In questo anno di celebrazioni galileiane assistiamo a una serie di iniziative rivolte al grande pubblico che sembrano prendere l’anniversario delle prime osservazioni di Galileo col cannocchiale come puro spunto per trattare una varietà di temi d’attualità e proporre gli aspetti più spettacolari dell’avventura scientifica con la speranza di fare breccia nella assopita sensibilità culturale dell’uomo contemporaneo. Forse puntando sull’effetto-spettacolo si tenta anche di alleggerire il peso di una polemica, che ha gravato per quattro secoli sul modo con cui la comunità scientifica si è rapportata con la realtà della Chiesa e che riaffiora appena si apre qualche spiraglio che sembra rivelare possibili punti deboli.
Il limite di un approccio “indiretto” a un anniversario della storia della scienza è che in tal modo è più difficile che vengano alla luce, senza ricorrere a forzature, alcuni aspetti interessanti e cruciali del dibattito (o di quello che dovrebbe essere il dibattito) sulla scienza oggi, sulla sua portata conoscitiva, sulla sua irrinunciabile esigenza di conferimento di senso (che, come diceva Giovanni Paolo II nello storico discorso di Colonia del 1980, “non sopporta che la risposta venga rinviata all'infinito”).
Ecco allora un altro possibile approccio: puntare diritti i riflettori sul cuore delle vicende che si celebrano, porsi di fronte all’occasione oggetto di rimembranza storica “in presa diretta” e approfondirla dal punto di vista dell’esperienza vissuta dai protagonisti, con tutto il suo carico di interrogativi, di incertezze, di errori ma anche di entusiasmo, di sorpresa, di gratitudine; cercando di rileggere gli eventi nella vivacità e drammaticità del loro contesto e interpellandoli a partire dalle domande che emergono dal vissuto di coloro che fanno scienza oggi.
L’impegno per allestire la mostra “Cose mai viste – Galileo: fascino e travaglio di un nuovo sguardo sul mondo” — curata dall’associazione Euresis, promossa dal Meeting di Rimini e realizzata da Muse Media col Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, che sarà allestita a Rimini dal 23 al 29 agosto e dal 15 novembre al 31 gennaio 2010 a Roma presso il Palazzo della Cancelleria Apostolica — è stato per il gruppo di ricercatori, insegnanti e studenti che hanno lavorato insieme per oltre un anno, un’opportunità per sperimentare un affronto del tipo sopra indicato, dove in primo piano c’è la straordinaria esperienza umana vissuta dallo scienziato: l’avvenimento della scoperta e l’intrecciarsi dei fattori che lo determinano.
È stato molto istruttivo rivivere (e costruire un percorso espositivo che permetta ai visitatori di rivivere) la particolare dinamica di quella vicenda in tutti i suoi risvolti culturali e umani. Nel periodo considerato Galileo era un semplice docente all’università di Padova e stava tenacemente tentando di imporsi sul palcoscenico scientifico dell’epoca. Negli anni precedenti il fatidico 1609 non si stava occupando di astronomia, a parte la parentesi della apparizione della Supernova nel 1604; stava invece lavorando intensamente sul problema del moto: elaborando teoremi, avanzando nuove ipotesi sul moto di caduta dei gravi, progettando esperimenti, come quello del piano inclinato. In una situazione del genere ecco irrompere la notizia del cannocchiale, il nuovo strumento che spalanca sorprendenti possibilità osservative. Galileo interrompe gli studi sul moto e si lancia sulla nuova pista. È un avvenimento imprevisto che fa scattare l’avventura della conoscenza, anche se la prospettiva di una innovativa strumentazione ottica era nell’aria; ed è una serie di avvenimenti, come le osservazioni nelle notti padovane dell’inverno 1609-1610, che segnano il ritmo degli avanzamenti conoscitivi. Questo è un primo insegnamento molto eloquente, in riferimento alla realtà scientifica attuale e ai dibattiti circa i rapporti della scienza con le altre sfere del sapere. Lo scienziato incontra la natura che lo precede, non proietta le sue idee sulla realtà, anzi, “obbedisce” alla realtà, si dimostra ragionevole quando, come diceva Jean Guitton, “sottomette la ragione all'esperienza”. Per conoscere, sia il microcosmo che il macrocosmo, bisogna andare a vedere; non basta pensare: bisogna provocare la realtà, deve accadere qualcosa; a cui poi si può applicare tutta la capacità speculativa e il rigore analitico del quale l’uomo nei secoli si è dotato.
Lavorando per la mostra ci si è anche accorti di come sia difficile leggere gli avvenimenti storici nel loro contesto reale, di come sia difficile staccarsi dagli stereotipi. Nel caso di Galileo poi, questi sono dominanti: l’immagine più diffusa rappresenta lo scienziato pisano che, deciso nella sua battaglia antiaristotelica, brandisce il suo “occhiale” e, con pochi colpi ben assestati, abbatte il modello tolemaico. Lo scenario reale invece non era così deterministico. È interessante notare, ad esempio, come lo stesso Galileo non fosse inizialmente del tutto convinto della utilità scientifica del cannocchiale, tanto da doverne chiedere conferme a vari amici scienziati.
Ma anche l’avvenimento della scoperta non è qualcosa che spunta dal nulla come una magìa, travolgendo i protagonisti con la sua potenza irresistibile. La ricostruzione di alcuni storici, ad esempio quella di Stillman Drake, mostra tutta la drammaticità di una situazione che si è sviluppata lungo un certo arco di tempo e in modo non certo lineare. La scoperta non è un automatismo che si pone in modo univoco e monolitico: c’è sempre il concorso di una varietà di circostanze, di coincidenze, di fattori. Primo fra tutti il soggetto. La scoperta è esperienza di una persona, con tutta la sua storia e la sua personalità. La conoscenza si basa sui fatti ma non “deriva automaticamente dai fatti”, non è una sentenza fattuale che inchioda il ricercatore senza appello: c'è sempre tutto il gioco della libertà; c’è il rischio dell’avanzare ipotesi e del tirare conclusioni; c’è la responsabilità personale nel dire a un certo punto, dopo prove, calcoli, verifiche: “le cose stanno così”.
Significativo è il resoconto delle notti di gennaio che hanno portato alla scoperta dei quattro satelliti “medicei” di Giove, che evidenzia come solo a un certo punto, dopo una prima reazione di meraviglia e i successivi tentativi di spiegazione, Galileo si convinca del fatto che si tratta di satelliti in rotazione attorno al Pianeta, con tutte le conseguenze cosmologiche che tale affermazione comportava. Quel momento infatti segna una svolta nel suo percorso scientifico e umano; da lì parte un cammino nuovo che nel suo caso arriva alle ben note pesanti e indesiderate conseguenze. Ma anche queste non sono l’automatica e inevitabile derivazione della novità osservativa che era filtrata tra le due lenti del suo cannocchiale. Sono piuttosto dovute al sovrapporsi di una serie di questioni: dove, su uno scenario generale complesso confluiscono elementi dovuti al temperamento, ai rapporti interpersonali. Senza sottovalutare alcuni importanti nodi culturali: come quelli connessi alla natura di una nuova forma di conoscenza, che apriva problemi epistemologici dei quali era difficile prevedere l’evoluzione. O come quelli derivanti da una diversità di modi di intendere l’appartenenza alla Chiesa, il ruolo dell’autorità, l’interpretazione delle Scritture; in un mondo che era ormai uscito dalla forte impostazione unitaria dei secoli precedenti e vedeva aprirsi la visione pluralistica ma anche le incertezze della modernità.
Concentrarsi sugli eventi del 1609-1610 non significa quindi restringere il dibattito; anzi può contribuire a illuminare meglio quello che è successo dopo. Si potranno allora collocare in un itinerario storico e personale le reazioni di Galileo alle prime critiche; la delusione di non veder affermarsi in tempi brevi – come aveva immaginato – la sua nuova visione della natura; la scelta di affidare la comunicazione delle novità non a un media “scientifico” – come saranno più tardi i Discorsi su due nuove scienze – ma a uno strumento tanto efficace quanto polemico come il Dialogo sui massimi sistemi.
Si potranno così raccogliere ulteriori elementi, tratti dal vivo del lavoro scientifico di Galileo, per svolgere quel compito, indicato nel 1979 da Giovanni Paolo II, di rimuovere “le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede”.