Il tema dell'evoluzione dell'uomo, e della vita in genere, è quello che oggi, insieme alle grandi questioni cosmologiche, maggiormente attrae l'attenzione di coloro che desiderano approfondire i rapporti fra la scienza e la teologia. Ambedue gli ambiti di sapere ci offrono infatti una visione, ed anche alcune precise risposte, circa la natura dell'essere umano. Il primo passo verso la ricerca di una sintesi, o almeno di una chiarificazione, è certamente quello di accostarsi ai risultati della scienza in modo il più possibile obiettivo e consapevole, sapendo muoversi con oculatezza nella numerosa produzione divulgativa esistente in proposito (il lettore interessato potrà trovare una breve rassegna bibliografica in una delle bibliografie tematiche di questo Portale Interdisciplinare).
Resta comunque fuori discussione che l'evoluzione biologica è considerata, ormai quasi unanimemente, la chiave interpretativa scientificamente più adeguata per descrivere la storia della vita sulla terra, e costituisce il quadro di riferimento della biologia moderna.
Come è stato riconosciuto da Giovanni Paolo II nel 1996, si tratta di una teoria coerente con le vedute e le scoperte recenti di varie branche della scienza. Essa costituisce la spiegazione più plausibile della documentazione fossile esistente. Una sorta di descrizione della “cinematica biologica” che, però lascia aperto il campo alla ricerca di una spiegazione in termini causali che sia altrettanto adeguata.
Sulla “dinamica” del processo evolutivo il discorso è tuttora problematico, anche perché non conosciamo tutti i fattori e le modalità delle trasformazioni degli esseri viventi a partire da forme più semplici per arrivare a strutture complesse e diversificate. Non ne abbiamo certamente ancora una spiegazione, non ne sappiamo il perché e, quindi una vera e propria teoria esplicativa.
L'intuizione di Darwin — e, insieme con lui, anche se meno famoso, di Wallace, —sull'importanza della selezione naturale operante sulle piccole variazioni delle specie ha rappresentato, per molto tempo, un primo modello ritenuto da molti biologi sufficiente per spiegare il corso evolutivo nel suo insieme. Ma in termini causali non sembra sufficiente a rendere conto di quegli aspetti dei processi evolutivi che parrebbero piuttosto, per esprimerci in termini filosofici, esplicitare una sorta di progetto finalizzato.
Diversi studiosi, ormai, non ritengono sufficiente questo meccanismo, fondato sulla casualità delle piccole variazioni (mutazioni), per spiegare la formazione in tempi relativamente brevi di strutture ordinate assai complesse e delle grandi direzioni evolutive dei vertebrati. A questo proposito vanno tenuti presente i possibili sviluppi della biologia evolutiva nello studio dei geni regolatori di variazioni che comportano sensibili cambiamenti morfologici. Esperimenti compiuti su geni regolatori che guidano lo sviluppo embrionale di crostacei e moscerini permetterebbero di ipotizzare la possibilità del formarsi di nuovi piani organizzativi per una singola mutazione genetica. Ricerche in questa direzione potrebbero aprire nuovi orizzonti.
Vi sono però anche altri punti sui quali la teoria evolutiva attende luce e approfondimenti. A partire dalla formazione della vita sulla terra. Secondo qualche scienziato non poté avvenire per processi puramente fisico-chimici. Alcuni, fra cui Crick (lo scopritore, insieme con Watson, della doppia elica del Dna), ritengono che la vita sia giunta sulla terra dallo spazio in forma di germi o spore. Ma così il problema si sposta soltanto, non è risolto. L'accertata presenza di molecole organiche (ad esempio gli aminoacidi) in micrometeoriti potrebbe essere messa in relazione con l'insorgenza della vita in ambiente acquatico. Vero è che archebatteri e alghe unicellulari senza un vero nucleo (procarioti) si ritrovano, come unici viventi, per circa due miliardi di anni, e che soltanto 2,1 miliardi di anni fa compaiono i primi eucarioti (cellule con nucleo) nelle acque che ricoprivano il pianeta. Circa l'evoluzione della vita alcuni studiosi sottolineano l'importanza dell'impatto di grandi meteoriti per l'evaporazione dell'acqua e la formazione di ossigeno nell'atmosfera per fotodissociazione del vapore acqueo. A questo proposito viene rilevata una coincidenza della comparsa degli eucarioti, circa 2,1 miliardi di anni fa, con la grande catastrofe causata dall'impatto del meteorite che ha formato il cratere di Vredefort nel Sud Africa dal diametro di 300 km . L'impatto potrebbe avere favorito il rilascio di ossigeno nell'atmosfera, necessario per gli eucarioti aerobici. Ma i viventi pluricellulari tarderanno ancora a venire. Dalla loro comparsa, intorno a 1 miliardo di anni fa, il ritmo evolutivo procederà lento e non generalizzato. Sarà con il Cambriano, da 540 a 520 milioni di anni fa, che si svilupperanno, in modo quasi esplosivo, le principali classi dei viventi. E' presumibile che per molto tempo non vi siano state nell'atmosfera e sulla terra le condizioni idonee per l'evoluzione degli animali e vegetali oggi esistenti. Ma la successione con cui compaiono pesci, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli e la grande rapidità con cui evolvono sono un problema ancora da chiarire.
Una grande importanza viene riconosciuta all'impatto di un grande meteorite sulla terra, nello Yucatan (Messico), che determinò sensibili cambiamenti ambientali e la conseguente estinzione dei dinosauri, favorendo lo sviluppo dei mammiferi. Negli ultimi minuti dell'orologio della vita si forma la linea evolutiva che ha portato all'uomo. Pur nella aleatorietà degli eventi cosmici e biologici, l'impressione è che si realizzi un disegno generale nella organizzazione della vita sulla terra, quali che possano essere state le cause immediate, e che l'ominizzazione rappresenti una direzione privilegiata.
Per quanto riguarda l'evoluzione umana le scoperte recenti confermano l'Africa come culla dell'umanità, ma le parentele dell'umanità con gli Ominidi che l'hanno preceduta non sono ancora chiarite. La fase australopitecina, ritenuta preparatoria, si rivela sempre più complessa. Recenti datazioni calibrate dell'orologio molecolare porterebbero anche più indietro, intorno a 10-13 milioni di anni, la separazione tra la linea delle Antropomorfe e quella degli Ominidi finora posta intorno a 7-5 milioni di anni fa.
La domanda più importante resta quella sulla comparsa dell'uomo. A quale livello morfologico di Ominide? Con Homo habilis? Con i Neandertaliani o con l'uomo moderno di 40.000 anni fa? Per una risposta soddisfacente si dovrebbe fare riferimento soprattutto al comportamento dell'Ominide. Quando le sue manifestazioni rivelano capacità progettuale e simbolizzazione, quando cioè si può riconoscere una tecnica creativa e lo strumento acquista significato nel contesto di vita si può ritenere che sia presente una intelligenza umana. Una capacità che molti attribuiscono alla fase molto antica di Homo habilis di circa due milioni di anni fa. In ogni caso questa attitudine include una dimensione extrabiologica, non spiegabile in termini puramente evolutivi, che rappresenta la principale differenza dell'uomo dal mondo animale.
La paleoantropologia stessa mette assai bene in evidenza la singolarità del fenomeno umano. L'uomo appare come evento unico, segnato dalla novità della cultura, elemento extrabiologico, che egli sviluppa fino a essere in grado di controllare la sua evoluzione contrastando anche la selezione naturale.
La simbolizzazione, aspetto essenziale della cultura, impronta di sé il sistema dei rapporti sociali e, insieme con la tecnologia, si realizza nella libertà. Si apre il campo dei valori, non riducibile a schemi biologici.
L'identità biologica e culturale dell'uomo include, ad un tempo, casualità e determinismo, autocoscienza e libertà. Mentre le prime due categorie appartengono alla fisica e alla biologia, l'autocoscienza e la libertà le trascendono, perché si esplicano in ambiti e con modalità che non appartengono alla sfera biologica, pur potendo esserne influenzati. L'uomo non è riducibile né a una scimmia né a una macchina.
Il comportamento umano esige valori di riferimento individuabili sulla base della ragione e dell'esperienza. Si apre il campo dell'etica che non può essere di tipo contrattualistico, ma deve saldarsi alla condizione umana e alle sue esigenze assumendo l'uomo come valore centrale, trascendente la realtà che lo circonda e, a sua volta, in rapporto con ciò che lo trascende, Dio Creatore.