«Il rapporto con il creato costituisce un elemento importante per lo sviluppo dell’identità umana e neppure il peccato dell’uomo ha eliminato il suo compito di essere custode del mondo». È in questo contesto, richiamato da Benedetto XVI il 15 novembre dello scorso anno, durante l’udienza concessa ad un pubblico inconsueto, una rappresentanza dei maestri di sci italiani, che va collocato il magistero pontificio sui temi ambientali. Quello che è in gioco è qualcosa di molto profondo e che tocca direttamente ognuno di noi, al di là della maggiore o minore sensibilità verso i problemi dell’ambiente e prima ancora delle prese di posizione e delle scelte strategiche: nella questione ecologica è in gioco l’identità dell’uomo, il senso della sua presenza sul Pianeta, la consapevolezza di un compito che va oltre le urgenze e le contingenze.
«Ritenere il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo»: questa valutazione sintetica mette in campo categorie (creato, dono, vocazione) che non riecheggiano facilmente in un dibattito ecologico troppo spesso segnato da contrapposizioni ideologiche se non dalla difesa mascherata di interessi e posizioni di potere. È un invito a correggere quello che Giovanni Paolo II aveva indicato nella Centesimus annus come un “errore antropologico”, che sta alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale: «L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui» (n. 37).
Ma occorre far attenzione: non si tratta di un invito rivolto solo ai cristiani, bensì di un contributo in grado di motivare in modo robusto e durevole l’impegno di tutti per un mondo più vivibile. Rispettare il mondo in quanto creazione, frutto dell’amore provvidente di un Dio che si cura delle sue creature, non sminuisce né il valore della natura né quello dell’uomo; anzi esalta quest’ultimo come destinatario e responsabile di un bene così grande. È questo il senso dell’antropocentrismo che ha sempre sotteso la visione cristiana della natura e che solo una forzatura ideologica ha potuto vedere come alternativo alla tutela dell’ambiente o addirittura come radice della crisi ecologica moderna.
Più volte Papa Benedetto XVI è tornato sui temi della salvaguardia dell’ambiente: lo aveva fatto ampiamente nel messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace 2010, per la quale il Papa aveva scelto il titolo “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”; ma questo e altri interventi richiamano e approfondiscono quanto aveva già esposto con chiarezza nell’Enciclica Caritas in Veritate. Vale la pena peraltro notare, come egli stesso suggerisce, che l’importanza della “coscienza ecologica” era già stata rimarcata dai suoi predecessori a più riprese.
Quali sono quindi i punti salienti del magistero della Chiesa sul versante ecologico?
Il punto chiave è il già accennato riferimento all’ambiente naturale come “creato”: «nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell'intervento creativo di Dio, che l'uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni – materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l'uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio».
L’idea di creazione è dunque il principale carattere di originalità della posizione della Chiesa; ed è anche un elemento di demarcazione rispetto a tanto ecologismo figlio di una cultura scettica e panteista. Invece di esaurire le nostre relazioni con l’ambiente in un indistinto attivismo, il Papa parla di una “reciprocità” nell’azione genuinamente ambientalista: «nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi».
Benedetto XVI inoltre mette in guardia da ogni tendenza ad assolutizzare la natura o «a ritenerla più importante della stessa persona», ignorando la fondamentale differenza ontologica e di valore tra la persona umana e gli altri viventi. Ribadisce perciò la perplessità della Chiesa verso le posizioni ispirate “all’ecocentrismo e al biocentrismo” mettendo in guardia dall’inclinazione verso un «nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo».
L’accento sul creato si rivela il più adeguato a dare fondamento anche alle attività di conoscenza e studio dell’ambiente e ad ogni azione di tutela e di risanamento che non sia puramente volontaristica o dimostrativa. Che quella di Papa Benedetto non resti una pura affermazione di principio lo si nota dagli accenti realistici e dalle valutazioni critiche verso un certo modo di considerare l’ambiente; arrivando a denunciare «l’attuale ritmo di sfruttamento (che) mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali»; e a parlare di «degrado ambientale (che) è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici».
L’intervento per la giornata della Pace 2010 ha aperto interessanti prospettive nella linea, già indicata nell’enciclica, di un’autentica “ecologia umana” con la conseguente affermazione dell’urgenza di un serio lavoro educativo: «Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio». C’è un legame molto chiaro tra i doveri verso l’ambiente e quelli verso la persona, considerata in se stessa e in relazione agli altri; e opportunamente il pontefice osserva che non si può chiedere ai giovani di rispettare l’ambiente senza aiutarli a rispettare se stessi. Ecco quindi che l’educazione alla responsabilità ecologica deve salvaguardare un’autentica “ecologia umana” e perciò affermare «con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura». Del resto c’è più che un nesso tra l’idea di ecologia e quella di casa, di abitazione, di famiglia: eco-logia viene da óikos, cioè dimora, insieme di relazioni materiali e personali che identificano, dinamicamente un luogo dove la persona può nascere, crescere e maturare.
Senza questo ancoraggio, rischiano di suonare come vani i tanti appelli a cambiare abitudini e comportamenti quotidiani. Anche Benedetto XVI vede l’urgenza di una nuova mentalità che «induca tutti ad adottare nuovi stili di vita». Ma il suo appello è in positivo e non segue la logica delle pura rinuncia o di un rassegnato minimalismo. Gli stili di vita cui allude il pontefice sono quelli «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti». È l’invito a una costruzione, a una nuova operatività capace di «scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico»; ciascuno secondo gli ambiti e i livelli che gli competono, in base al principio di sussidiarietà e senza far prevalere gli interessi particolari.
Nella stessa prospettiva costruttiva si pongono altre due sottolineature. La prima è l’importanza della solidarietà inter e intra generazionale, che deve spingere a una particolare attenzione verso le condizioni future del Pianeta e che, a partire da una analisi realistica, chiama in causa soprattutto “la responsabilità storica dei Paesi industrializzati”.
La seconda è l’invito a incentivare una ricerca e sviluppo che si mettano a servizio dell’uomo, nella consapevolezza che “la tecnica non è mai solo tecnica” ma espressione della persona, dei suoi desideri, delle sue idealità. Se quindi è da condannare un uso sconsiderato e squilibrato delle risorse del Pianeta, è altrettanto deplorevole la posizione di chi si astiene dal rischio di intervenire. E ogni intervento sarà occasione per giocare tutte le proprie potenzialità di conoscenza e di ingegno e tutta la propria libertà; cercando, nella collaborazione e nel dialogo, di capire sempre meglio cosa significhi rispettare «la grammatica che il Creatore ha inscritto nella sua opera» e cosa comporti il ruolo affidato all’uomo di «custode e amministratore responsabile del creato»; ruolo «di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare».