Rivolgere l’attenzione a figure di santi sociali e sacerdoti scienziati del Risorgimento italiano e comunque nel periodo compreso fra l’Illuminismo e la metà dell’Ottocento, e farlo oggi nel contesto delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, potrebbe sembrare a prima vista inconsueto. L’interesse del tema deriva però proprio dalla sua idoneità ad intercettare un soggetto sociale e culturale forse poco noto, quello di intellettuali provenienti dall’ambiente della Chiesa Cattolica ed impegnati nel sociale, eppure un soggetto capace di mettere in luce dimensioni e risvolti di sicuro interesse per la presentazione al grande pubblico delle vicende che portarono ai fatti dell’Unificazione.
Si tratta infatti di personaggi i quali, attraverso la loro divulgazione delle scienze, spesso diretta ad ampie fasce della popolazione, anche quelle meno abbienti, crearono delle condizioni di crescita intellettuale per l’intero tessuto sociale, impiegando proprio la scienza come fattore di dialogo e di unità. Le applicazioni tecniche che essi proposero furono inoltre orientate al servizio dell’uomo e alla promozione della vita sociale. La rete di contatti e le strutture educative da sempre attive presso le Istituzioni cattoliche furono anche impiegate da molti dei personaggi in oggetto come elemento trainante per la preparazione e la diffusione del nuovo modo di vita e delle nuove relazioni sociali che il modello di una Italia unita recava adesso con sé. Si tratta, ancora, di personaggi che gettano luce su un’idea poco evidenziata: quella che l’unità d’Italia non fu operazione politica svolta necessariamente in contrasto con la Chiesa cattolica (come i fatti di Roma ed una certa storiografia lascerebbero intendere), perché erano presenti sul territorio, e su quello piemontese in particolare, preziose risorse di dialogo e di collaborazione, i cui effetti non tardarono a sentirsi.
Dal XVII secolo, il Piemonte è stato teatro di molte innovazioni scientifiche e tecnologiche. Torino, capitale di uno stato in perenne attività militare, aveva acquistato notevole competenza nei campi dell’artiglieria e del genio, e in discipline quali chimica, fisica, matematica, idraulica, meccanica, cartografia. Questa massa di conoscenze aveva portato, nel 1739, alla creazione della prima Scuola d’Ingegneria e Architettura miliare e, nel 1783, alla fondazione dell’Accademia delle Scienze, che fino al Novecento sarà considerata una delle istituzioni più importanti nel panorama scientifico internazionale.
Grazie a questa eredità, e all’impetuosa crescita sociale ed economica che ha preparato e seguito la proclamazione del Regno d’Italia, il Piemonte ha gettato le basi del sapere scientifico e tecnologico moderno e ha tenuto a battesimo l’industria italiana: dall’automobile alla telefonia, dal tessile al cinema, dalla radio alla televisione. Pochi ricordano che, in un certo senso, persino la storia dell’informatica è iniziata a Torino. Nel 1840, infatti, Giovanni Plana, autorevole membro dell’Accademia delle Scienze, aveva invitato al secondo congresso degli scienziati il matematico inglese Charles Babbage, per illustrare la sua Analitical Engine, o “macchina matematica”. E il piemontese Ascanio Sobrero aveva inventato la nitroglicerina che avrebbe dato ricchezza e notorietà mondiale ad Alfred Nobel.
A questo sviluppo hanno contribuito anche molti religiosi che — pur negli anni “difficili” del Risorgimento e dell’unificazione d’Italia — si sono adoperati per il progresso della scienza e la diffusione della cultura tanto fra le classi più agiate quanto fra gli emarginati, da un lato forgiando le nuove élites, dall’altro riducendo l’impatto sociale della crescente industrializzazione.
Fra i “precursori” ricordiamo il padre scolopio Giovanni Battista Beccaria (1716-1781), fondatore dell’Elettricismo italiano e inventore del parafulmine, chiamato nel 1748 da re Carlo Emanuele III ad insegnare Fisica sperimentale all’Università di Torino. Beccaria aveva subito compreso l’importanza degli studi di Benjamin Franklin, che arricchì con ricerche personali e sistematizzò fino a dar loro dignità di scienza. Fu autore di varie opere la più nota delle quali, Dell’elettricismo naturale e artificiale (1753), gli valse l’ammirazione di Franklin e Joseph Priestley. Diede anche un importante contributo alla topografia grazie alla misurazione del gradus taurinensis, opera a cui si dedicò con l’aiuto dell’allievo abate Domenico Canonica, che ne continuerà l’opera. Oltre che per i suoi meriti scientifici, Beccaria va ricordato per l’influenza profonda che esercitò su alcune delle menti più brillanti dell’epoca. Fra i suoi discepoli figura il torinese Joseph Louis Lagrange, uno dei più grandi matematici del tempo, che insieme agli amici Giovanni Francesco Cigna, medico e fisiologo, e Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio, militare e chimico, nel 1757 aveva costituito la Società Privata Torinese, primo nucleo della futura Accademia delle scienze. Furono suoi allievi anche Antonio Maria Vassalli Eandi e Prospero Balbo, uno degli esponenti più influenti e “longevi” della classe dirigente subalpina.
Tommaso Valperga di Caluso (1737-1815), appartenente all’ordine di s. Filippo Neri, fu segretario generale dell’Accademia delle Scienze. Era orientalista e letterato ma coltivava con passione la matematica e le scienze in generale. Ha prodotto una dozzina di lavori matematici, che rivelano il suo interesse per i fondamenti del calcolo infinitesimale, ma non mancano ricerche di geometria differenziale, algebra e astronomia, ispirate dal suo ruolo di direttore dell’Osservatorio astronomico torinese. Fu amico di Vittorio Alfieri che gli dedicò il Saul. Carlo Barletti (1735-1800) padre scolopio originario di Rocca Grimalda (AL), si occupò di fisica generale e sperimentale e specialmente di elettricità, di meteorologia e d’idraulica. Fu docente di fisica all'università di Pavia, insieme ad Alessandro Volta, al quale era legato da cordiali rapporti. Nel 1782 insieme al matematico Antonio Lorgna di Verona e a padre Gregorio Fontana promosse e fondò la Società italiana delle Scienze (l’attuale Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL). A lui Alessandro Volta scrisse il 18 aprile 1777 la famosa lettera nella quale schematizzava (prima ancora dell'invenzione della pila) una forma elementare di telegrafo elettrico. Aderì al movimento che simpatizzava per il governo repubblicano instaurato dai francesi nel 1796 ed ebbe la carica di Prefetto della provincia di Pavia ma, vittima della feroce reazione del generale russo Alexandr Suvorov, fu condotto in carcere nel maggio del 1799, dove morì un anno dopo.
Antonio Maria Vassalli Eandi (1761-1825) fu ordinato sacerdote nel 1784 e fu un fisico eclettico: si occupò di elettricità, idraulica, metrologia, fu direttore dell’Osservatorio meteorologico dell’Accademia, del Museo di Storia Naturale, segretario del Consiglio d’amministrazione dell’Università. Fu educato dallo zio abate Giuseppe Antonio Eandi che, già supplente del Beccaria, ne continuò la scuola all’ateneo torinese. Negli anni Novanta collaborò con lui alla stesura dei manuali di Fisica e Geometria destinati all’Università, un’opera monumentale voluta dal cardinale Vittorio Maria Costa d'Arignano (1737-1796), rettore dell’Università di Torino, che intendeva con questo favorire l’insegnamento universitario attraverso l’uso di libri di testo e non solo di appunti e memorie. Il trattato Physicae experimentalis lineamenta ad subalpinos si diffuse rapidamente anche all'estero. Nel 1792 Vassalli Eandi entrò a far parte della Commissione dei pesi e misure di Parigi e al suo ritorno portò a Torino “il ferreo autentico modello dell’archetipo del metro”.
Giorgio Bidone (1781-1839), sacerdote dei Filippini, ingegnere e matematico, fu tra i più insigni sperimentatori piemontesi nel campo dell’idraulica del XIX secolo. Laureato in matematica, idraulica e architettura civile presso l’Università di Torino, fu membro dell’Accademia delle Scienze e docente d’idraulica e geometria descrittiva. Realizzò i suoi studi più originali sui moti delle acque nello Stabilimento idraulico della Parella, che ammodernò e diresse per molti anni. Nel 1820 pubblicò la memoria che lo rese celebre: Expériences sur le rémou et sur la propagation des ondes, dove esamina fra l’altro il fenomeno idrodinamico noto come risalto idraulico o “salto di Bidone”. Amico di Amedeo Avogadro e maestro di Massimo d’Azeglio, ebbe grande influenza sulla società piemontese: basti ricordare che Carlo Alberto gli affidò la parte relativa alle questioni idriche del nuovo Codice Civile (1837). Inoltre, quale membro dell’Accademia delle Scienze, Bidone faceva parte della commissione che valutava le proposte e concedeva i privilegi – vale a dire i brevetti – che modulavano la nascente industrializzazione. In questa posizione, fra l’altro, favorì l’introduzione delle macchine a vapore negli stati sardi.
Un altro sacerdote, Giuseppe Francesco Baruffi, fu un tenace sostenitore del gas illuminante e fra i primi azionisti della “Società Anonima per l’illuminazione a gas della città di Torino” creata nel 1837. Professore di filosofia positiva (Aritmetica e geometria) dal 1833, botanico, naturalista e viaggiatore, Baruffi fu uno straordinario divulgatore e un sostenitore delle moderne tecnologie.
Barnabita di origine napoletana che operò a lungo in Piemonte, Francesco Maria Denza (1834-1894) fu il padre della Meteorologia italiana. Allievo di Angelo Secchi, nel 1857 Denza fu destinato al Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, dove subito decise di allestire un piccolo osservatorio meteorologico. Il Collegio era stato istituito nel 1838 da Carlo Alberto per formare i giovani della nobiltà alla carriera militare e amministrativa e fu affidato ai chierici regolari di San Paolo, noti come Barnabiti, che erano già confessori, padri spirituali ed educatori di Casa Savoia. Padre Denza fu anche un vero “manager della scienza”: riuscì a creare una rete di osservatori che arrivò a contare ben 250 Istituti in Italia e altrove; fondò il Bullettino Meteorologico e, con il collega dell’Osservatorio di Brera Giovanni Virginio Schiaparelli (originario di Savigliano), l’Associazione italiana per l’osservazione delle meteore luminose. Dal 1876 collaborò con il Governo Italiano per l’istituzione dell'Ufficio Centrale di Meteorologia, con sede a Firenze, e nel 1880 fondò a Torino l'Associazione Meteorologica Italiana. Negli ultimi anni della sua vita, pur debilitato da un grave ictus, padre Denza si dedicò a un nuovo grandioso progetto: la rinascita della Specola Vaticana, che riuscì a inserire nel circuito internazionale dei diciotto osservatori incaricati di eseguire la nuova carta fotografica del cielo. Questa impresa rappresenta uno dei primi grandi esempi di collaborazione scientifica internazionale.
Non si può non tener conto, in questa panoramica sull’attività dei religiosi che hanno onorato la storia dell’Astronomia piemontese, della figura di Giovanni Boccardi (1859-1936), che pure si colloca ai limiti dell’epoca di nostro interesse. Boccardi fondò nel 1906 una Società Astronomica Italiana e la Rivista di Astronomia e Scienze Affini. Originario della provincia di Campobasso, compì gli studi a Napoli. Fu ordinato sacerdote nel 1884 e quindi inviato a insegnare matematica nei collegi che la Congregazione dei Lazzaristi gestiva in Medio Oriente. Rientrato in Italia, collaborò con l'Osservatorio del Collegio Romano, dedicandosi alla teoria delle orbite planetarie e studiando in particolare il pianetino 416, poi battezzato “Vaticana”. Nel 1903 Boccardi vinse, per concorso, la cattedra di Astronomia presso l'Università di Torino e assunse contemporaneamente la Direzione dell'Osservatorio astronomico, che era ancora ospitato sulle torri di Palazzo Madama. Qui compì numerose e importanti osservazioni che gli valsero riconoscimenti internazionali. Si deve a lui il successivo trasferimento dell’Osservatorio sulla collina di Pino Torinese, dove non arrivavano le sempre più invadenti luci cittadine.
Meno celebri del contemporaneo monaco agostiniano Gregor Johann Mendel, molti religiosi si dedicarono in Piemonte anche studi di botanica. Fra questi ricordiamo Pierre Chanoux (1828-1909). Appassionato in egual misura di alpinismo e di botanica, egli riuscì a conciliare questi due interessi quando nel 1859 fu nominato rettore dell’Ospizio dell’Ordine Mauriziano situato sul colle del Piccolo San Bernardo. Creò nei pressi dell’Ospizio un ricchissimo giardino botanico che in seguito prese il nome di Chanousia e fu in contatto con illustri botanici dell’epoca quali Henry Correyon e Lino Vaccari. Fu anche uno dei primi iscritti al Club Alpino Italiano. Antonio Carestia (1825-1908) nacque e visse gran parte della sua vita in Valsesia, ai piedi del Monte Rosa, dove realizzò la maggior parte delle sue indagini botaniche. Si occupò in particolare di piante crittogame, e in misura minore di fanerogame, scoprendo molte specie alpine anche rare e raccogliendo un erbario di circa 25.000 specie; tra le sue scoperte spiccano 600 specie di licheni. Il suo imponente erbario fu donato dal comune di Riva Valdobbia all’Orto Botanico di Torino e in seguito all’Herbarium Universitatis Taurinensis.
Nella Torino di metà Ottocento furono numerosi i sacerdoti che, quasi senza risorse, seppero sviluppare una vivace attività di evangelizzazione, d’istruzione, d’insegnamento di mestieri o di “semplice” soccorso a beneficio dei poveri, dei carcerati, dei malati ma soprattutto dei bambini e dei giovani che arrivavano dalle campagne. I nomi più noti sono quelli dei “santi sociali”: san Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani; il beato Francesco Faà di Bruno, ingegnere e geniale matematico, che si occupava anche di donne lavoratrici; san Leonardo Murialdo, fondatore della Congregazione di San Giuseppe; san Giuseppe Benedetto Cottolengo, cui si deve la Piccola Casa della Divina Provvidenza; san Giuseppe Cafasso e il nipote, il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari della Consolata. Senz’altro molto più numerosi sono i sacerdoti che non hanno lasciato traccia della loro paziente opera quotidiana.
Fra i sacerdoti scienziati impegnati nel sociale, a spiccare è senza dubbio proprio la straordinaria figura di Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Beatificato da Giovanni Paolo II il 25 settembre 1988, nel centenario della morte, Faà di Bruno visse a Torino proprio negli anni cruciali della formazione del Regno d’Italia. In un’epoca in cui la scelta tra scienza e fede sembrava obbligata, egli seppe mostrare con l’esempio della sua vita come si può essere allo stesso tempo ottimi scienziati, grandi innovatori e ferventi cattolici, diventando un esponente di quel cattolicesimo sociale che a Torino trovò una delle massime espressioni. Dotato di un’incredibile capacità di lavoro, fu militare e cartografo, musicista e filantropo, architetto, inventore, giornalista ed editore; si applicò particolarmente agli studi matematici, in cui eccelse raggiungendo una fama di livello internazionale. Le sue convinzioni, in un’epoca sicuramente ostile alla religione, gli procurarono la costante opposizione dei dirigenti dell’Università di Torino, che mai riconobbero il suo valore e mai vollero concedergli la cattedra da professore ordinario che sarebbe stata il naturale compimento della sua brillante carriera scientifica. Fu allievo a Parigi del matematico Augustin Cauchy, che lo introdusse nella Società di san Vincenzo de’ Paoli. Fra le molte iniziative che testimoniano l’impegno sociale di Faà di Bruno a Torino, ricordiamo: il piano per il risanamento igienico-idrico della città con la costruzione di bagni e lavatoi pubblici, l’istituzione di fornelli economici, la creazione di una biblioteca mutua circolante, la fondazione dell’Opera di Santa Zita, una casa di accoglienza per donne lavoratrici che s’ispirava all’Oeuvre des Servantes di Parigi.
Insieme a Don Bosco, Faà di Bruno fu propugnatore di una stampa cattolica moderna di tipo popolare: concepì l’idea di un almanacco che doveva diventare uno strumento semplice ma efficace di istruzione. Il primo numero de Il Galantuomo uscì nel 1853 e in seguito l’iniziativa fu portata avanti da Don Bosco. Collaborò anche ad alcuni giornali, quali L’Armonia, La Buona Settimana e Il Cimento, per il quale curava la sezione scientifica. Nel 1881 allestì una tipografia per stampare in proprio e a basso costo libri e opuscoli di carattere divulgativo.
Alla luce di queste attività e di queste competenze, non sorprende che siano stati proprio i parroci piemontesi a fornire un fondamentale contributo alla diffusione del sistema metrico decimale, adottato fin dal 1850 nel Regno di Sardegna per espresso e lungimirante volere di Carlo Alberto. Fatta la legge, bisognava convincere la gente ad abbandonare i suoi tradizionali e disparati sistemi di misura per adottare un sistema comune. A chi affidare il difficile compito dell’alfabetizzazione metrologica dei cittadini? Il Ministero dell’Agricoltura chiese aiuto alla Chiesa. Inviò così alle settemila parrocchie del Regno un manuale di metrologia, invitando i parroci a illustrarlo durante le prediche domenicali. Fu così che don Bosco, il Cottolengo, don Murialdo, Faà di Bruno e i Fratelli delle Scuole cristiane s’impegnarono a far conoscere il nuovo sistema, e il metro fu insegnato da tutti i pulpiti del Regno.
Che nella capitale sabauda, forse più che altrove, la Chiesa abbia avuto un ruolo di primo piano nella trasmissione della cultura, è dimostrato anche dalla salda continuità fra l’istituzione ecclesiastica e i collegi frequentati dai rampolli della nobiltà e della ricca borghesia. Se la cultura positivista aveva promosso lo sviluppo della stampa, anche in questo campo erano presenti i religiosi più illuminati. Ad esempio per Il Cimento, creato nel 1852, la sezione scientifica era curata da Francesco Faà di Bruno, mentre nel 1869 don Luigi Biginelli aveva fondato e poi a lungo diretto L’Ateneo religioso scientifico letterario artistico illustrato. Il Museo di Storia naturale “Don Bosco”, uno dei più antichi musei scientifici di Torino, fu creato personalmente dal santo nel 1878 per offrire una dotazione scientifica alla rinomata Scuola di Valsalice, fondata qualche anno prima per volere dell’Arcivescovo di Torino, mons. Lorenzo Gastaldi.
Proprio con la figura del sacerdote/scienziato, portatore di rassicuranti valori morali e sociali ma allo stesso tempo colto e capace di parlare il linguaggio delle Accademie, la chiesa subalpina offriva così una sua risposta alla crisi politica del Risorgimento e al diffondersi del pensiero laico che avevano fatto di Torino uno dei centri propulsori della cultura positivistica. Portare il grande pubblico a conoscenza di questi risvolti della storia italiana, anche nelle scuole, consentirebbe ai ragazzi di accostarsi a figure di grande valore umano, scientifico e morale, che seppero raggiungere risultati di primo piano nella loro attività di ricerca pur mantenendo una attenzione privilegiata all’uomo e alla riflessione umanistica in genere, a testimonianza non solo che una unità del sapere (comprendendo in essa anche il dialogo fra scienza e fede) è sempre possibile, ma anche che l’impegno spirituale e la solidarietà sociale sono in grado di guidare la pratica scientifica e di sostenerne le motivazioni. È superfluo sottolineare come questo esempio sia oggi ancora necessario per le sfide che ci vengono poste dalle nuove tecnologie e dal loro impiego al servizio della promozione dell’essere umano.