Enrico Medi, come molti ricorderanno, fu uno dei protagonisti di quella lunghissima diretta tv che raccontò e commentò lo sbarco sulla Luna di Neil Armstrong e andando col ricordo a quella memorabile notte, il professore così scrisse: “Ore 4.56, 21 luglio 1969 dell’era cristiana (il corsivo è nostro). Tentenna il piede dell’uomo poi si abbassa… poggia sul suolo lunare… ecco vi lascia un’impronta: la firma dell’uomo. L’uomo è sulla Luna” (E. Medi, La Luna ci guarda, Roma, 1970, p. 79). Quello specificare l’appartenenza all’“era cristiana” dell’anno di quella straordinaria impresa non fu certo una semplice annotazione temporale, ma la dimostrazione della Weltanschauung cristiana di un uomo di scienza che di fronte a un evento epocale intendeva ricordare che quell’importante successo della tecnologia umana non doveva far dimenticare la mano del Creatore. D’accordo, era pur sempre l’uomo “che compiva un primo passo”, ma quel passo gli era stato consentito dalle “leggi della fisica che Dio gli ha permesso di usare” (A. Gliozzo, Enrico Medi, scienziato e credente, Torino 1988, p. 15). Dentro all’ombra di Neil Armstrong e dentro a quell’impronta lasciata sul terreno del nostro satellite il professor Medi avvertiva dunque la costante presenza di Dio, che ringraziava per “avermi fatto nascere in questa epoca e di avermi consentito di assistere a questa impresa (…) nella quale tutti hanno ricevuto del bene…” (Ibidem).
In quella fantastica notte Enrico Medi fu davvero l’anello di congiunzione fra la Terra e la Luna e questa definizione fu particolarmente azzeccata perché metteva in evidenza la vera anima di Medi, le sue radici e i suoi interessi di studioso.
La Luna! Come scrisse Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, la Luna va lasciata tutta a Leopardi perché la Luna è di Leopardi. Ma la Luna, per ragioni anagrafiche, è anche di Medi. Il professore, infatti, era nato a Porto Recanati e inoltre la prima moglie di un suo nonno era una lontana parente del poeta. Medi, come ha scritto Antonino Gliozzo, “sentì sempre la suggestione di questa parentela e certamente è presente e riaffiora nei suoi discorsi la malinconica vena poetica del lontano antenato” (Gliozzo, pp. 18-19). Altri hanno messo in evidenza le tangenze religiose e poetiche che misteriosamente convergevano nel luogo della sua nascita: “Questo Enrico Medi – scrive Marino Scalabroni – dalla mente di scienziato e dal cuore di poeta, questo diffusore della scienza fuori dalle paludate assise accademiche, questa coscienza che dalle immensità dei mondi o degli infinitesimali cosmi atomici ha saputo raggiungere accenti di grande poesia, questo Medi nostro, è nato qui (Porto Recanati), in questa terra dove si sposa il dramma infinito di Leopardi alla umile e ultraterrena dolcezza del mistero Lauretano...”.
Alla Terra, invece, Medi era profondamente legato per motivi professionali. Pur sentendosi attratto dalla fisica atomica, infatti, Medi era subentrato a Lo Surdo come presidente dell’Istituto di Geofisica e nel 1955 gli era stata assegnata la cattedra di Geofisica dell’Università di Roma. La Terra, dunque, fu principalmente il suo campo di lavoro e allo studio della Terra e dei suoi misteri dedicò le sue migliori energie. In particolare si interessò al campo magnetico terrestre e nel giugno del 1948 pubblicò un articolo col quale Medi prevedeva l’esistenza di quelle che più avanti sarebbero state chiamate “Fasce di Van Allen”. Medi ribadiva che il campo magnetico terrestre fosse generato da cause endogene, ma al tempo stesso introduceva l’ipotesi dell’esistenza di fasce esterne di elettroni per spiegare alcune sue caratteristiche e la sua connessione coi fenomeni solari.
L’idea, per la verità, fu accolta con non poco scetticismo dalla comunità scientifica che in seguito avrebbe dovuto ricredersi quando dopo la missione del satellite “Explorer 1” lanciato nel 1958 la Nasa ammise l’esistenza di fasce la cui giacitura era molto simile a quella delle “fasce” intuite da Medi. Su questo argomento Gliozzo riporta una considerazione di Maria Pia Medi, figlia e collaboratrice di Enrico, pubblicata in una intervista rilasciata al settimanale Oggi: “Per la cattedra all’Università di Roma, papà aveva presentato i suoi studi sui fasci ionizzati dell’alta atmosfera, che avevano lasciato perplessi un po’ tutti. Le sue affermazioni erano sembrate assurde. Poi, cinque anni più tardi, è venuto fuori l’americano Van Allen a segnalare l’esistenza della fasce radioattive che avvolgono la terra. Se a Roma vi fosse stato più acume scientifico – conclude Maria Pia – esse potrebbero chiamarsi oggi Fasce Enrico Medi”.
Terminato il liceo, Medi si era iscritto alla facoltà di Fisica dopo aver scartato filosofia. All’università, spiegò a suo padre che gli chiese le ragioni della sua scelta, non “si fa” filosofia ma si insegna la storia della filosofia, vale a dire la storia degli errori umani e la cosa non lo interessava e allora, concluse, “la materia più vicina alla realtà, alla verità delle cose, è la fisica”. E fisica fu, ma una fisica motivata e sicuramente poco tecnica perché, come avrebbe dichiarato in un discorso all’Università Gregoriana, “quando nel lontano 1928 mi sono iscritto alla facoltà di fisica pura (…) l’ho presa proprio per questo: perché sentivo una vocazione, nella mia miseria, dell’armonia della verità tra la Filosofia, la Fisica e la Fede”.
Questa dichiarazione potrebbe essere assunta come il manifesto programmatico della vita di Enrico Medi, un uomo che ha lasciato un segno nel suo tempo e nel cuore di chi lo ha conosciuto e frequentato.
Nel primo anniversario della morte, avvenuta il 26 maggio del 1974, il generale dei Gesuiti padre Pedro Arrupe inviava alla famiglia Medi queste parole: “Pedro Arrupe S.J., Preposito Generale della Compagnia di Gesù, benedice il Signore per averci dato nel prof. Medi un esempio di cristiano autentico, in cui la fede si identifica con la vita in tutte le sue manifestazioni e la speranza è sinonimo di certezza di vita eterna cum Cristo in Deo. Egli intercede per tutti noi che lo abbiamo conosciuto, stimato e amato con cuore di amico”.
Enrico Medi, dunque, resterà per noi per sempre l’“anello di congiunzione” fra la Terra e il Cielo e un esempio luminoso che indica agli uomini di buona volontà la vera via da seguire per giungere alla piena realizzazione di noi stessi.