Di tanto in tanto si diverte a scoprire ed esaminare
un sasso più levigato oppure una conchiglia più bella ed originale del solito;
ma davanti a me si estende sempre inesplorato l'immenso oceano della verità”.
Isaac Newton (1642-1727)
Citando Newton, il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura Mons. Gianfranco Ravasi ha dato il 3 marzo 2009 il via alla conferenza internazionale Biological Evolution. Facts and Theories – A Critical Appraisal 150 Years After “The Origin of Species”. Nell'Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana, a Roma, si sono susseguiti per una settimana quasi quaranta relatori provenienti da tutto il mondo, per fare il punto circa l'evoluzione biologica e i suoi meccanismi: dallo stato della ricerca nel campo delle scienze naturali alle posizioni, ricadute e possibili contributi, di filosofia e teologia.
A centocinquanta anni dalla pubblicazione dell'Origine delle specie di Charles R. Darwin (1809-1882), è indispensabile instaurare un forte dialogo fra le differenti discipline che hanno colto e sviluppato le intuizioni dello studioso; ancor più necessario è la condivisione dei risultati raggiunti per realizzare un quadro di sintesi della ricerca umana. È opportuno che tutte le discipline “incrocino gli sguardi”.
Molte le domande: come e perché si sia originata la vita, come funzionino i processi di evoluzione e di selezione naturale, cosa sia una specie biologica, la realtà della teleonomia, l'origine dell'uomo, il finalismo dell'universo: Non per ultimo, il ruolo che un Creatore potrebbe avere in tutto questo.
Fra i relatori, tutti estremamente qualificati nel loro campo di ricerca, erano presenti personalità di spicco, ben conosciute in tutto il mondo: dal contributo di Premi Nobel, come Werner Arber (Nobel per la medicina, Università di Basilea), agli ideatori di nuove teorie evolutive, come Lynn Margulis (Università del Massachusetts-Amherst, USA) con i suoi studi sulla simbiogenesi. Fra gli uditori, molti studiosi di scienze naturali, anche filosofi e qualche teologo, ma soprattutto semplici appassionati.
Il denominatore comune di tutti i contributi dei relatori, degli interventi, dei dibattiti è stato, ci pare di poterlo dire, il reale interesse verso al ricerca della verità delle cose, la parte di verità che una singola disciplina può cogliere, eppure con la tensione di giungere alla Verità tutta intera. Una verità verso cui in fondo tutti siamo interessati, scienziati, filosofi e teologi, che si presenta ancora da indagare di fronte a noi come la spiaggia dipinta dalla metafora di Newton. Ma le domande e le questioni aperte sono ancora tante.
Fin dai primi interventi si è potuta saggiare la varietà di opinioni riguardo l'interpretazione dei fatti evolutivi, nell'ambito delle scienze naturali e della filosofia. Già solo circa il titolo del convegno sono stati avanzati disappunti: esistono più teorie evoluzionistiche o esiste LA teoria dell'evoluzione e della selezione naturale? Si è notato come nella storia del pensiero scientifico, fin dalle prime proposte di teorie evolutive, avanzate nel XIX secolo, si siano presentate differenti interpretazioni dei meccanismi causanti l'evoluzione (Darwin, Lamarck, ...), dando vita ad un dibattito che si protrae in parte ancora oggi arricchito da nuove conoscenze e nuove domande (Gould, Margulis, Kauffman).
Simon Conway Morris (Università di Cambridge, GB) ha evidenziato i casi di convergenze evolutive presenti in natura: è convinto che se il nastro della storia dell'universo fosse riavvolto e fatto ricominciare dall'inizio si ripresenterebbe la stessa situazione: la nascita di vita organica, vegetali, animali, ed anche l'uomo. Una posizione non condivisa da Francisco J. Ayala (Università della California, USA) secondo cui con un secondo “sbobinamento” non si avrebbe neanche la vita organica.
Un passaggio delicato è la riflessione sull'origine del genere umano e sul significato della specie Homo. E anche se non si può parlare di tensioni, visto il cordiale ambiente di lavoro creatosi, tutti hanno compreso quanto fosse cruciale questo tema e quanto occorresse delicatezza nell'addentrarsi. Da Olga Rickards (Università “La Sapienza”, Roma) è stata sostenuta ad esempio la proposta, condivisa dallo studioso R. Goodmann, di riscrivere i libri di paleontologia includendo nella specie Homo anche i primati geneticamente più vicini agli uomini. Lo scambio di opinioni si è fatto quindi più partecipato: una soluzione definitiva a questo problema di classificazione si avrà forse quando si sarà definito esattamente il significato della parola specie, altro punto importante di discussione. Anche la filosofia, fra l’altro, risente della necessità di una miglior definizione del termine specie, così da essere in grado di sviluppare anche un miglior approccio ontologico al problema dell’evoluzione.
Un apporto significativo per la biologia pare essere oggi quello fornito dalla riflessione circa gli strumenti impiegabili nella ricerca, in particolare la matematica e i modelli numerici adoperati nelle simulazioni virtuali. Riguardo all'efficacia ed alla prevedibilità della matematica, nello studio dell'evoluzione, ed ai possibili rischi di una deriva newtonista ha fornito il suo valido contributo Dominique Lambert (Università di Nostra Signora della Pace, Belgio). Stuart Kauffman (Università di Calgary, Canada) ha mostrato invece l'impiego di equazioni stocastiche per lo studio della complessità e dell'azione dei geni nell'evoluzione mostrando quanto la logica cellulare assomigli a quella booleana che fa funzionare i calcolatori elettronici.
Può essere forse significativo registrare che gli aggettivi più utilizzati da quasi tutti i relatori nei loro interventi, specie quelli provenienti dall’ambiente scientifico, riproponevano termini quali: stupendo, meraviglioso, incredibile, fantastico... Fra le formule matematiche, le teorie, le rappresentazioni molecolari e i fossili si cela, sempre rinnovato, l'antico thaûma, lo stupore per la natura, lo stesso che mosse gli animi dei primi pensatori greci, i pionieri della filosofia e della ricerca scientifica.
In ambito filosofico i campi aperti sono stati battuti ampiamente. Fin dai primi dibattiti ci si è interrogati se nelle scienze naturali debbano esistere dei sistemi di valori, se questi debbano essere formulati dalle scienze stesse oppure da altre discipline come la filosofia. Si è passati all'analisi dell'approccio epistemologico e metodologico proprio delle scienze naturali: fra i tanti, Massimo Stanzione (Università di Cassino, Italia) ha circoscritto lo statuto del naturalismo metodologico e l'epistemologia scientifica, ponendo le dovute distinzioni nelle varie articolazioni che li strutturano.
Proposte di cambiare o aggiornare il paradigma delle scienze naturali sono state avanzate da interventi come quello di Robert. E. Ulanowicz (Università del Maryland, USA), che ha suggerito di fronte all'inadeguatezza del paradigma illuminista una prospettiva ecologica di processo come anche possibile soluzione delle scissioni epocali, e di Ludovico Galleni (Università di Pisa, Italia) che ha presentato il pensiero scientifico di Teilhard de Chardin (1881-1955). In merito al suggerimento dello scienziato gesuita di ridefinire il paradigma scientifico sono state avanzate forti riserve, non inattese ed inevitabili nei lavori interdisciplinari del convegno. La presentazione della visione filosofico-teologica di Teilhard de Chardin era stata affidata a Georges Chantraine (Facoltà teologica di Lugano, Svizzera) ma lo studioso, di cui era prevista una relazione, non ha potuto essere presente al Convegno.
Il problema dell'esistenza o meno di una direzionalità, di una teleonomia o anche di una teleologia nei fenomeni naturali e biologici è stato sottolineato da interventi come quello di William R. Stoeger (Università dell'Arizona, USA). Jürgen Mittelstrass (Università di Costanza, Germania) ha marcato l'importanza del vitale rispetto fra scienza e fede, realizzabile con il perseguire una ricerca scientifica ed etica che abbia riguardo della necessità ontologica della finitezza umana.
Molto attesi sono stati poi gli ultimi interventi con i contributi del dibattito teologico in merito ai fatti dell'evoluzione ed alla loro interpretazione. Il Magistero della Chiesa ha sviluppato nei secoli una cauta opinione mentre le conoscenze scientifiche si confermavano ed ampliavano. Come ha mostrato Rafael Martìnez (Pontificia Università di Santa Croce, Roma) strumenti come l'Indice dei Libri Proibiti sono stati impiegati in passato nei confronti di alcuni autori cattolici quando, in mancanza di una visione teologica matura capace di integrare il dato scientifico, si riteneva indispensabile difendere una certa interpretazione religiosa. Pare ormai a tutti chiaro che la teologia debba muoversi considerando le conoscenze scientifiche e le nuove scoperte.
Nello scambio di sguardi il pensiero teologico, illuminato dalla Rivelazione, non propone un Dio impersonale, come quello deista: il Creatore non interviene direttamente nella creazione, di cui rispetta le leggi e della cui indipendenza ha voluto una volta per tutte accettare. Risultano così prive di fondamento teologico le tesi “creazioniste” e certi modi di parlare dell’Intelligent Design, ormai diffusisi a livello mondiale, illustrati dall’intervento di R. Numbers (Università del Wisconsis-Madison, USA). Interessante il fatto che tali posizioni fondamentaliste vengano generate quale reazione opposta e contraria alle tesi di scienziati come Richard Dawkins, che presentano l'evoluzione biologica come la dimostrazione di una sorta di ateismo scientifico ed universale.
Jean-Michel Maldamé (Istituto Cattolico di Tolosa, Francia) ha suggerito due suggestive immagini per rappresentare come Dio agisca nella creazione: il musicista e lo strumento. La musica è il prodotto dello strumento e del musicista. Tutto è dell'uno come dell'altro, altrimenti nulla si crea: la cooperazione non snatura nulla, perché quelle in gioco sono nature diverse. È emersa così l'esigenza di sviluppare precise definizioni dei termini utilizzati, soprattutto di quelli condivisi con le scienze naturali ma di diverso significato. Il “caso” della biologia non è lo stesso “caso” della teologia. La terminologia “In principio” con cui comincia il libro della Genesi rivela un'origine ontologica, non un inizio temporale. Così come la “creazione” teologica non trova una corrispondenza biunivoca nella mutazione ed evoluzione delle specie in ambito scientifico: la Creazione è il personale rapporto, eterno e fondante, fra il Creatore e la creatura.
Il dibattito teologico può essere sostenuto anche da importanti documenti del magistero della Chiesa, come la Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, o il più volte citato Messaggio di Giovanni Paolo II al Direttore della Specola Vaticana (1988). Partendo poi dall'ispirazione della bellezza della natura, si può sviluppare una teologia naturale ed una successiva teologia della natura alla luce dei risultati scientifici. Robert J. Russell (Centro di Teologia e Scienze Naturali, Berkeley, USA) ha giustificato il male fisico presente nel mondo come qualcosa di necessario all'escatologia: nella resurrezione cristiana sono presenti elementi di continuità e di discontinuità rispetto alla prima creazione, trattandosi di una nuova creazione.
Nel suo intervento Jacques Arnould (Centro Nazionale di Studi Spaziali, Francia) ha ripreso una citazione di Denis Diderot: se sei in un bosco buio con un candela e qualcuno ti dice di spegnerla per trovare più luce, quello è un teologo. Il relatore suggeriva che non bisogna perdersi nel buio o afferrarsi disperatamente alla candela come farebbe un ubriaco, bensì prenderla e portarla lontano, avventurarsi nell'oscurità.
Il libro della ricerca scientifica e filosofica può, se posto sotto la candela, innalzarla, permettendole di stare più in alto. Ciò è possibile solo se chi si prende cura della candela voglia leggere ardentemente le pagine della natura e farle proprie. Scienza e fede assieme possono illuminare una maggior porzione di oscurità...