del mondo, ma non aveva nessune speranza di riuscire a cambiarlo, se non nei particolari secondari. La salvezza o la dannazione erano il destino dell'uomo ed i calvinisti credevano che tale alternativa fosse irrevocabilmente stabilita prima ancora della nascita dell'individuo. In questo universo non vi era posto per l'umanesimo di Tillich: l'uomo aveva poche potenzialità da realizzare e la cultura ancora meno.
È ormai un luogo comune affermare che la scoperta darwiniana dell'evoluzione biologica ha completato il processo di degradazione e di alienazione dell'uomo, iniziato con Copernico e Galileo. Non riesco ad immaginare un'affermazione più errata, e forse il punto essenziale da discutere in questo libro è la validità del contrario: l'evoluzione è motivo di speranza per l'uomo. Ovviamente, l'evoluzionismo moderno non ha ridato alla terra il primitivo posto di centro dell'universo. Ma, anche se l'universo non è sicuramente geocentrico, potrebbe ben essere antropocentrico. L'uomo, questo misterioso prodotto dell'evoluzione del mondo, potrebbe anche esserne il protagonista e forse la guida. In ogni caso non è statico, non è finito e non è immutabile. Ogni cosa in esso è coinvolta nel flusso e nello sviluppo evoluzionistico.
La società umana, la cultura, l'umanità stessa, il mondo vivente, il globo terrestre, il sistema solare ed anche gli "indivisibili" atomi derivano da stati ancestrali radicalmente diversi da quelli attuali. Inoltre, i cambiamenti non sono tutti storia passata. Il mondo non si è solo evoluto ma sta evolvendo. Dunham (1964) scrive: «Secondo la concezione rinascimentale il mondo, luogo di bellezze e delizie, non doveva essere modificato ma solo abbracciato; e gli abitanti di questo mondo, liberi da ogni colpa, potevano semplicemente e candidamente essere amati». Ma il bisogno di cambiamenti è stato avvertito molto più frequentemente e con non minore intensità:
Giacché l'ansiosa aspettativa del mondo creato attende la manifestazione dei figli di Dio (poiché alla frustrazione è soggetta la creatura non di volontà propria, ma per causa di chi l'ha così fatta), colla speranza che gli stessi esseri creati saranno liberi dalla schiavitù della morte, verso libertà e la gloria de' figli di Dio. Sappiamo bene come la creazione fino ad ora gema tutta quanta e soffra quasi le doglie del parto. (Rom. 8,19-22).
Poiché il mondo è in evoluzione, in futuro potrà differire da ciò che è attualmente. In questo caso l'uomo può contribuire ad indirizzare i cambiamenti nella direzione che egli ritiene giusta e desiderabile. Thomas Jefferson, con l'ottimismo caratteristico dell'epoca in cui visse, scrive:
Sebbene io non creda, come fanno alcuni ottimisti, che la condizione umana raggiungerà mai uno stato di perfezione grazie al quale nel mondo non vi saranno né vizi né mali, credo che essa sia suscettibile di un forte miglioramento, soprattutto per quanto riguarda governi e religioni; e lo strumento che renderà possibili tali cambiamenti sarà la diffusione della conoscenza.
A queste parole fanno eco Karl Marx e Lenin con la famosa massima secondo cui noi dobbiamo lottare non solo per conoscere, ma anche per trasformare il mondo. Soprattutto non si può affermare che la natura umana non cambi; questa “natura” non è uno stato, ma un processo. Le potenzialità dello sviluppo dell'uomo, da un punto di vista sia biologico sia culturale, sono tutt'altro che esaurite. L'uomo deve proseguire il suo sviluppo quale portatore dello spirito e dell'idea di assoluto. Con Nietzsche possiamo dire: «L'uomo è qualcosa che deve essere superato».
Sembra che Picasso abbia affermato di detestare la natura. Tolstoj ed altri scrittori minori hanno affermato che nessuna scoperta della scienza avrebbe potuto influenzare le loro vedute. La simpatia e l'avversione sono emozioni che non possono naturalmente essere indotte o eliminate con la forza. Nessuno può impedirci di detestare la natura e di disprezzare la scienza, ma diviene sempre più difficile ignorarle. La scienza moderna non è un divertimento per pochi adepti, ma si sta imponendo all'attenzione di tutti. Alcuni non provano alcun interesse per remote galassie, per terre sconosciute, per tribù lontane ed anche per le persone con cui non hanno contatti troppo frequenti o troppo stretti, ma è improbabile che provino indifferenza nei riguardi della propria persona. In realtà si dànno anche casi di indifferenza, ma è raro che questa abbia radici profonde o che venga mantenuta quando si è soli con se stessi. Forse, anche questo atteggiamento è attribuibile all'evoluzione biologica della personalità dei nostri avi, in quanto ha aumentato le loro probabilità di sopravvivenza. Il «conosci te stesso», prima ancora di essere formulato e di diventare un famoso detto, costituiva già uno stimolo intellettuale, profondamente radicato nella psiche umana. Ovviamente, il sapere scientifico, da solo, è insufficiente per conoscere se stessi e con tutta probabilità questa è la ragione per cui Tolstoj derideva la scienza. Egli la riteneva estranea al problema dell'assoluto, che era l'unico ad interessarlo. Ma il suo rifiuto della scienza si rivelò eccessivo. Allora, ed in particolar modo oggi, se si decide di ignorare quanto può dirci la scienza sulla nostra natura, ci si preclude qualcosa di determinante per la conoscenza di se stessi. Questa considerazione ci porta ad una conclusione abbastanza semplice: una Weltanschauung coerente non può fondarsi solo sulla scienza, né escluderla completamente. In genere sono i filosofi ad elaborare e ad analizzare le Weltanschauungen ed è facile capire la loro intolleranza nei confronti degli intrusi che invadono il loro campo. E gli scienziati-filosofi non hanno certo maggiore successo. Questo atteggiamento autoritario non è del tutto ingiustificato, ma la questione non è facilmente risolvibile. Che cos'è in realtà la filosofia? Fra le numerose definizioni spicca quella di Bertrand Russell (1945): «Fra la teologia e la scienza vi è una terra di nessuno, esposta agli attacchi di entrambe le parti; questa terra di nessuno è la filosofia». In modo meno brillante la filosofia viene definita «la scienza della totalità» che analizza criticamente gli assunti e le scoperte di tutte le altre scienze, considerandone i rapporti reciproci. Altre definizioni pretendono che la {unzione della filosofia consista nel costruire una Weltanschauung coerente. Qualunque definizione si scelga, lo scienziato ha un suo ruolo, se non altro ai confini della filosofia. Lo scienziato deve almeno essere annoverato fra i fornitori di materia prima con la quale operano i filosofi nel formulare e risolvere i loro problemi. A parte qualche illustre eccezione, le scuole moderne di filosofia, soprattutto negli Stati Uniti ed in Inghilterra, hanno largamente attinto alle scienze fisiche. L'importante scuola della filosofia analitica concentra il suo interesse sulla matematica e sulla linguistica mentre vengono trascurate la biologia e l'antropologia. Sembra tuttavia che negli ultimi tempi qualcosa abbia cominciato a muoversi in direzione opposta.
L'importanza della biologia e dell'antropologia appare evidente. L'orgoglio spinge l'uomo a sperare di diventare un semidio. Ma egli è ancora, e probabilmente resterà, essenzialmente una specie biologica: tutto nel suo passato è di origine biologica. Per capire stesso l'uomo deve conoscere le sue origini e ciò che lo ha guidato nel suo cammino. Per programmare il suo futuro come individuo e soprattutto come specie, deve conoscere le proprie potenzialità ed i propri limiti. Questi problemi sono in parte biologici e scientifici, in parte «teologici». In conclusione sono problemi filosofici nel senso inteso da Bertrand Russell.
Il compito che mi sono proposto è estremamente ambizioso per un biologo privo di una preparazione filosofica ed antropologica di tipo accademico. È mia intenzione esaminare alcune implicazioni filosofiche che riguardano scoperte e teorie biologiche ed antropologiche. Questo libro non pretende di essere un trattato né di biologia filosofica, né di filosofia biologica. Raccoglie saggi sugli aspetti della scienza che hanno avuto una influenza determinante nella formazione della mia Weltanschauung. Non dico questo per prevenire eventuali critiche su questi saggi, ma solo per giustificare quella che potrebbe altrimenti apparire come una scelta alquanto disordinata dei soggetti discussi o tralasciati in queste pagine. D'accordo con Birch (1965) riconosco che:
I miei colleghi potrebbero dire a ragione: «Scienziato, pensa agli affari tuoi». Ma questo è quanto stiamo facendo da tempo nel campo della scienza. Quello che ho cercato di fare non è un'impresa molto comune ai nostri tempi: considerare un campo tanto vasto da non poter essere oggetto di conoscenza specifica da parte di nessun individuo. Il tentativo è forse presuntuoso. L'ho compiuto perché ho avvertito la necessità di rischiare, nonostante la vastità del soggetto. Non avrei scritto se non avessi scoperto qualcosa che mi ha aiutato a spiegare il mondo di conoscenze specializzate in cui vivo.
Testi citati
Barzun J. (1964), Science, the Glorious Entertainment , New York, Harper & Row.
Birch L.C. (1965), Creation and the Creator , “Journal of Religion” 37: 85-98.
Brinton C. (1953), The Shaping of the Modern Mind , New York, New American Library.
Dunham B. (1964), Heroes and Heretics, New York, Knopf
Russell B. (1945), A History of Western Philosophy, New York, Simon & Schuster.
Tillich P. (1959), Theology of Culture, New York, Oxford University Press.
Tillich P. (1963), Systematic Theology, vol. III, Chicago, University of Chicago Press.
T. Dobzhanski, Le domande supreme della biologia, De Donato, Bari 1969, pp. 11-18 (Ed. or. The Biology of the Ultimate Concern, New York 1967)