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Studiare filosofia al Politecnico di Torino: l’esperienza di un programma di formazione umanistica per operatori scientifici

Maggio 2007
Alberta Rebaglia
Docente di Storia della filosofia contemporanea - Politecnico di Torino

Il Politecnico di Torino nacque, primo in Italia, come “Scuola di Applicazione per gli Ingegneri” nel 1859, periodo in cui modello culturale egemone in tutta Europa era il positivismo: autentico catalizzatore nel dare origine alla figura professionale dell’ingegnere. In effetti, enfatizzando l’aspetto convenzionale e il ruolo di efficace strumento predittivo delle leggi scientifiche, e attenuando contemporaneamente il loro carattere esplicativo delle dinamiche naturali, la concezione positivistica avrebbe costituito per lungo tempo un fattore culturale di estrema importanza per lo sviluppo dei processi industriali e per la realizzazione delle tecnologie correlate. Risulta, pertanto, ben spiegabile come tale assetto concettuale sia divenuto il riferimento costante, sebbene spesso solo implicito, intorno a cui vennero organizzate la formazione e la didattica nei corsi di laurea in ingegneria.

Anche le più evidenti conseguenze dell’influenza del positivismo —quali la rivendicazione di una manifesta autonomia e distanza del metodo scientifico rispetto agli ambiti della metafisica e della teologia, nonché la fiducia nella capacità di tale metodologia di trattare in modo rigorosamente quantitativo qualsiasi elemento (naturale, oppure economico o sociale)— sono parse efficaci nell’agevolare la gestione di dati e conoscenze. Isolare l’orizzonte scientifico da ogni influenza esterna dà infatti l’impressione di poterne accrescere l’oggettività, incrementando anche il consenso nei confronti delle sue dirette applicazioni tecnologico-industriali; inoltre, rimarcare come il metodo scientifico non sia da ritenersi altro che uno “strumento”, del tutto indipendente dagli oggetti cui viene applicato, fa sì che esso possa venire trasposto in ambiti differenti dalla scienza fisica (purché sempre di tipo osservativo), esaltandone quindi le potenzialità interdisciplinari.

Nei decenni più recenti, tuttavia, la complessità del sistema socio-economico e il carattere multiforme, talvolta contraddittorio, delle domande a cui occorre che le realizzazioni tecnologiche e i processi produttivi trovino risposte adeguate hanno posto in crisi tale impianto di pensiero. L’insufficienza della prospettiva positivistica nel supportare le attuali trasformazioni economiche, sociali e culturali è emersa con chiarezza nel documento stilato a Lisbona nel marzo 2000 dal Parlamento Europeo, in cui è stato attribuito un ruolo di assoluta preminenza ai criteri di ricerca e innovazione sui quali sono basati i processi di produzione delle reti astratte di informazioni e saperi, rispetto ai consueti procedimenti di fabbricazione delle risorse materiali. Impegno strategico fondamentale per l’Europa è stato pertanto considerato il suo costituirsi in “società della conoscenza”, posto quale obiettivo determinante per il nuovo decennio; obiettivo perseguibile solo dando avvio a nuove, consistenti elaborazioni di tecniche formali e metodi euristici concepiti con l’intento di trattare una “conoscenza” non più circoscrivibile esclusivamente entro un studio quantitativo dei dati, bensì in grado di coordinare informazioni essenzialmente ambigue e potenzialmente conflittuali.

Preparare i futuri ingegneri ad affrontare questa radicale trasformazione non richiede più soltanto di fornire loro cognizioni e competenze specifiche: la celerità dei cambiamenti in atto e la limitata prevedibilità che li caratterizza potranno rendere presto non sufficiente il bagaglio delle nozioni tecnico-scientifiche acquisite, anche ai livelli più elevati degli studi e della formazione. Assai importante risulta sollecitare negli allievi ingegneri una consapevolezza critica, una capacità di modellare con duttilità i propri orizzonti di pensiero nel predisporre metodologie cognitive di volta in volta adeguate ai contesti mutevoli e in larga misura imprevedibili nei quali essi si troveranno a operare.   È quindi muovendomi  lungo questa linea concettuale che ho inteso organizzare l’insegnamento di Storia della filosofia contemporanea affidatomi dal Politecnico di Torino, proprio a partire dall’anno accademico 1999-2000.

Rendere gli allievi dei corsi di ingegneria consapevoli e ricettivi nei confronti delle tematiche della conoscenza comporta, in primo luogo, guidare la loro attenzione verso le basi metodologiche del conoscere, presentate nel percorso storico che dapprima le considera volte alla rappresentazione di fatti e poi, sempre più chiaramente, alla comprensione di significati. Da Newton a Laplace, da Mach a Poisson, a Carnot, le figure maggiori della scienza moderna, tanto familiari negli studi che formano un ingegnere, vengono rivisitate considerando i differenti rilievi critici che, già a fine Ottocento e poi nel corso del Novecento, influenti correnti filosofiche hanno formulato nei confronti dello spirito positivista sul quale è imperniato l’edificio delle scienze applicate, esito delle loro progressive sistematizzazioni. Ricollocare nel più vasto orizzonte delle dinamiche di evoluzione delle idee e della cultura —che conducono dall’età moderna a quella contemporanea— questo insieme di conoscenze consolidate consente agli studenti di acquisire familiarità con un’ottica differente rispetto a quella operativa assimilata durante la loro preparazione accademica, accrescendone la consapevolezza della potenziale pluralità delle soluzioni individuabili al fine di rispondere a problemi settoriali, e rafforzandone la consuetudine a un approccio aperto e interdisciplinare. 

Le specifiche abilità richieste dall’evoluzione tecnologica nel prossimo futuro consistono, principalmente, nel saper fronteggiare —ma anche governare— aspetti inconsueti quali incertezza, caoticità, complessità e molteplicità irriducibile di fattori determinanti (aspetti non approfonditi con la necessaria sistematicità nel tipico sviluppo della formazione ingegneristica). Per interagire con un contesto mutevole, incerto, complesso occorre acquisire una padronanza di strumenti concettuali e mezzi metodologici che non solamente differiscono dagli usuali processi razionali mediante cui organizzare dati e informazioni entro i limiti del tradizionale approccio deterministico e riduzionistico (così ampiamente valutato dal positivismo), ma neppure si esauriscono nel raggiungere una buona capacità di dialogo con discipline differenti dalla propria specializzazione, che peraltro rappresenta la prima, concreta meta ascritta all’introduzione di un insegnamento umanistico nell’ambito degli studi scientifici, ingegneristici in particolare. Individuare strumenti cognitivi che incrementano la potenzialità di visione a lungo termine implica infatti —oltre a un approccio interdisciplinare, la cui rilevanza è ormai usualmente riconosciuta— soprattutto un innovativo atteggiamento transdisciplinare, poiché si tratta di definire euristiche trasversalmente applicabili a molteplici ambiti del sapere.

Nell’ultima fase del corso viene pertanto proposta una rilettura di temi afferenti alla teoria dei sistemi, nonché agli studi di automazione e informatica, ricollocati nella costruzione metodologica e, complessivamente, concettuale della cibernetica (che esamina i processi di regolazione attraverso cui i consueti dispositivi meccanici, come pure le strutture biologiche e i complessi immateriali, quali i sistemi economici o sociali, agiscono nel loro ambiente ed elaborano informazione), e altresì della cibernetica del secondo ordine (la quale, considerando le mutue relazioni tra sistema osservato e sistema osservante, dà conto dell’auto-produzione di ordine e organizzazione entro strutture complesse). In particolare, viene tracciato un quadro sommario dei più interessanti tentativi compiuti, sul finire del XX secolo, al fine di elaborare metodi non lineari per la trattazione di informazione e per la comunicazione: metodi in grado di supportare la multiformità di obiettivi e di risposte che necessariamente caratterizza qualsiasi sistema, il quale risulta una parte costitutiva del proprio contesto, da esso non isolabile e con esso in continua evoluzione.

Nel concludere la breve descrizione di questo itinerario formativo —e a un livello di considerazioni del tutto differente— è possibile rilevare come metabolizzare il declino della struttura concettuale riduzionistica connessa alla scienza, alla tecnologia e ai modelli di gestione industriale a carattere positivistico, così come ridisegnare i metodi interpretativi e gli schemi operativi portanti di un pensiero sistemico, costituiscano elementi capaci di aprire vasti orizzonti di riflessione. Un percorso lungo il quale ripensare in un’altra prospettiva l’intero ambito delle problematiche che il positivismo aveva affrontato costruendo barriere invalicabili con i terreni extra-scientifici della metafisica e, in generale, del pensiero non traducibile esclusivamente in procedure formalizzate e prassi sperimentali. Oltrepassando lo schema concettuale positivistico, secondo cui l’uomo domina il proprio ambiente mediante rigide regole razionali, essendo del tutto autonomo rispetto a esso e regolando il proprio agire essenzialmente al fine di massimizzare la propria utilità individuale, ci si trova a valutare differentemente la stessa essenza umana e il significato della sua interazione con il mondo. A ripensare alle domande di senso mai totalmente evase nemmeno di fronte alle certezze positivistiche, e più che mai aperte anche nell’attuale orizzonte di conoscenze.