Porre il problema dell'unità del sapere in prospettiva educativa, può apparire anacronistico o utopico, soprattutto in un'epoca in cui la cultura è sempre più frammentaria. In realtà vi sono profonde motivazioni pedagogiche per porre tale problema, tanto più in una cultura che non sembra muoversi in quella direzione, sia in rapporto all'insegnamento universitario, sia in ordine ad ogni forma di insegnamento che si collochi in un contesto di tipo educativo.
Uno spunto di riflessione tratto dalle nascenti Università in età medievale
Le istituzioni universitarie, nate nel cuore del Medioevo, si caratterizzano —almeno agli albori della loro storia— per un dinamismo ed una vitalità sul piano organizzativo e didattico che dipendono dalle condizioni stesse della loro origine. Sorte da scuole preesistenti (scuole cattedrali, monacali o palatine), le Università ebbero in comune il carattere di organismi autonomi, originate da corporazioni di docenti (secondo il modello dell'Università di Parigi) o di studenti (secondo il modello dell'Università di Bologna). In entrambi i casi ciò che garantiva l'identità della struttura era l'unità dei fini per cui sorgeva: il fatto di permettere la possibilità di un insegnamento libero, dialogico e fecondo. L'espressione “Universitas studiorum” sottolinea l'idea di una comunità di coloro che si occupano degli studi come docenti o studenti. Ogni aggregazione comunitaria è specificata dal fine, il “bonum commune”, che ne motiva l'esistenza e che —nel caso degli studi universitari— fu espresso in termini icastici dalle parole di un grande maestro come sant'Alberto Magno: “in dulcedine societatis quaerere veritatem”. Ci si mette insieme in una comunità dedita agli studi con il fine di ricercare insieme la verità; e sarà dolce la compagnia di chi la cerca…
La comune ricerca della verità rappresenta dunque, dal punto di vista storico, la ragion d'essere ed anche la ratio unitatis delle nascenti strutture universitarie. In esse il concetto di “universitas” può essere declinato lungo quattro linee convergenti: a) universitas come “comunità”, nel senso sopra descritto (linea della causalità efficiente); b) universitas come “totalità”, in riferimento alle aree dello scibile che possono essere insegnate (linea della causalità materiale), non nel senso che ogni università comprenda tutte le aree dello scibile, ma che il sistema universitario nel suo complesso tende ad abbracciarle tutte senza escluderne in partenza nessuna; c) universitas come “universalità” dei risultati dello sforzo di ricerca, caratterizzato da un rigore metodologico (linea della causalità formale) che ne rende intersoggettivamente validi gli esiti, messi alla prova anche attraverso il vaglio critico della disputatio ; d) universitas come aspirazione alla costruzione di un'unità del sapere (linea della causalità finale) che possa essere tale sia in rapporto alla cultura del tempo, sia in rapporto alla sintesi che ciascuno ne elabora attraverso il proprio percorso formativo.
Con il trascorrere del tempo l'unità del quadro culturale di riferimento si è progressivamente modificata, assumendo diversi volti nelle diverse epoche, fino alla graduale frammentazione del quadro complessivo, in cui oggi ci troviamo alfine a vivere. Sarebbe importante cogliere in questa stessa cultura alcuni “semi” di unità da coltivare e valorizzare, per contribuire ad innescare un processo in contro-tendenza rispetto alla mentalità dominante, ma non vogliamo occuparcene in questa sede, rimandando alla lettura della voce Unità del sapere , disponibile on line in questo Portale.
L'unità del sapere come orizzonte pedagogico
Anzitutto si pone il problema dell'unità del sapere nella mente e nel cuore di ogni singola persona (unità soggettiva): in interiore homine habitat veritas (Agostino). La persona che cresce ha bisogno di inquadrare le conoscenze e le competenze che progressivamente matura in un orizzonte intellettuale ed esistenziale che prende forma nel tempo e tende all'unità. Dal punto di vista esistenziale il riferimento è al progetto di vita in cui si collocano i fini e i valori alla luce dei quali vengono compiute le singole scelte. Ma nel mondo odierno, in cui a tutte le persone è data la possibilità di accostarsi in modo abbastanza significativo ad occasioni strutturate di studio e di formazione intellettuale, parallelamente al progetto di vita prende forma anche una sorta di “progetto culturale” su se stessi.
Le scelte compiute nell'ambito dell'istruzione e della formazione, infatti, rispondono ad una logica che è il soggetto stesso a determinare (come persona, famiglia, comunità educante, ecc.), ma quali sono i criteri in forza dei quali tali scelte vengono compiute? Esiste la possibilità che esse dipendano solo da motivazioni di tipo pragmatico e utilitaristico (apprendere ciò che serve, quando serve e perché serve per raggiungere altri obiettivi che potrebbero essere, per esempio, di tipo economico), ma è più probabile che progressivamente prenda forma in ogni persona una vera e propria “vocazione culturale” che si struttura giorno dopo giorno, a partire dal riconoscimento di una “passione” intellettuale più forte in alcuni settori piuttosto che in altri. Tale processo di costruzione di una personalità intellettuale autonoma (e quindi critica e capace di discernere tra le diverse opzioni) suppone la capacità di esercitare un'attività di tipo contemplativo in cui ai beni dell'intelletto (i fini dell'apprendimento) venga riconosciuto un valore ed un'attrattiva “in se stessi” e non solo in ragione dell'utilità che essi possono avere. Favorita dall'attitudine a coltivare una conoscenza capace di cogliere il significato della parte nel tutto, aperta all'ascolto e disponibile a indagare ciò che ignora, l'unità soggettiva del sapere si organizza attorno all'azione del soggetto, mossa dal possesso ordinato di tutte le conoscenze che egli ha giudicato significative e sensate, con modalità che —in ultima analisi— risultano rivelative delle sue intenzioni più intime.
Per questo motivo, come ben notava Maritain, «l'educazione e l'insegnamento non devono mai perdere di vista l'unità organica del loro compito, né il bisogno radicale dello spirito di liberarsi nell'unità. (...) La dispersione e il frazionamento della vita umana sono ai nostri giorni la grande sventura del mondo degli adulti. Invece di aprirsi essa stessa sempre più a questa devastante dispersione, la scuola dovrebbe almeno prepararci a superarla, e a dare alla nostra gioventù un mondo più fortunato che sia il suo privilegio, un mondo adatto alle nostre esigenze spirituali e centrato sull'unità» ( L'educazione al bivio La Scuola , Brescia 1963, pp. 72-73). Il cammino formativo deve dunque favorire il processo di rendere effettiva un'unità interna del sapere, vivificata da una visione sapienziale che ciascuno potrà costruire in modo progressivo, attraverso unità di sintesi che quotidianamente si confrontano con gli stimoli culturali e con le scelte di vita, paragonandosi anzitutto con la tradizione culturale del quale è erede.
Unità del sapere e insegnamento scolastico nel passato recente
In materia di ordinamenti scolastici le intenzioni del legislatore sembrano manifestare una prospettiva convergente con l'approccio pedagogico a cui ci siamo riferiti, come si legge nei programmi del 1985, in cui l'approccio di base è unitario e la differenziazione disciplinare emerge solo in modo progressivo, ed anche nei programmi della scuola media del 1979 (cfr. D.P.R. n. 104 del 12.2.1985, Nuovi programmi didattici per la scuola primaria ).
La scuola media è formativa in quanto si preoccupa di offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni (etiche, religiose, sociali, intellettive, affettive, operative, creative, ecc.). Essa favorisce, anche mediante l'acquisizione di conoscenze fondamentali specifiche, la conquista di capacità logiche, scientifiche, operative e delle corrispondenti abilità e la progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno (cfr. D.M. del 9.2.1979, I parte, n. 3).
Naturalmente non tutti gli auspici del legislatore si sono tradotti in comportamenti uniformemente diffusi, tanto che ci sembra di poter riscontrare una tendenza alla “specializzazione” disciplinare che si è affermata persino nella scuola primaria (elementare) ed anche la scuola media —al di là delle “buone pratiche” che hanno saputo dare corso a quanto auspicato nei programmi— tende a privilegiare un approccio parcellizzato ai problemi. Tale tendenza appare ancora più radicale nella scuola secondaria superiore, dove la frammentarietà (e spesso l'incapacità di comunicare) tra i diversi approcci disciplinari viene solo in parte temperata da modesti tentativi di attivare collegamenti interdisciplinari che non riescono a scalfirla nella sostanza, anche perché spesso si tratta di mere forme di giustapposizione multidisciplinare, in cui l'onere di individuare la “ratio unitatis” tra i diversi collegamenti viene spesso lasciato agli studenti stessi. Si tratta di un interdisciplinarismo di maniera, vago e confuso dal punto di vista dell'identità culturale, che perde di vista il motivo essenziale di un approccio interdisciplinare autentico: quello di riannodare in una trama unitaria i fili che ogni disciplina tesse in piena autonomia e che acquistano senso nella mente di quanti li accolgono in una loro sintesi personale.
Più complessa e meno favorevole pare la situazione per quanto riguarda le scuole secondarie superiori, i cui programmi risalgono sostanzialmente alla riforma Gentile, e risultano caratterizzati da un approccio “disciplinarista”, in cui i collegamenti interdisciplinari devono essere “conquistati” dagli insegnanti e la prassi di questi ultimi anni va ancora nel senso di quella giustapposizione in parte confusiva di cui si è detto sopra. Alcune ipotesi di lavoro interessanti sono emerse con i diversi progetti di riforma complessiva del sistema e la miriade di sperimentazioni (libere o “assistite”) che ne sono scaturite. L'evoluzione del sistema scolastico, in questi ultimi anni, ha portato sempre più in luce una “domanda di interdisciplinarità” (spesso dovremmo dire di “multidisciplinarità”, stando alla distinzione di cui sopra), legata sia ad una spontanea esigenza in tal senso che cresce “dal basso” (per la crescente sensibilità degli insegnanti), sia ad alcuni vincoli che sono stati posti a livello normativo, come —ad esempio— per alcune prove del nuovo Esame di Stato. In particolare vi sono due momenti in cui il carattere multidisciplinare delle prove è richiesto dalla normativa, ossia la terza prova scritta ed il colloquio orale. La terza prova scritta rappresenta una delle novità del nuovo esame di Stato che ha sostituito la maturità “sperimentale” entrata in vigore nel 1969 ed andata in pensione dopo 30 anni, il colloquio orale sostituisce la precedente interrogazione in due materie (una scelta dal candidato e l'altra —in teoria— dalla commissione) con una prova di altro genere e dalle diverse finalità. In realtà sembra prevalere un approccio ancora ambiguo che va da una vaga unità pre-disciplinare che caratterizza maggiormente l'approccio della scuola elementare (e in parte della media), in cui l'unità del sapere è più postulata che conquistata e si pone “a monte” dei criteri di distinzione che verranno guadagnati in seguito, ad una multidisciplinarità giustappositiva in cui si ritiene che la “somma” (quanto più “integrale” possibile) dei diversi ingredienti sia la condizione necessaria per generare un approccio sapienziale e unitario (che pur viene auspicato), magari sperando nel potere di un'efficace mediazione didattica da parte degli insegnanti. Il problema principale resta dunque quello dell'approccio didattico degli insegnanti che —soprattutto nella scuola superiore— resta legato ad un impianto disciplinarista con sobri agganci e collegamenti.
Unità del sapere e insegnamento scolastico tra presente e futuro
Si apre quindi un significativo spazio per l'evoluzione di alcuni dinamismi pedagogici nel nostro sistema di istruzione e formazione, peraltro in fase di profonda riforma proprio in questi anni, nella logica di una maggiore valorizzazione di questa dimensione soggettiva dell'unità del sapere che rappresenta una delle “cifre” pedagogiche della riforma “Moratti” (Legge 53/2003). Un utile strumento di lavoro in tal senso può essere il Profilo educativo culturale e professionale (cfr. D.L.vo n. 59/2004) atteso al termine del primo e del secondo ciclo di istruzione e formazione, inteso come una “bussola pedagogica” per coordinare gli interventi educativi (degli insegnanti e delle famiglie, con la partecipazione attiva degli stessi allievi) in ordine alla costruzione di un'identità personale e culturale auspicabilmente armoniosa e coerente (Cfr. G. Bertagna, Tra il Profilo e i Piani di Studio Personalizzati. Una prima analisi dei Documenti di lavoro , in “Scuola e didattica”, n. 10/2003).
Tale Profilo educativo, culturale e professionale rappresenta ciò che un ragazzo di 14 anni dovrebbe sapere e fare per essere l'uomo e il cittadino che è giusto attendersi da lui al termine del Primo Ciclo di istruzione. Il traguardo può ritenersi raggiunto se le conoscenze disciplinari e interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative (il fare) apprese ed esercitate nel sistema formale (la scuola), non formale (le altre istituzioni formative) e informale (la vita sociale nel suo complesso) sono diventate competenze personali di ciascuno. Tale prospettiva, di cui possiamo ritrovare le radici anche a livello di letteratura pedagogica (cfr. G. Bertagna, Avvio alla riflessione pedagogica , La Scuola , Brescia 2000), anima tutto l'insieme dei documenti normativi che accompagnano questa riforma, come possiamo leggere nelle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati , allegate al primo decreto attuativo (si tratta del già citato D. L.vo n. 59/2004) della Legge 53. Per quanto riguarda il disegno riformatore del secondo ciclo di istruzione e formazione, esso è già presente nella legge 53/2003, anche se ancora non si è compiuto l'iter della decretazione attuativa. In questi mesi è stato però abbastanza vivace il lavoro preparatorio della Commissione incaricata di predisporre le proposte da sottoporre all'attenzione del decisore politico. Il documento affidato alla pubblica discussione contiene alcuni passaggi in cui il riferimento al nostro tema non potrebbe essere più chiaro ed esplicito (cfr. I Licei nel secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ; bozza di lavoro proposta alla discussione pubblica nel marzo 2003, in Annuario del professore. Insegnare nella scuola dell'autonomia , Supplemento a “Nuova Secondaria”, n. 1 del 15 settembre 2003, pp. 181-182). Ne riportiamo alcuni passagi essenziali:
«Il Liceo non mira ad una semplice collazione, ancorché sistematica, di “saperi”. La sua ambizione è piuttosto di trasformare i “saperi” in “sapere” e in “cultura”, cioè in un'unità di senso che consenta di costruirsi una visione del mondo e che integri in modo armonico la personalità di ciascuno. Il “sapere” e la “cultura”, infatti sono indispensabili mediatori nel rapporto libero, aperto e critico con la realtà ambientale e sociale. (...) Nel quadro generale tracciato dal Profilo educativo, culturale e professionale ogni singola tipologia liceale promuove l'insieme delle conoscenze e delle abilità previsto dal suo specifico piano di studi, tenendo comunque presenti le seguenti dimensioni metodologiche e culturali:
– Unità della cultura. Poiché ogni disciplina può cogliere solo determinati attributi della realtà che esiste, però, per ciascuno come un insieme unitario, è necessario far scoprire allo studente il legame generale che dà senso alle singole prospettive di qualificazione e di analisi. Solo così sarà del resto possibile ricomporre il diversificato panorama delel discipline linguistico-letterarie, estetico-espressive, storico-filosofiche, matematiche, fisico-naturalistiche e tecnico-tecnologiche, in un'unità culturale che dia significato al processo conoscitivo e motivazione interiore a studenti e docenti.
– Interdisciplinarità. La visione unitaria della cultura deve trovare poi speculare rispondenza formale e metodologica nell'attenzione alle interazioni reciproche e alle interconnessioni che esistono o si stabiliscono tra i vari settori della cultura e che li rendono in vario modo interdipendenti. (...) In tale quadro, la soluzione dei vari problemi non può avvenire senza mobilitare le diverse prospettive disciplinari e senza l'abitudine a trasferire strumenti e schemi concettuali da un contesto disciplinare ad un altro, in modo da individuare all'interno dell'unità del sapere le ragioni delle differenze e delle analogie.
– Storicità e storicizzazione. È importante quanto illuminante cogliere gli eventi storici di genesi e di evoluzione di qualsiasi ambito disciplinare (...).
– Lingua e linguaggi . (...)
– Analogicità del concetto di scienza. Le discipline umanistiche rivendicano una scientificità analoga a quella delle discipline esatte e naturali, (...) anche se ovviamente sono diversi i criteri e le condizioni attraverso le quali possono affermare la fondatezza e l'affidabilità delle proprie conoscenze. (...)
– Problematicità. La dimensione problematica costituisce la sintesi critica di tutte le precedenti e rimanda all'originaria complessità del reale, agli interrogativi esistenziali che tale caratteristica ha suscitato e suscita negli uomini, al rigore argomentativo che deve accompagnare le risposte a tali interrogativi, alla collocazione psicologica, storica e sociale delle visioni del mondo che ciascuno custodisce ed elabora. Competenza teoretica liceale è orientarsi in questo percorso ed assumerlo come ordinario atteggiamento professionale e di vita».
È evidente che la realizzazione di auspici pedagogici di così alto profilo dipenderà molto dal modo in cui gli insegnanti riusciranno a farli propri ( nemo dare potest quod non habet ) e incarnarli nella quotidianità del loro lavoro didattico. È vero che i documenti ministeriali sono strutturati in modo tale da indurre e favorire questo tipo di approccio e vi sono anche delle sobrie indicazioni didattiche che timidamente fanno capolino, quasi a voler trasmettere alcune suggestioni di tipo metodologico, ma perché questa prospettiva possa affermarsi in modo capillare e diffuso è necessaria una massiccia azione di formazione degli insegnanti, con tutte le difficoltà che questo comporta, e la capacità da parte dei soggetti più lungimiranti di predisporre materiali ad uso didattico che siano concepiti con questa logica e possano fungere da catalizzatori culturali e metodologici per il lavoro concreto dei docenti (per un'analisi sullo stato dell'arte in materia di identità professionale e dinamismi formativi della professione docente rimandiamo a L. Corradini (a cura di), Insegnare perché? Orientamenti, motivazioni, valori di una professione difficile , Armando, Roma 2004).
Gli insegnanti di oggi non sono figli di una cultura così integrata e tendenzialmente unitaria come quella in cui trovarono il loro habitat i grandi dottori delle università medievali, ma è possibile tentare di recuperare sul piano educativo quella motivazione all'unità che è più difficile ritrovare sul piano culturale. Il fatto che un fanciullo o un ragazzo crescano interiormente “divisi”, in perenne conflitto con se stessi e incapaci di orientarsi nel mondo che li circonda, non dovrebbe essere visto come un “bene” neppure dal più relativista degli insegnanti, perché —se vive con serietà il rapporto educativo con i propri allievi— non può non accorgersi del disagio che questa frantumazione interiore genera in chi già sperimenta la “fatica di crescere”. Per questo riteniamo che la leva di tipo pedagogico possa avere oggi un valore strategico per chi aspira a ricomporre un'unità del sapere che non ci si può rassegnare a considerare “perduta”: in quanto aspirazione perenne della persona umana —ieri oggi e sempre— questo anelito ad una sintesi unitaria e armoniosa può guidare gli insegnanti e gli educatori che si trovano ad operare nella scuole e nelle altre agenzie formative, oggi. Un utile punto di riferimento su tale linea si trova in alcune suggestioni molto esplicite che emergono nella riforma del sistema scolastico che è ora in fase di attuazione. Si tratta di spunti da cogliere e valorizzare: un'occasione da non perdere.